Professore associato in Storia delle forme urbane e architettoniche presso l’École nationale supérieure de Paris-Malaquais - Université Paris Sciences et Lettres, Ricercatore permanente ACS-UMR AUSser 3329 del CNRS e Ricercatore in residenza presso l’École française de Rome per l’anno 2023-2024. Seguendo un approccio storico-sociale al “tempo presente”, la sua ricerca si concentra sull’architettura e la città nella seconda metà del Novecento, in particolare in Italia, sulla narrazione dell’architettura e dell’urbanistica nell’era postmoderna e sugli aspetti culturali del discorso ecologico.
Il calcestruzzo armato: un’applicazione combinata di diverse tecniche strutturali
Diversi prototipi o sperimentazioni di strutture in “cemento rinforzato” con elementi metallici vedono la luce alla metà del XIX secolo in Francia, mentre analoghe sperimentazioni, non sempre coronate da successo commerciale, si svolgono quasi contemporaneamente in Inghilterra. Sarà però l’ingegnere autodidatta François Hennebique a marcare la storia di questa tecnica rivoluzionaria. Il suo brevetto, depositato nel 1892, introduce una novità fondamentale: l’uso di tondini a sezione circolare, i quali, consentendo la legatura delle giunzioni con staffe, permise di realizzare una struttura “monolitica” grazie alla resistenza agli sforzi locali. Queste innovazioni consentirono all’ingegnere francese di fare del calcestruzzo armato un formidabile prodotto commerciale, diffuso in tutta Europa e poi nel mondo.
Che il calcestruzzo armato (C.A.) sia stato un “invenzione” – o, per meglio dire, un’applicazione combinata di diverse tecniche strutturali in parte già esistenti, grazie all’industrializzazione dei processi produttivi – è certo vero, ma per il suo trionfo sono state altrettanto e forse ancor più decisive le dinamiche imprenditoriali legate alla espansione dei mercati e all’incontro di domanda e offerta nel campo della costruzione.
La capacità di coprire grandi luci e la velocità di esecuzione sono i primi e più ovvi vantaggi del C.A.. La sua prima applicazione avviene infatti nel campo di edifici utilitari e a partire dall’inizio del ventesimo secolo fioriscono le sperimentazioni, soprattutto in paesi poveri di materie prime come il ferro (quali, tra gli altri, l’Italia). Se i ponti – ferroviari e sempre più spesso stradali a partire dagli anni Venti – rimangono spesso appannaggio della carpenteria metallica (acciaio e ferro, al posto dell’ottocentesca ghisa), gli edifici industriali – hangar, depositi, uffici – prevedono sempre più spesso l’uso del calcestruzzo armato.
Saranno però, soprattutto tra gli anni Venti e Trenta, le nuove tendenze avanguardiste – come il cosiddetto Movimento Moderno o Razionalismo – a rivoluzionare l’uso del calcestruzzo, conferendogli dignità estetica al di là della mera performance strutturale. Tale nuova tecnica costruttiva si fa a pieno titolo architettura: non più camuffata sotto un abito “in stile” pensato dagli architetti – mentre agli ingegneri era demandata la struttura “nascosta” – essa diventa mezzo espressivo e sancisce il definitivo tramonto dell’architettura storicista ottocentesca. Il Novecento ha insomma trovato il suo stile: facciata e struttura, pelle e ossatura saranno d’ora in poi figurativamente (e molto spesso strutturalmente) dissociate e daranno luogo a innumerevoli sperimentazioni e a giochi di trasparenze e porosità. Numerosi architetti – e non più solo ingegneri – sapranno creare, grazie all’uso del cemento armato come “struttura espressiva”, capolavori iconici dell’architettura moderna.
Si possono citare, senza nessuna pretesa di esaustività, il pioniere Auguste Perret, che con la sua impresa di costruzioni realizza opere come, tra le altre, il Garage in rue Ponthieu (1906) o il Teatro degli Champs Elysées (1910), nelle quali il linguaggio architettonico sfrutta il cemento armato ancora in senso “classicista”. In seguito, saranno soprattutto Walter Gropius et le Corbusier (non a caso quest’ultimo apprendista in età giovanile nello studio di Perret) a sfruttare appieno il potenziale espressivo del C.A.. Del primo, oltre naturalmente all’edificio del Bauhaus a Dessau (1925-26), occorre ricordare la fabbrica Fagus (1911-13) e la fabbrica modello all’Esposizione di Colonia (1914), mentre per il secondo non si può non citare la Villa Savoye (1928), vera e propria icona dell’architettura del Novecento, concepita sulla base del principio costruttivo in ossatura e solette in C.A. denominato Domino (1914). Accanto a tali oggetti architettonici in cui le possibilità strutturali del C.A. permettono gesti plastici altamente spettacolari, soprattutto grazie alla “figura” dello sbalzo (celebri le solette sospese della scala in angolo della Fabbrica Fagus o la scala elicoidale della villa Savoye), la tradizione delle grandi luci e delle strutture reticolari prosegue con una serie di prodezze statiche vieppiù monumentali: sono da citare in tal senso il celebre stabilimento Fiat Lingotto di G.M. Trucco (1915-21), le rimesse per l’Aeronautica Militare ad Orvieto di P.L. Nervi (1935) e il ponte sull’Arve di R. Maillart (1936). Da non dimenticare poi l’audace innovazione del C.A. precompresso, brevettato nel 1928 da Eugène Freyssinet, la cui prima applicazione sono la Hall Freyssinet (1927-29).
Tutte le opere citate sinora hanno sì rivoluzionato il mondo dell’architettura, ma a ben vedere si sono “limitate” ad attualizzare il classico trilite, che da sistema colonna-architrave si tramuta in pilastro (o pilotis)-trave. Il C.A. ha reso possibile da un lato la razionalizzazione costruttiva propria del settore edilizio in epoca industriale, decisiva inoltre nel far fronte all’urgenza abitativa del secondo dopoguerra, producendo uno stock imponente di edilizia sociale; dall’altro, la capacità di creare oggetti ad alto contenuto poetico attraverso diaframmatiche trasparenze, interpenetrazioni interno-esterno e smaterializzazioni dell’involucro. A partire dagli anni Cinquanta questa tradizione “tettonica” si completa con l’opera altamente poetica dell’americano Louis Kahn, di cui occorre menzionare il Kimbell Art Museum a Fort Worth-Dallas (1969-72) e il Salk Institute La Jolla (1959-65).
Esiste però un’altra “tradizione” – il cui esordio si può far risalire alla Torre Einstein di E. Mendelsohn (1917-21) – vieppiù dominante a partire dal secondo dopoguerra: il cemento come “pietra liquida”, grazie al quale l’intero edificio diventa gesto plastico e scultoreo. Nel novero delle numerosissime opere che disegnano una genealogia – dal dopoguerra ad oggi – in cui a prevalere è la linea curva e la forma organica, l’opera di Oscar Niemeyer è imprescindibile. Tra le numerosissime architetture della lunghissima carriera dell’architetto brasiliano, che ha fatto delle linee sinuose la propria cifra distintiva, sono da citare gli edifici istituzionali della nuova capitale Brasilia (1956-70) e il Museo di Arte Contemporanea di Niteroi (1990-96). Nel campo dei virtuosismi strutturali, Jørn Utzon con la Sydney Opera House (1956-73) ed Eero Saarinen con il terminal TWA all’aeroporto JFK di New York (1959-62) hanno certamente fatto storia.
Una carrellata assolutamente parziale del Novecento non può non concludersi con l’architetto che più di tutti ha saputo riattualizzare negli ultimi decenni l’uso del C.A., grazie all’apporto decisivo della modellizzazione digitale. Stiamo naturalmente parlando di Zaha Hadid, le cui architetture – due tra tutte, la Vitra Fire Station a Basilea (1991-1993) e il Museo MAXXI a Roma (1998-2010) – dimostrano come il calcestruzzo armato possa unire audacia strutturale e espressività.
In questi ultimi anni, le nuove sfide legate alla sostenibilità ambientale hanno imposto soluzioni innovative, soprattutto per quanto riguarda la composizione e il ciclo di vita e di produzione dei calcestruzzi: cementi ecologici ottenuti da materie prime riciclate (come calcare prodotto dalle alghe o calce low carbon a partire da scarti industriali), processi di combustione che riducono fortemente le emissioni di CO2, sistemi innovativi di smaltimento dei materiali di demolizione, o semplicemente cementi la cui maggiore capacità di resistenza permette di ridurre di più della metà il materiale utilizzato. Tra i numerosi esempi, si possono citare: Elementa dello studio Parabase, complesso residenziale “a energia grigia”, con facciate in calcestruzzo provenienti dalla demolizione di un vicino parcheggio, a Walk Weg Nord-Basilea (2023-24); MI.C dello studio Park Associati, in particolare le due torri in cemento riciclato (a partire dalla “decostruzione” del demolito Hotel Michelangelo) a Milano (2022, in corso); la villa “brutalista” di Arno Brandlhuber, in calcestruzzo e mattoni, a Rocha-Uruguay (2021).
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