Laureata in Ingegneria Civile con un Dottorato di Ricerca in Meccanica delle Strutture, ha perfezionato i propri studi presso il dipartimento di Scienza delle Costruzioni dell’Università di Bologna e l’Imperial College di Londra, dove ha svolto attività di ricerca nel campo della dinamica delle strutture e della meccanica della frattura. Da diversi anni collabora regolarmente con le principali riviste tecniche di ingegneria e architettura, efficienza energetica e comfort abitativo, come autrice di articoli e approfondimenti tecnici. Instancabile viaggiatrice, attualmente risiede a Verona.
Il riciclo del calcestruzzo per la transizione ecologica: analisi e proposte in un lavoro di ricerca del Politecnico di Milano
La rapida urbanizzazione e la crescita della popolazione stanno generando una domanda sempre maggiore di materiali da costruzione e di spazi abitativi. Una pressione crescente che impatta fortemente sulle risorse naturali, in particolare su quelle necessarie per la produzione di calcestruzzo, materiale chiave del settore edile, la cui produzione comporta notevoli criticità ambientali. La prima riguarda la massiccia richiesta di risorse naturali: sabbia e ghiaia, ad esempio, sono estratte in volumi enormi, stimati in circa 50 miliardi di tonnellate all’anno (dato 2019), con una previsione di crescita fino a 60 miliardi entro il 2030. Questa estrazione, spesso concentrata in letti fluviali e zone costiere, sta compromettendo ecosistemi acquatici, riducendo la biodiversità e peggiorando la qualità delle acque. Ma la scarsità non riguarda solo i materiali. Anche il suolo rappresenta una risorsa finita e preziosa, soprattutto nel settore immobiliare. La “domanda di spazio” non si limita al consumo di nuovi terreni edificabili (greenfield), ma si estende anche alla gestione dei rifiuti. Si stima che nel 2025 verranno prodotti a livello globale oltre 2 miliardi di tonnellate di rifiuti da costruzione e demolizione (Construction and Demolition Waste, CDW), una parte consistente delle quali finirà in discarica, occupando suolo prezioso e causando inquinamento. L’utilizzo di suolo per lo smaltimento dei detriti edili è una pratica certamente non più sostenibile.

Il riciclo del calcestruzzo: una via possibile, ma ancora poco percorsa
In questo contesto, il riciclo del calcestruzzo rappresenta una strada promettente per ridurre l’impatto ambientale del settore edile. Sostituendo gli aggregati naturali con materiali riciclati, si potrebbe ridurre significativamente l’impatto ambientale delle attività edilizie. Tuttavia, l’adozione del calcestruzzo riciclato presenta ancora molte difficoltà, soprattutto in Italia.
Mentre alcuni Paesi europei raggiungono tassi di recupero dei CDW superiori al 90% (Commissione Europea, 2024), l’Italia, con un tasso di riciclo fermo al 10% – è ben lontana dagli standard di Paesi virtuosi come Danimarca e Paesi Bassi. Tuttavia, spesso si tratta di un recupero a basso valore aggiunto (“downcycling”): i materiali vengono impiegati come sottofondi stradali o rilevati, che non richiedono elevate prestazioni meccaniche. Questa basso livello di circolarità non riduce in modo efficace la domanda di materie prime né garantisce un reale risparmio energetico o di emissioni. L’alternativa è l’upcycling, ovvero il riutilizzo di rifiuti per creare prodotti di qualità pari o superiore, una pratica ancora poco diffusa nel nostro Paese. Riciclare il calcestruzzo per ottenere nuovo calcestruzzo strutturale rappresenta un esempio virtuoso di upcycling. Nonostante materiali come il calcestruzzo incontrino numerose difficoltà nel percorso di riciclo, legate a pratiche di demolizione inadeguate, barriere economiche e mancanza di fiducia del mercato nei confronti dei materiali riciclati, migliorare la circolarità del CDW rappresenta un’opportunità concreta per rafforzare la sostenibilità all’interno dell’UE. Il settore delle costruzioni, infatti, gioca un ruolo centrale, considerando che i minerali non metallici – fondamentali per l’edilizia – rappresentano il 54% del consumo interno di materiali, mentre i CDW costituiscono il 39% di tutti i rifiuti prodotti nell’UE (Commissione Europea, 2024).
Un contributo significativo al campo del recupero del calcestruzzo viene dalla tesi di laurea intitolata Demolish, rebuild, sustain: advancing concrete recycling practices in Italy degli ingg. Christian Barbaro e Nima Emami del Corso di Laurea Management of built environment della Scuola di Architettura Urbanistica Ingegneria delle Costruzioni del Politecnico di Milano (anno accademico 2024/2025). Il lavoro, eseguito sotto la supervisione del relatore Avv. Prof. Michele Rizzo, professore a contratto di Administrative and Public Procurement Law e vicedirettore del Master Appalti e Contratti Pubblici (MAC) presso l’ateneo milanese, del controrelatore Ing. Pietro Agnelli, tutor didattico nel corso di Laboratorio di componenti e sistemi edilizi e impiantistici e fondatore di Lambrate Design District, e del correlatore Ing. Deborah Floris, Technological Service Manager, Technologies & Quality Department di Heidelberg Materials (dal febbraio 2025 ha assunto l’incarico di Direttrice Area Centro business calcestruzzo in Heidelberg Materials), affronta in modo approfondito e sistematico il tema del riutilizzo del calcestruzzo in Italia e delle sfide legali, tecnologiche e pratiche legate a questo argomento cruciale.
Gli autori, a seguito di un’analisi dettagliata del quadro normativo italiano – confrontato con le Direttive europee – e di un’esplorazione delle tecnologie all’avanguardia per un recupero efficiente del calcestruzzo in situ, volta a identificare criticità e best practices a livello globale, hanno evidenziato la necessità di rendere più efficaci le procedure di demolizione e di perfezionare gli standard per gli aggregati, così da rispondere alle crescenti esigenze strutturali e accrescere la qualità del materiale riciclato. In tal senso, funge da modello l’approccio di riciclo del calcestruzzo da costruzione e demolizione (CDW) del Giappone, che rappresenta uno dei casi più avanzati al mondo, con un tasso di riciclo del 98%. Inoltre, sebbene il CDW abbia un impatto minimo sulle emissioni legate alla produzione di cemento, vengono comunque analizzati i vantaggi indiretti del riciclo, come la riduzione dell’estrazione di materie prime e la diminuzione delle emissioni derivanti dal trasporto. La tesi, quindi, definisce proposte politiche concrete per promuovere un’economia circolare, tra cui incentivi di mercato migliorati, legislazione favorevole e una maggiore cooperazione tra i settori, offrendo soluzioni praticabili e intuizioni strategiche che possono migliorare le pratiche di costruzione sostenibile in Italia.
Le difficoltà italiane: una questione di filiera
«In Italia, il problema del riciclo del calcestruzzo non è tanto legato al problema dell’offerta o della domanda. I requisiti minimi per l’utilizzo di prodotti a base di calcestruzzo riciclato al fine di rispettare i Criteri Ambientali Minimi (CAM) sono molto bassi, il che rende difficile la creazione di un mercato realmente fiorente. Tale limite normativo è stato giustificato con la presunta scarsità di aggregati riciclati disponibili sul mercato (requisiti più ambiziosi sarebbero stati difficili da soddisfare), ma, come dimostreremo, in realtà in Italia esistono numerose aziende che producono Aggregati Riciclati (RA) e che lamentano l’assenza di una domanda in grado di assorbire l’offerta attualmente disponibile (ANPAR e NADECO, 2023). Il vero nodo si colloca “a monte”: molti degli aggregati attualmente in commercio provengono da siti in cui non viene praticata la demolizione selettiva, poiché la maggior parte degli edifici italiani è obsoleta e non si presta a tale approccio. La mancanza di pratiche come la demolizione selettiva – che consente di separare e recuperare i materiali già in fase di smantellamento – impedisce di ottenere aggregati di qualità elevata (contenenti almeno il 90% di solo calcestruzzo), indispensabili per produrre nuovo calcestruzzo strutturale», spiega Christian Barbaro, che aggiunge: «Parte del nostro lavoro di ricerca è stato incentrato sull’identificazione delle migliori pratiche a livello globale per un efficace recupero del calcestruzzo. Dall’analisi è emerso, ad esempio, che il riciclo degli aggregati di calcestruzzo da CDW rappresenta una soluzione più accessibile e scalabile rispetto al riuso diretto di elementi prefabbricati o gettati in opera, perché questa pratica di upcycling, che consentirebbe di preservare il valore strutturale originario, riducendo le emissioni legate alla produzione di nuovi materiali, a causa della complessità tecnica, della scarsa standardizzazione degli edifici e dei vincoli logistici nei contesti urbani, è difficilmente applicabile su larga scala. Tuttavia, il riciclo degli aggregati di calcestruzzo da CDW richiede miglioramenti tecnologici, selezione accurata dei materiali di origine, ottimizzazione delle miscele e adeguamento normativo per essere pienamente efficace dal punto di vista tecnico, ambientale ed economico».
Le Linee Guida Europee e l’evoluzione del Life Cycle Assessment (LCA) spingono verso un uso sempre più sostenibile dei materiali da costruzione. In Italia, i Criteri Ambientali Minimi (CAM) per gli appalti pubblici e le Norme Tecniche per le Costruzioni (NTC 2018) incoraggiano l’uso di materiali riciclati, ma il recepimento resta spesso parziale e disomogeneo. Le filiere del recupero sono ancora deboli e i produttori di calcestruzzo faticano ad accedere ad aggregati di calcestruzzo riciclato (RCA) di qualità elevata, costante e tracciabile. «Attualmente, le norme tecniche non consentono la produzione di calcestruzzo strutturale impiegando aggregati provenienti dalla demolizione di calcestruzzo non puro (o armato). L’unico modo per ottenere RA di qualità (contenenti almeno il 90% di calcestruzzo) è separare i materiali prima della frantumazione delle macerie. A questo punto, le alternative sono due: mantenere i materiali frantumati insieme e vendere un prodotto adatto esclusivamente ad applicazioni a bassa resistenza, come i rilevati o i sottofondi stradali; oppure procedere a un processo di raffinazione, che è complesso, energivoro e inquinante, con un conseguente aumento del prezzo finale del prodotto», afferma Nima Enami. «Questo fattore rende difficile per il legislatore imporre percentuali minime superiori al 5% di RA, come accade nei CAM, anche se le normative tecniche ne consentirebbero l’utilizzo fino al 30%, perché i prezzi di mercato troppo elevati non incoraggiano l’adozione diffusa di questa pratica. Al momento, dunque, in Italia non esiste un vero mercato degli aggregati riciclati, a causa di limiti normativi, tecnici ed economici», precisano Barbaro e Nima.

Il quadro normativo italiano per l’uso di materiali riciclati in edilizia: tra obblighi minimi e potenzialità inespresse
Pensati per orientare le scelte della Pubblica Amministrazione verso soluzioni a minor impatto ambientale, i CAM per l’edilizia, introdotti con il Decreto del Ministero della Transizione Ecologica del 23 giugno 2022 (aggiornato il 5 agosto 2024), si applicano a tutte le fasi della realizzazione di opere pubbliche, dalla progettazione alla costruzione, premiando l’utilizzo di materiali riciclati, rinnovabili o recuperabili. Tra le disposizioni di maggiore interesse, si segnalano quelle che promuovono la smontabilità e la demolizione selettiva degli edifici (punto 2.4.14), l’impiego di calcestruzzo contenente almeno il 5% di materiali riciclati o sottoprodotti (punti 2.5.2 e 2.5.3), e l’uso di prodotti da materie prime rinnovabili per almeno il 20% del peso complessivo dei materiali da costruzione non strutturali (punto 4.3.4). Tali requisiti devono essere comprovati da certificazioni specifiche, come le EPD (Environmental Product Declarations), la certificazione Remade in Italy®, o altri marchi di conformità riconosciuti, che attestino la percentuale effettiva di materiale riciclato o recuperato presente nei prodotti impiegati.
Nonostante l’apparente spinta alla sostenibilità, le soglie minime previste per il calcestruzzo risultano piuttosto modeste se confrontate con altri materiali edili. Mentre per l’acciaio si può arrivare al 75% di contenuto riciclato, e per la gomma al 60%, il calcestruzzo è soggetto a un vincolo minimo del solo 5%, nonostante gli studi tecnici dimostrino la possibilità di impieghi ben più consistenti, fino al 30% e oltre. Inoltre, i CAM si applicano esclusivamente alle opere pubbliche, lasciando scoperto il vasto settore privato, che rappresenta la maggioranza del mercato edilizio italiano. Questa discrepanza non è imputabile solo alla natura del materiale, ma riflette anche la scarsa disponibilità di aggregati riciclati (RCA) di qualità sul mercato italiano. Secondo il Rapporto di Sostenibilità di Federbeton 2023, su un totale di 15,96 milioni di tonnellate di aggregati utilizzati nel 2021, solo 39.557 tonnellate provenivano da materiali riciclati: una quota marginale che evidenzia un profondo divario tra potenzialità e realtà operativa.
Il ruolo delle Norme Tecniche per le Costruzioni
Il problema non è solo quantitativo, ma soprattutto qualitativo. «Ciò che realmente manca, tuttavia, non è soltanto la quantità di RCA (aggregati riciclati di calcestruzzo) disponibile sul mercato, quanto un prodotto di fascia alta, tecnicamente valido e utilizzabile in calcestruzzi strutturali. Questo limite deriva principalmente dalle restrizioni tecniche associate all’assenza di pratiche adeguate di demolizione selettiva», spiega Enami. Le Norme Tecniche per le Costruzioni (NTC 2018) hanno introdotto modalità di utilizzo degli aggregati grossi da riciclo in funzione della classe di resistenza del calcestruzzo da produrre, stabilendo le percentuali massime consentite (paragrafo 11.2.9.2). «Le limitazioni previste dalle norme, spiegano, in parte, il problema di squilibrio tra domanda e offerta di RCA, che risiede sia nella natura dell’aggregato che nelle pratiche di demolizione comunemente adottate in Italia. In assenza di un piano di de-costruzione chiaro — situazione che riguarda la maggior parte degli edifici vetusti — la prassi diffusa è quella di procedere alla demolizione meccanica completa, generando un miscuglio di macerie eterogenee, difficilmente separabili e costose da trattare successivamente».
Solo attraverso la de-costruzione selettiva è possibile smantellare la struttura di un edificio e ottenere un materiale più raffinato, riutilizzabile per applicazioni strutturali. Ciò comporta anche una filiera di trattamento più lineare, con costi di produzione ridotti, maggiore competitività sul mercato e un processo industriale complessivamente meno impattante sul piano ambientale. «Nonostante ciò, lo sforzo normativo per promuovere l’utilizzo di RCA è evidente. Attualmente, è possibile produrre calcestruzzo fino alla classe C45/55 contenente fino al 20% di aggregati grossi riciclati, a condizione che oltre il 90% degli RCA sia costituito da frammenti di calcestruzzo. Questo è coerente con quanto previsto dalle norme sui calcestruzzi, che classificano gli aggregati riciclati in Tipo A e Tipo B (UNI 8520-2:2016) e ne definiscono le modalità di impiego (UNI 11104:2016)», aggiunge Barbaro.
Un ulteriore limite riguarda la classificazione dei materiali. Attualmente, il sistema italiano si basa sulla provenienza dei rifiuti piuttosto che sulle performance tecniche ottenibili nel mix finale. L’assenza di una classificazione univoca degli aggregati riciclati complica la progettazione delle miscele di calcestruzzo, rendendole più costose e incerte rispetto a quelle con materiali vergini. Inoltre, senza standard condivisi, è difficile stabilire prezzi di mercato competitivi, il che penalizza fortemente la filiera del riciclo. Al contrario, sistemi più avanzati e virtuosi come quello giapponese classificano i materiali riciclati in base alle prestazioni ottenibili nel calcestruzzo, facilitando scelte mirate ed efficaci. «Questa distanza non è insormontabile. Servirebbe una visione sistemica che coinvolga istituzioni, imprese, ricercatori e cittadini. Le esperienze estere dimostrano che, se sostenuto da investimenti, ricerca e norme adeguate, il cemento può davvero “rinascere” da se stesso. Tuttavia, occorre favorire una cultura della rigenerazione che consideri i rifiuti edilizi non come scarti da smaltire, ma come risorse da reinserire in un ciclo produttivo virtuoso», dichiara Barbaro.
Il caso del Giappone
Il Giappone rappresenta uno dei modelli più avanzati al mondo nel campo del riciclo del calcestruzzo, con una strategia che coniuga innovazione tecnologica, regole chiare e un solido mercato secondario. A partire dagli anni ’70, il Paese ha sviluppato un approccio sistemico per affrontare l’esplosione di rifiuti da demolizione causata dall’urbanizzazione accelerata.
Nel contesto giapponese, gli aggregati riciclati sono suddivisi in tre classi: H (alta qualità), M (media) e L (bassa). Solo quelli di classe H sono ammessi per il calcestruzzo strutturale, grazie a requisiti severi su densità, assorbimento d’acqua, contenuto di impurità e comportamento meccanico. Questo sistema ha favorito lo sviluppo di tecnologie avanzate di trattamento, come il metodo “heating and rubbing” brevettato dalla Tokyo Electric Power Company (TEPCO), che prevede il riscaldamento del CDW per separare termicamente la pasta di cemento e ottenere aggregati più puri. L’adozione del metodo di sostituzione degli aggregati ha permesso la produzione di calcestruzzo strutturale conforme agli standard, riducendo i costi e l’impatto ambientale rispetto a processi di raffinazione più complessi. La semplicità operativa e la possibilità di utilizzare impianti mobili hanno reso questo approccio particolarmente vantaggioso. Tuttavia, il controllo di qualità rimane una sfida critica, soprattutto nella gestione della quantità di malta aderente agli aggregati riciclati, che influenza le proprietà meccaniche del calcestruzzo.
In Giappone, esistono impianti dedicati che raffinandosi su queste tecniche riescono a produrre aggregati che soddisfano le specifiche delle principali imprese di costruzione, con una tracciabilità rigorosa e prestazioni elevate. In Italia, invece, il quadro normativo è meno definito: mancano classificazioni così dettagliate, e i produttori raramente riescono a garantire qualità costante e tracciabilità. Inoltre, non esistono incentivi economici strutturati comparabili a quelli introdotti in Giappone per promuovere il mercato degli aggregati riciclati.

L’impatto ambientale del settore delle costruzioni
Il settore dell’ambiente costruito ha un ruolo fondamentale nella risposta all’emergenza climatica. Gli edifici sono infatti responsabili del 39% delle emissioni globali di CO₂: il 28% proviene dalla fase operativa (riscaldamento, raffrescamento, elettricità), mentre l’11% deriva da ciò che viene definito embodied carbon, ovvero le emissioni incorporate nei materiali e nei processi che precedono e seguono la vita utile di un edificio (produzione, trasporto, costruzione e smaltimento). È proprio su queste fasi che il riciclo del calcestruzzo può contribuire a ridurre l’impatto del settore. Sebbene il recupero del calcestruzzo come aggregato non incida direttamente sulle emissioni derivanti dalla produzione di cemento – che avviene a oltre 1400°C e rappresenta da sola circa l’8% delle emissioni globali – può comunque ridurre le emissioni legate al trasporto dei materiali e alla gestione dei rifiuti. Nel 2023, la logistica del trasporto delle materie prime per il calcestruzzo ha generato circa 1,5 miliardi di tonnellate di CO₂.
«Oltre agli ostacoli normativi, in Italia, tra i principali fattori frenanti, ci sono anche la concorrenza sleale degli aggregati naturali (più economici, specie al Sud), la distribuzione fortemente asimmetrica degli impianti di trattamento e una logistica penalizzante. L’attuale infrastruttura impiantistica è infatti concentrata al Nord, mentre vaste aree del Centro-Sud restano scoperte, aggravando i costi di trasporto e rendendo poco competitivo l’uso di aggregati riciclati. In territori a bassa densità abitativa, inoltre, la realizzazione di impianti fissi non è sostenibile economicamente, rendendo necessario lo sviluppo di soluzioni mobili o decentralizzate. A tutto ciò si aggiunge l’assenza di una pianificazione strategica nazionale e di politiche fiscali disincentivanti verso la discarica. Anche la gestione dei magazzini incide sui costi: le norme impongono che il materiale stoccato venga frequentemente movimentato per evitare contaminazioni, generando costi logistici aggiuntivi che spesso spingono i produttori a svendere il prodotto pur di liberare spazio, anche a scapito della sostenibilità economica», afferma Barbaro.
La voce degli operatori: un settore consapevole, ma frenato da ostacoli concreti
Per verificare sul campo la validità delle tesi sviluppate e comprendere lo stato attuale del settore del riutilizzo del calcestruzzo in Italia, gli autori della tesi si sono rivolti a Heidelberg Materials, che ha offerto il proprio supporto facilitando l’accesso agli impianti e condividendo conoscenze operative e buone pratiche adottate in un’ottica di decarbonizzazione del ciclo produttivo. Parallelamente, è stata condotta un’indagine mirata tra operatori e professionisti del settore edile, con l’obiettivo di raccogliere percezioni dirette, esperienze pratiche, ostacoli ricorrenti e proposte di miglioramento legate all’impiego di aggregati riciclati. L’indagine ha messo in luce una crescente consapevolezza circa l’importanza del riciclo del calcestruzzo nel contesto dell’economia circolare. Tuttavia, ha anche confermato la presenza di ostacoli strutturali e operativi che ne limitano l’effettiva diffusione. Le criticità rilevate coincidono in larga parte con quelle individuate attraverso l’analisi normativa e tecnica, confermando un quadro coerente tra la riflessione teorica e la realtà applicativa del settore.
«Grazie al supporto di Heidelberg Materials e alla preziosa collaborazione con l’ing. Deborah Floris, è stato possibile constatare direttamente sul campo lo stato dell’arte del settore in merito al riutilizzo del calcestruzzo in Italia, attraverso l’accesso agli impianti del Gruppo e la condivisione delle tecniche e delle procedure adottate nell’ottica della decarbonizzazione del ciclo produttivo e dei prodotti finali. In generale, ciò ha consentito di verificare l’effettiva attendibilità, sotto il profilo tecnico-economico, delle tesi da noi sviluppate nell’elaborato finale», afferma Enami. Tesi confermate anche dai risultati di un questionario somministrato agli operatori dell’intera filiera delle costruzioni, anche attraverso le principali associazioni di categoria del settore del calcestruzzo (Federbeton – la Federazione di settore delle Associazioni della filiera del cemento, del calcestruzzo, dei materiali di base, dei manufatti, componenti e strutture per le costruzioni – e ATECAP – Associazione Tecnico Economica del Calcestruzzo Preconfezionato) che ha analizzato percezioni, benefici, ostacoli e proposte legati al riciclo del calcestruzzo.
«I risultati mostrano una forte consapevolezza ambientale e un giudizio positivo sui vantaggi della pratica, tra cui la riduzione dei rifiuti, il risparmio di materiali naturali e il miglioramento dell’immagine aziendale. Tuttavia, i vantaggi economici diretti appaiono ancora marginali, riflettendo l’attuale svantaggio competitivo degli RCA rispetto agli aggregati vergini. Le principali barriere identificate sono di natura economica (costi elevati di trattamento e trasporto, assenza di incentivi), logistica (difficoltà operative in cantiere, mancanza di spazio e macchinari) e culturale (formazione carente, scarsa domanda di mercato). Curiosamente, la normativa viene vista come un freno meno incisivo rispetto ad altri fattori, segnalando forse una maggiore familiarità con il quadro regolatorio o una rassegnazione a un sistema poco reattivo», dichiara Barbaro.
Cosa migliorare? Tra le azioni di miglioramento più apprezzate, spiccano:
- una classificazione più dettagliata degli aggregati riciclati, utile per aumentare fiducia e trasparenza sul mercato;
- un supporto economico concreto da parte dello Stato alle aziende impegnate nel riciclo;
- formazione interna e aggiornamento tecnico degli operatori;
- maggiore attenzione al riciclo nei bandi di gara;
- sanzioni più elevate per lo smaltimento in discarica, per scoraggiare le pratiche non sostenibili.
Appare evidente che i professionisti e gli operatori del settore non invochino solo nuove regole, ma chiedano un approccio integrato che, combinando incentivi, obblighi normativi, controlli, formazione e penalizzazioni per lo smaltimento in discarica, renda davvero competitivo il riciclo del calcestruzzo. L’indagine conferma che il settore è pronto al cambiamento, ma necessita di condizioni strutturali più favorevoli per realizzare una transizione efficace verso l’economia circolare.

Verso una riforma strutturale: strumenti e politiche per sbloccare il mercato
Le criticità evidenziate attraverso l’indagine sul campo, unite alle analisi tecniche ed economiche condotte, delineano un quadro complesso ma al tempo stesso ricco di potenzialità inespresse. La consapevolezza crescente nel settore edile rispetto alla necessità di adottare pratiche più sostenibili si scontra ancora con barriere concrete: la mancanza di standard di qualità per gli aggregati riciclati, l’assenza di una filiera economicamente competitiva, la disomogeneità normativa e la carenza di strumenti premianti per chi investe nel recupero dei materiali.
È proprio a partire da questo scenario che gli autori propongono un insieme di azioni concrete, capaci di agire sia sul piano normativo che su quello economico e operativo. L’obiettivo non è solo quello di rimuovere gli ostacoli esistenti, ma anche di creare le condizioni per un sistema di riciclo del calcestruzzo realmente efficiente, integrato e sostenibile. Le soluzioni individuate si articolano su più livelli: dalla revisione dei criteri legislativi alla creazione di un sistema di incentivi e tassazioni mirato, fino al potenziamento della tracciabilità e della qualità tecnica dei materiali.
«Tra le misure proposte per stimolare la competitività degli aggregati riciclati rispetto a quelli naturali, un ruolo fondamentale potrebbe essere svolto da un sistema bilanciato di tassazione e incentivi. Dal lato fiscale, sarebbe opportuno applicare un’imposizione più elevata sull’estrazione di materie prime naturali, così come sull’importazione ed esportazione internazionale delle stesse. Una simile misura scoraggerebbe l’utilizzo indiscriminato di risorse vergini, promuovendo al contempo pratiche più sostenibili. In parallelo, l’innalzamento delle tasse di conferimento in discarica costituirebbe un deterrente efficace contro lo smaltimento di materiali potenzialmente recuperabili, contrastando le soluzioni di gestione dei rifiuti meno sostenibili ma economicamente convenienti. A ciò si potrebbe affiancare l’introduzione di una tassazione specifica sulle emissioni di gas serra generate durante l’estrazione o il trasporto degli aggregati naturali, internalizzando così i costi ambientali legati a queste attività», propongono Barbaro ed Enima. Sul versante degli incentivi, secondo gli autori della ricerca, sarebbe auspicabile premiare le imprese edili che scelgono volontariamente di utilizzare materiali riciclati, ad esempio attraverso bonus volumetrici o altri strumenti premiali. Altrettanto importante è sostenere economicamente le discariche che dimostrano di stoccare correttamente i rifiuti da costruzione e demolizione in forma selezionata, predisponendoli al recupero secondo criteri di qualità. Infine, un ulteriore stimolo potrebbe arrivare dalla creazione di un sistema di prezzi differenziati in base alla purezza del rifiuto: incoraggiare i centri di trattamento a privilegiare CDW ad alta componente inerte (ad esempio, con almeno il 90% di calcestruzzo) coprendo almeno in parte la differenza di costo tra i materiali misti e quelli più raffinati, potrebbe facilitare la diffusione di pratiche di selezione a monte e aumentare l’efficienza dell’intera filiera.
Un sistema caratterizzato soltanto misure incentivanti e di tipo fiscale non sarebbe però sufficiente a garantire l’adozione diffusa delle pratiche di riciclo del calcestruzzo sopra descritte, senza un intervento del legislatore volto a rimuovere le limitazioni all’utilizzo degli aggregati riciclati derivanti dall’attuale quadro regolatorio. Come sottolinea il relatore della tesi Prof. Avv. Michele Rizzo, infatti: «Il quadro normativo vigente in Italia attraverso le NTC 2018 ammette l’utilizzo di aggregati riciclati in una misura massima pari al 30% del peso del calcestruzzo utilizzabile per usi strutturali nel settore delle costruzioni e in misura superiore per usi non strutturali, quali riempimenti, sottofondi stradali e strati accessori. Tuttavia, veri e propri obblighi di utilizzo di calcestruzzo con presenza di una percentuale minima di aggregati riciclati per calcestruzzi strutturali (il 5%) e per rinterri/riempimenti sono previsti dai c.d. CAM Edilizia e dai c.d. CAM Strade soltanto nel settore pubblico, in relazione a interventi su edifici pubblici e infrastrutture stradali. Gli edifici privati e le altre infrastrutture sono sottratti ad entrambi gli obblighi. La ricerca condotta dagli ingegneri Nima e Barbaro attraverso l’esame della dottrina rilevante sul tema e delle best practice mondiali, conferma la possibilità sotto il profilo tecnico di utilizzare calcestruzzo con aggregati riciclati con percentuali assai superiori rispetto alla soglia massima prevista dalle NTC.
Per sfruttare in maniera adeguata il potenziale che tale prassi di riciclo può fornire nell’ambito del necessario e indifferibile processo di decarbonizzazione del settore delle costruzioni, appare auspicabile un intervento del legislatore che estenda – con le dovute eccezioni – a tutti gli interventi edilizi e infrastrutturali pubblici e privati al di sopra di una determinata soglia dimensionale l’obbligo di demolizione selettiva e gli obblighi di utilizzo di calcestruzzo per usi strutturali e non con percentuali di aggregati riciclati o comunque di CDW superiori a quelli attualmente previsti dai CAM vigenti. Ad esempio, la soglia minima di contenuto riciclato prevista dai CAM Edilizia e Strade per il calcestruzzo per usi strutturali potrebbe essere innalzata, per fasi, dal 5% attuale fino alla soglia massima consentita dalle NTC (30%). La documentazione relativa alla gestione del calcestruzzo riciclato dovrebbe essere integrata fin dalla fase di gara, al fine di migliorare la comunicazione tra i diversi attori e porre le basi per la creazione di una piattaforma integrata di tracciabilità e scambio informativo». «Per essere effettivamente efficace» – sottolinea il docente – «tale intervento legislativo – da eseguire possibilmente nell’ambito del procedimento di recepimento della direttiva EPBD di ultima generazione – dovrebbe prevedere l’introduzione graduale delle nuove misure, attraverso un calendario sottoposto alla preventiva discussione con tutti gli operatori economici e con gli altri stakeholder pubblici e privati della filiera delle costruzioni».
Infine, alla luce delle evidenze emerse durante questo lavoro, appare necessario rivedere il sistema di classificazione degli aggregati riciclati in Italia, orientandolo a un criterio prestazionale. Questo renderebbe più efficace e mirata la scelta dei materiali in base all’applicazione e alle esigenze progettuali. Lo studio delle correlazioni tra origine e prestazioni applicative dei CDW è un passaggio chiave per realizzare questo cambiamento, e il supporto alla ricerca risulta fondamentale per accelerarne il progresso. «In quest’ottica» – conclude il Prof. Avv. Rizzo – «l’interazione tra l’Università e l’Impresa per la promozione e lo sviluppo congiunto di attività di ricerca applicata costituisce un elemento essenziale nella lotta alla decarbonizzazione del settore delle costruzioni in Italia e più in generale per la transizione a un modello economico circolare».
Considerazioni finali
L’obiettivo principale della ricerca svolta dal Politecnico con il supporto di Heidelberg Materials è stato quello di individuare modalità per attribuire valore a materiali che, nella prassi corrente, vengono generalmente scartati o sottoutilizzati e per enfatizzare le potenzialità inespresse che il riciclo del calcestruzzo può offrire nell’ambito delle politiche italiane di sviluppo sostenibile. Sebbene si riconosca la validità dei principi ambientali promossi dalla transizione ecologica, resta centrale il ruolo della redditività economica come fattore determinante nelle scelte di produttori e consumatori.
Dal momento che l’edilizia rappresenta uno dei motori principali dello sviluppo economico e sociale e che vi è un potenziale ancora largamente inespresso nel riutilizzo dei materiali da costruzione, l’attenzione è stata posta sugli aggregati riciclati, settore nel quale l’Italia presenta ancora un deficit per il quale è necessaria una strategia articolata che integri misure legislative, economiche e tecniche, ma che al contempo promuova un cambiamento culturale diffuso. Riforme sistemiche che bilancino obiettivi tecnologici, economici e ambientali costituiscono l’unica direzione possibile per un cambiamento reale e duraturo. Solo così sarà possibile trasformare i rifiuti edilizi in una risorsa vera e competitiva, contribuendo a un’edilizia davvero circolare.
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