Dopo la formazione in architettura all’Università La Sapienza di Roma, città in cui ha conseguito l’abilitazione professionale, si è occupata per anni di allestimenti museali, per mostre e fiere presso studi di architettura e all’ICE – Istituto nazionale per il Commercio Estero. In seguito si è specializzata frequentando il “Corso di alta formazione e specializzazione in museografia” della Scuola Normale Superiore di Pisa. Dal 2016 coordina la sezione architettura di Artribune, piattaforma per la quale scrive da giugno 2012, occupandosi anche della scena culturale di Firenze, sua città d’adozione. I suoi articoli sono stati pubblicati su Abitare, Domus, Living, Klat, Icon Design, Grazia Casa e Sky Arte. Oltre all’architettura, ama i viaggi e ha una predilezione per l’Estremo e il Medio Oriente.
Atemporalità e “invarianza”: la prospettiva dello studio De Amicis Architetti
Giacomo De Amicis, fondatore dell’omonimo studio di architettura, racconta la visione portata avanti dal gruppo, tra progetti di rigenerazione, interventi di recupero e nuove commissioni.
Nel 2025 De Amicis Architetti taglia il traguardo dei vent’anni dalla fondazione. Quali progetti, tra quelli realizzati in questi due decenni, contribuiscono a chiarire l’identità dello studio?
«Lavoro come architetto a Milano dal 1995, quindi in realtà gli anni di attività sono trenta, venti dei quali con De Amicis Architetti. Definire la nostra identità è un po’ difficile: non siamo uno studio con un’unica specializzazione. Piuttosto affrontiamo i progetti secondo un metodo e spaziamo in tutti i campi della progettazione. Per raccontare chi siamo, partirei dai temi anziché dai progetti: questo approccio fa parte del nostro modo di lavorare, che è basato sulla volontà di cercare, all’interno di un’occasione progettuale, di dare non solo una risposta specifica a una richiesta, ma anche di introdurla dentro un quadro più grande e complesso, indagandone le problematiche e guardando sempre avanti».

Alberto Strada, Ritratto De Amicis Architetti
Per esempio?
«Penso alla progettazione degli spazi per il lavoro. Negli anni abbiamo fatto un percorso che dall’headquarter di Value Partners (in via Vespri Siciliani 9, a Milano) ci ha portato al nuovo headquarter di NTT Data di via Calindri; adesso prosegue con un’altra sede NTT Data a Bari e con un nuovo intervento per uffici a Cosenza. In questa sequenza di lavori c’è tutta la nostra riflessione sul mondo del lavoro, che da quando abbiamo cominciato è cambiato radicalmente. Siamo anche passati attraverso il Covid: tanti elementi emersi in quella fase erano già stati previsti all’interno dell’intervento in via Vespri Siciliani, che risale al 2005. Lo stesso vale per il tema del riuso del patrimonio edilizio, che – attraverso la contaminazione con l’architettura contemporanea – non è mai solo recupero, ma anche trasformazione. Tra i nostri lavori in questo settore, potrei citare le residenze di via Canonica, l’ex cinema Maestoso a Milano e, in ambito non urbano, la Locanda La Raia».

Andrea Ferrari, Eugenia Silvestri, Value Partners

Alberto Strada, NTT Data via Calindri

Render di Tommaso Angeleri, NTT Data Cosenza
In questi decenni siete stati molto attivi anche sul fronte residenziale.
«Sì, abbiamo operato con scale più piccole, come quella delle ville e degli interni. La consideriamo una “palestra” che ci ha portato a lavorare molto sui dettagli e i materiali, sul concetto di benessere, perseguendo un rapporto molto stretto tra architettura e persone. Queste esperienze ci hanno permesso di essere identificati tra gli studi che riservano specifica cura ai manufatti. Aggiungo che nell’identità dello studio rientrano poi i progetti non realizzati, come quelli – su scala urbana – legati a concorsi, o quelli legati allo sviluppo di specifici interessi maturati con il dottorato di ricerca e con il mio insegnamento all’università. Mi riferisco, tra gli altri, ai progetti per lo scalo di Porta Romana o per l’ex area Italcementi di Trento, che hanno identificato un tipo di approccio che guarda all’integrazione delle dinamiche urbane. L’ultimo significativo esempio, che ha caratterizzato questi vent’anni, è il tema della rigenerazione urbana, sul quale ci siamo impegnati anche con un’attività di ricerca specifica sui centri sportivi. Non abbiamo ancora realizzazioni all’attivo, ma abbiamo sviluppato un pensiero molto solido e strutturato sul ruolo della rigenerazione, in particolare nelle periferie, a partire proprio dal ripensamento delle strutture sportive».

Alberto Strada, Residenze Via Canonica
Anche alla luce di queste esperienze, com’è cambiato il vostro approccio alla sostenibilità?
«Dal punto di vista tecnico il nostro studio è sempre stato abbastanza un’avanguardia. Siamo stati, infatti, tra i primi a Milano nel 2005 ad adottare sistemi che prevedevano l’utilizzo dell’acqua di falda, i pannelli radianti a soffitto, il comportamento passivo dell’edificio comandato con la domotica. Abbiamo realizzato il primo muro verde in un interno, appena successivo a quelli – in esterno –di Patrick Blanc a Parigi. Nel tempo gli aspetti legati alla sostenibilità sono stati regolamentati dalle leggi: oggi sono obblighi, spesso anche molto molto articolati e gravosi. Forse anche per questo abbiamo sviluppato un pensiero di “retroguardia”: in fatto di sostenibilità, a nostro avviso, oggi diventa importante tornare all’origine, porsi domande di base. “Perché si costruisce? Cosa si costruisce? Quanto si costruisce? È meglio demolire o non demolire?”. Secondo noi la vera sostenibilità non sta nel come si applica la tecnologia o nel modo in cui si comportano i dispositivi: sta nelle domande alla base del fare architettura».

De Amicis Architetti, Area ex Italcementi Piedicastello, Trento
A proposito del dubbio tra demolizione o recupero del patrimonio esistente, e quindi di una valutazione della sostenibilità sull’intera filiera edilizia, ripercorriamo la vicenda progettuale dell’ex cinema-teatro Maestoso, a Milano. In questo caso, la proprietà ha scelto di conservare la vocazione pubblica dell’immobile – un manufatto degli anni Trenta – introducendo una funzione sportiva. Cosa ha comportato?
«Si tratta di un edificio che, per effetto della crisi dei cinema, è rimasto non occupato per una decina d’anni, misurandosi anche con dei problemi di ordine pubblico. I proprietari sono successivamente arrivati a siglare un accordo, in qualità di affittuario, con la società Virgin, le cui palestre normalmente sono allestite in capannoni industriali neutri. Di fronte a questi due partner, siamo riusciti a porre sul tavolo argomenti alternativi alla demolizione. Abbiamo guardato cos’era il Maestoso: aveva una storia e un posto nella memoria collettiva. Rappresentava un brano di architettura degli anni Trenta in una piazza che un tempo era periferica, mentre ora si trova in un nodo strategico della città. Abbiamo quindi riconosciuto che, indipendentemente dalla funzione, bisognava conservare il ruolo pubblico e urbano che l’edificio aveva sempre avuto. Lavorando su questa linea, abbiamo deciso di frazionare le parti, a partire dalla scelta – non facile tecnicamente – di conservare e tenere letteralmente in piedi la facciata storica».

Alberto Strada, Ex Cinema Maestoso
Quali altri interventi avete previsto?
«Insieme a demolizioni parziali e orientate, abbiamo previsto il recupero di alcuni elementi che si erano perduti nella storia dell’edificio, come l’uso dei marmi. Il risultato è una sorta di metamorfosi dell’edificio, in cui le parti cariche di memoria storica si fondono con le nuove e, cambiando anima, diventano anch’esse architettura contemporanea, nel rispetto dei valori della sostenibilità contemporanea. Nel frattempo, abbiamo ricostruito un presidio urbano, rilanciandone il ruolo pubblico. E il successo è stato grande anche per la committenza».

Alberto Strada, Ex Cinema Maestoso
Atemporale è uno dei vocaboli con cui qualificate i vostri interventi. Da dove proviene quest’ “ossessione” per la dimensione del tempo e quali strategie (a livello di materiali, per esempio, o di tecnologie scelte) adottate affinché i vostri progetti possano «conservare il senso del tempo»?
«Crediamo che il tempo sia uno strumento di progetto, sotto tanti punti di vista. Le mode passano: non solo quelle stilistiche, ma anche quelle costruttive e di processo. Ci sono dei momenti storici in cui specifiche azioni si compiono in un determinato modo, perché così è lo spirito di quel tempo. Gli edifici, tuttavia, hanno un passo più lungo rispetto a queste situazioni, proprio per la loro natura materica, fisica e costruttiva. Di conseguenza, a nostro avviso, devono possedere un «criterio di reversibilità intrinseco». Questa reversibilità significa che bisogna lavorare con le tipologie e non con le funzioni, proprio come è avvenuto, per esempio, con i palazzi del Cinquecento: sono stati residenze, poi sono diventati musei o uffici, domani saranno altro ancora. Riteniamo che l’architettura debba ancora avere un carattere tipologico di “invarianza” rispetto alle funzioni. Questo vuol dire lavorare a progetti che siano già capaci di avere altro dentro di sé, già predisposti a raccogliere il cambiamento. Le architetture che hanno queste caratteristiche oggi ben rispondono alle ragioni per le quali si costruiscono, ma domani permetteranno loro di diventare altro. Questa, del resto, è la storia delle città europee, ma è un percorso che si sta iniziando a interrompere. Per questo la dimensione del tempo è una nostra “ossessione”».

Alberto Strada, Locanda La Raia
Questo tipo di approccio vi incoraggia ad adottare alcuni materiali a discapito di altri?
«Non abbiamo una predisposizione verso specifici materiali. A noi interessa soprattutto che il fatto costruttivo sia, per quanto possibile, anche un fatto espressivo. Facciamo, quindi, in modo che anche i materiali strutturali possano acquisire una loro valenza architettonica, a livello di immagine e contenuto. Per ciascun materiale, ci interessa un uso non banale, non imposto dagli standard commerciali del mercato dell’edilizia».

Alberto Strada, Ricovero mezzi agricoli
Qual è la vostra relazione con il cemento?
«È un materiale che ci piace molto, lo usiamo parecchio: è duttile e si riesce a lavorare bene. L’abbiamo anche impiegato in maniera esclusiva: faccio riferimento a un nostro edificio rurale per il ricovero di mezzi agricoli, in cui il cemento è stato lavorato – attraverso l’inserzione nei casseri di listelli di legno, successivamente anneriti con il cannello – fino ad attribuirgli un’originale trama decorativa. C’è tuttavia da segnalare un aspetto importante in merito al cemento. Oggi, in realtà, tutta la pratica corrente di costruzione tende quasi a impedirne l’uso da un punto di vista architettonico. In altre parole, tra normative, sistemi a cappotto e altri metodi, realizzare un edificio il cui linguaggio architettonico sia fatto di cemento armato a vista è estremamente complicato: ci stiamo misurando con questa situazione in una nuova scuola a Parma, molto grande, in progress – dovremmo chiudere un primo terzo entro il 2025. Il mondo della produzione edilizia ci porta inoltre a usare il cemento solo come elemento strutturale nelle sue forme più semplici e banali, limitandone il potenziale architettonico intrinseco».

vedo.visualisation, Scuola ITIS Leonardo da Vinci, Parma
Tra i vostri cantieri, quali si concluderanno nel corso del 2025?
«Nell’arco del 2025 sicuramente completeremo i nuovi edifici per uffici a Bari, la cui proposta unisce l’interno e l’esterno; con questo edificio continuiamo la nostra riflessione sugli spazi del lavoro. Chiuderemo poi un importante intervento residenziale a Milano, che ha previsto il recupero di un edificio storico e la realizzazione di una parte completamente nuova».

Alberto Strada, NTT Data Bari
Ambizioni professionali per il futuro?
«Vorremmo tornare alla dimensione urbana: misurarci, quindi, con la scala del quartiere e dell’isolato. Riteniamo che ci sia molto da dire su questo tema, visto che la cultura architettonica di riferimento – nata in Italia negli anni Ottanta e Novanta, ma negli ultimi tempi adottata altrove meglio che da noi – si è molto impoverita. Ci piacerebbe, infine, rafforzare il lavoro nel settore pubblico: infrastrutture, musei, municipi, scuole. A cominciare dall’Italia, ma muovendoci anche all’estero».
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