Nella contemporaneità, animata da istanze sempre più orientate alla ricerca di una accessibilità digitale all’esperienza, mediata da infrastrutture e device elettronici, affrontare il tema della “partecipazione” invita a interrogare il prisma sempre meno sfaccettato attraverso cui questa pratica collettiva si manifesta, andando alla ricerca delle sue dimensioni più distintamente rivelatrici rispetto all’insieme sociale di cui essa è espressione.
Tramontato l’anelito diffuso a costruire un orizzonte di riscatto e una idealità tangibili e direttamente realizzabili attraverso un corpo a corpo collettivo, un dialogo animato e conflittuale in cui riconoscersi quotidianamente e non solo in occasioni speciali, a prevalere nell’era digitale è una emotività più rilassata, una partecipazione composta e disciplinata. Lo si percepisce in occasione dei grandi eventi, a cui si partecipa allineandosi a palinsenti a lungo meditati, a narrazioni efficacemente costruite, provate più volte, perfezionate da équipe di professionisti e supportate da formidabili apparati tecnici.
La partecipazione che qui si vuole esplorare ha un segno differente e procede in una diversa direzione. Ha inizio dal quotidiano, dall’insignificante, dall’ordinario. Si sofferma e trova coesione nelle cose prosaiche, che muovono gli animi perché trascurate, perché non vi si ripone l’attenzione che meriterebbero, perché non se ne ha sufficiente cura. Si rivolge a ciò che accade dietro l’angolo di casa, sotto i propri passi, lungo il tragitto percorso ogni giorno, là dove le risorse sono spesso modeste e con quelle si ragiona, nascono idee, progetti, modi di stare insieme.
L’Italia ha avuto una storia straordinaria fatta di attenzioni alla costruzione dello spazio collettivo. Da un giardino ben fatto al cordolo di una strada curato e durevole, da una insegna dipinta, fino all’invenzione, sorprendente e vivacissima di passaggi, di attraversamenti, di sentieri e luoghi di incontro praticati dentro il fitto tessuto della città, questo Paese ha potuto contare sulla vivacità di innumerevoli luoghi esemplari, dove abitare bene. Molti di essi sono sorti coagulando energie individuali, gestendo animate controversie, amministrando spontaneamente volontà singolari, radunando i singoli attorno a un problema da risolvere. È l’idea di una città che si fa tanto con i cittadini così come attraverso l’azione diretta dei cittadini, artefici consapevoli del proprio mondo. Oggi questa seconda possibilità sembra essere scomparsa. La si incontra nelle periferie, nei villaggi informali, dove l’agire spontaneo cerca di fronteggiare una scarsità di risorse e mezzi che si trasforma in luminosa intuizione.
Come fare incontrare le energie latenti contenute nell’immaginazione dei singoli individui, nei gruppi familiari e di vicinato con il progetto e il disegno della città? Quali traiettorie percorrere per tenere insieme “alto” e “basso”? Per non perdere nessuna delle possibilità espressive e creative che un individuo coinvolto nel destino del proprio mondo quotidiano può offrire? È entro a questo orizzonte che si sviluppa la conversazione tra Maria Claudia Peretti e Simona Beolchi, qui invitate a riflettere su una delle possibili facce che compongono il delicato prisma che chiamiamo “partecipazione”.
Maria Claudia (Mariola) Peretti, architetto ed esperta di politiche urbane, governance territoriale e processi partecipativi, dal 2006 al 2016 è stata consulente del Comune di Bergamo per lo start up dell’Urban Center e dal 2010 al 2019 ha ideato e coordinato le 10 edizioni di Iconemi, ciclo di incontri multidisciplinari sul tema dei paesaggi contemporanei. Dal 2016 è membro della redazione della rivista di architettura e paesaggio Ark. Simona Beolchi, urbanista, dal 2021 è coordinatrice dell’Area Design dei processi e prossimità per la Fondazione Innovazione Urbana di Bologna, docente al laboratorio di Advanced design dei servizi e al Master in Gestione e coproduzione di processi partecipativi, comunità e reti di prossimità all’Università di Bologna. Dal 2010 lavora come project manager, facilitatrice e designer nell’ambito di processi partecipativi di trasformazione di diverse città, mettendo al centro del proprio operato i temi della sostenibilità e dell’educazione. Insieme, tessono un dialogo sostenuto da esperienze concretamente messe alla prova, al fine di far convergere le possibilità immaginali degli individui, che altrimenti rischierebbero di atrofizzarsi, cedendo alla fruizione passiva di ciò che ancora, ostinatamente, continuiamo a chiamare “luogo comune”
MCP «Negli ultimi vent’anni si è consolidata la consapevolezza che il progetto del territorio non può prescindere da una nuova e “più attenta considerazione degli abitanti” e il tema della “partecipazione” è diventato, almeno a livello teorico, un pilastro del progetto di trasformazione a qualsiasi livello. I motivi sono molti e si appoggiano a una spessa letteratura di approfondimento scientifico, da Lefebrve (1) alla Jacobs(2), che a partire dagli anni Sessanta ha analizzato le disfunzioni del territorio contemporaneo, ponendole in un collegamento diretto con il grado della qualità possibile per la vita delle persone e degli stessi sistemi democratici.
In particolare il tema della partecipazione si fonda su due principali motivazioni. Da una parte la necessità di prevenire i conflitti che molto spesso accompagnano gli interventi di cambiamento delle realtà abitative imposti dall’alto: la città viene considerata come “diritto inalienabile”(3) di cui riappropriarsi sottraendola alle logiche atopiche del real estate finanziario. Dall’altra il riconoscimento che gli abitanti con i loro “sguardi plurimi e incrociati sulla strada”(4) sono “portatori di una conoscenza dei luoghi” per molti versi insostituibile, di “capitale spaziale” e che le loro percezioni ed esperienze dirette e quotidiane possano arricchire il progetto evitando che diventi un’esercitazione elitaria e autoriferita. La categoria dello “spazio” non è separabile dal suo essere “abitato”: non esiste in sé ma in rapporto ai corpi e ai pensieri di chi lo attraversa, lo ricorda, lo esperisce.
Il grande e complesso tema della partecipazione ai progetti territoriali si sviluppa parallelamente al grande e complesso tema della partecipazione alla polis in un periodo che vede la crisi profonda delle rappresentanze e della fiducia delle persone nei confronti delle istituzioni che le governano: le forme della “democrazia diretta” appaiono da una parte come una necessità ineludibile, dall’altra come un’utopia irrealizzabile.
Di certo la “partecipazione” non avviene per caso ma è a sua volta un progetto che necessita di un metodo, di una regia, di una strategia senza cui rischia di essere non solo inutile ma distruttiva: nella scena sociale contemporanea si recita a soggetto e ogni personaggio è in cerca di autore con motivazioni che spesso appaiono nel loro insieme contraddittorie, individualistiche, facilmente strumentalizzabili. Comunque, divergenti sia a livello di bisogni che di desideri. Partecipazione è innanzitutto attitudine all’ascolto, comprensione delle differenze e della complessità: soltanto su queste basi si possono costruire spazi di condivisione capace di mediare i conflitti, superandoli in nome di un risultato comune. Coabitandoli»
SB «È in questi termini che la città di Bologna da più di cinque anni ha impostato un nuovo modo di interagire con i suoi cittadini e cittadine, proponendo una piattaforma stabile di ascolto, di condivisione di opportunità, di scambio, di trasparenza dei processi e di attivazione. Quasi ogni anno organizza i Laboratori di Quartiere, occasioni di confronto tra Amministrazione e cittadini/e, gestiti dalla Fondazione per l’innovazione Urbana con lo scopo di mettere a sistema risorse e favorire sinergie per nuove progettualità. Questo non è l’unico strumento che il Comune ha messo in campo per provare a restringere quel senso di sfiducia nelle Istituzioni, la cassetta degli attrezzi della partecipazione pubblica si compone di numerose esperienze, tra cui anche il Regolamento dei beni comuni e i conseguenti Patti di collaborazione, strumenti che permettono la cura di un bene comune da parte delle comunità, grazie ad un accordo con l’amministrazione; la piattaforma digitale Partecipa, un luogo online dove scambiarsi informazioni ma anche interagire ed essere attivi per la città. La stessa Fondazione per l’Innovazione Urbana, istituzione nata nel 2018 per gestire i percorsi partecipativi della città su proposta dell’Amministrazione ma non solo.
A Bologna da anni si sta investendo per creare un vero e proprio “ecosistema” che propone canali di comunicazione diversi da quelli tradizionali, per moltiplicare le opportunità di ascolto, di condivisione e collaborazione. I processi partecipativi messi in campo spaziano da processi legati alla coprogettazione di Strategie cittadine (ad esempio Bologna città carbon neutral), di Piani (ad esempio il Piano Urbanistico generale), di “progetti a diverse scale” (ad esempio il progetto del nuovo sistema tranviario della città, o progetti di piazze e spazi pubblici) a Politiche cittadine (ad esempio il percorso per il Patto di collaborazione tra il Comune e le comunità LGBTQIA+). Oltre a questi si inseriscono anche “nuovi strumenti di partecipazione” e collaborazione come ad esempio l’Assemblea cittadina deliberativa e il Bilancio Partecipativo, un percorso di democrazia diretta che permette ai cittadini di fare proposte per orientare una parte del Bilancio della città. I cittadini possono infatti proporre e coprogettare la trasformazione di spazi pubblici della città e attività educative, sociali e culturali per animare questi spazi».