Giornalista professionista freelance, è laureata in Filosofia Teoretica all’Università Statale di Milano. Dopo aver esordito con collaborazioni per il Sole24Ore (Casa24) e il mensile Elle, attualmente scrive on&off line per testate nazionali ed estere centrando la sua indagine su design e architettura con particolare attenzione alla sostenibilità, Nuovo Umanesimo ed economia circolare. Pur viaggiando molto mantiene casa e cuore a Milano, la capitale del design che ha eletto a propria patria dopo aver vissuto a Londra per qualche tempo.
I progettisti dell’OICE promuovono il cemento, materiale amico della sostenibilità anche nella rigenerazione urbana
In Italia esiste una associazione nazionale di categoria, aderente a Confindustria dal 1994, che rappresenta le principali società italiane di progettazione organizzata di ingegneria, di architettura e di consulenza tecnico-economica. Si tratta dell’OICE a cui aderiscono studi, società professionali e di capitali che svolgono sia attività di consulting engineering che di engineering and contracting (ovvero “chiavi in mano”). Gli iscritti sono attualmente circa 340 con oltre 16.000 addetti di cui quasi il 90% laureati o tecnici di elevata qualificazione con una presenza di personale femminile superiore al 35%. Nel 2021 il loro fatturato ammontava a 3,1 miliardi di euro, realizzato per il 47% all’estero, ma per l’anno appena concluso si stima di superare quota 3,4 miliardi, con un aumento dell’11,4% sul 2021 anche grazie alle numerose commesse relative all’attuazione del PNRR, oltre il 25% del totale, e agli interventi legati al Superbonus, che hanno interessato il 26% degli associati. Analogamente l’occupazione è stimata in aumento del 9,4% nel 2022.
Sul piano della rappresentanza nazionale l’OICE nel 2009 è stata tra i promotori della creazione di Federcostruzioni, la federazione che raggruppa la filiera imprenditoriale delle costruzioni civili mentre a livello internazionale è stata tra i fondatori dell’EFCA (European Federation of Engineering Consultancy Associations), con sede a Bruxelles, che riunisce le similari associazioni di 27 paesi europei e rappresenta in Europa e nel mondo gli interessi dell’ingegneria “organizzata”. L’OICE è inoltre “Member Association” di FIDIC (International Federation of Consulting Engineers) come rappresentante dell’Italia, unitamente a Inarsind (Sindacato Nazionale Ingegneri e Architetti e Liberi Professionisti Italiani).
Centrale nell’attività dell’associazione è la promozione della cultura del progetto, la sua centralità e qualità, sia attraverso il dialogo con le istituzioni nell’evoluzione delle norme di settore, si pensi al codice degli appalti, sia con attività di formazione ed internazionalizzazione rivolte ai soci. Come ha evidenziato l’ingegner Francesca Federzoni, vice Presidente dell’OICE e ceo della modenese Politecnica, a sua volta socia OICE, «Se con le sue missioni internazionali OICE aiuta a espandere il business degli aderenti fuori dai confini nazionali all’interno di situazioni protette, assistendoli nel raggiungere quei paesi dove c’è bisogno di ingegneri e architetti che lavorino in studi organizzati in sinergia con partner locali, grazie alla OICE Accademy si forniscono occasioni per aumentare competitività e referenze tecnico-economiche mentre nel contempo si rafforzano le relazioni tra i membri. Tema assolutamente prioritario quando si partecipa a gare di progettazione». Federzoni è convinta che «Nei prossimi anni la domanda di professionisti in ingegneria e architettura sarà importante. Chi si sta attrezzando in questo senso sta investendo su questo futuro, un futuro in cui il cemento continuerà a rappresentare una scelta di sostenibilità concreta, anche nei cantieri di rigenerazione urbana».
Dal punto di osservazione dell’OICE che direzione sta prendendo la progettazione?
«Quello che stiamo vivendo è sicuramente un momento molto particolare, di grandissima domanda sia pubblica che privata. Gli investimenti sono numerosissimi e importanti, nel lusso in primis, legato all’automotive ma anche al settore tradizionale manifatturiero e industriale. La sensazione è quella di vivere in un periodo simile a quello subito successivo alla fine della Seconda Guerra Mondiale, quando c’era davvero tanto da ricostruire e l’effervescenza, l’aria di rinascita economica, era palpabile. Oggi anche noi, dopo il freno imposto dal Covid e anni di scarsi investimenti, stiamo assistendo a una forte accelerata dei progetti, sia di quelli nati come risposta alle carenze fatte emergere dalla pandemia sia di quelli programmati da tempo ma che erano rimasti nei cassetti per mancanza di fondi e di occasioni e ora trovano linfa grazie al varo del PNRR.
Certo l’aumento repentino dei prezzi ha rallentato i cantieri ma non la progettazione. È un momento incredibile perché se fosse per le stazioni appaltanti si partirebbe il giorno dopo la decisione presa, riducendo al minimo, grazie ai finanziamenti del PNRR, i tempi tecnici per aggiudicare. Il tema del costo delle materie prime e della conseguente revisione prezzi ha tolto però il controllo dalle mani delle imprese per darlo alle catene di fornitura e questo sta facendo rallentare il comparto. L’attuale governo ha ereditato il tema del codice degli appalti dal precedente e ora c’è attesa sulle prossime decisioni perché esiste una necessità di capire come affrontare l’incertezza. Il settore delle costruzioni è sempre stato un volano per il progresso e oggi è nuovamente chiamato a esserlo così come noi progettisti siamo a nostra volta coinvolti per far dialogare tutte le parti in gioco e permettere che i progetti, piccoli o grandi e a tutti i livelli, vadano a buon fine. In questo momento il nostro ruolo sta decisamente crescendo».
Proprio in merito al ruolo dei progettisti, quale pensa possa essere in rapporto al tema della Rigenerazione urbana?
«Non si fa rigenerazione senza bravi progettisti. La transizione ecologica è complessa, richiede di affrontare lavori dove concorrono molteplici figure professionali in sinergia, servono ingenti finanziamenti e bisogna mantenere una attenzione costante sulle possibili variabili in gioco ma se la sostenibilità implica complessità in Italia vantiamo una lunga tradizione nella ricerca di soluzioni progettuali complesse. Per rispettare la storicità degli edifici abbiamo infatti da sempre avuto delle complessità a cui badare e nel tempo abbiamo sviluppato un’indole di forte propensione a non spaventarci davanti a queste situazioni ma piuttosto cercare soluzioni per affrontare scenari in cambiamento, spesso singolari, che richiedono interventi ogni volta diversi. Oggi possiamo serenamente affermare che la progettazione italiana è pronta per affrontare la sfida che la rigenerazione pone in campo. Perché siamo intrinsecamente dotati di quell’attitudine e familiarità con un concetto di sostenibilità che viene dalla possibilità di affrontare il tema in maniera multidisciplinare e perché abbiamo quell’ambizione che serve per porre in atto progetti con questa natura insieme con la volontà forte di realizzarli facendo scelte progettuali che hanno costi economici che devono essere pensati e condivisi.
La rigenerazione rappresenta davvero un’ottima occasione per i progettisti per uscire dalla sudditanza verso gli altri players coinvolti nella realizzazione del progetto, una minorità di cui si è spesso sofferto in passato. È nella rigenerazione, infatti, che il progettista è di fianco e non subito dopo alla committenza, rivestendo il ruolo di uno dei principali artefici delle operazioni perché, pur non mettendo i capitali, è il cardine che permette di coordinare il migliore investimento possibile per le migliori attività possibili.
I lavori di rigenerazione sono davvero di squadra, il mix per eccellenza delle massime specializzazioni. La vera sfida da vincere, una sfida fattibile e sostenibile ma che richiede un investimento ingente, il coinvolgimento di attori pubblici e privati e che deve riuscire a non realizzare meri esercizi di stile, lavori autoreferenziali, ma dare una ricaduta concreta, riconosciuta e quantificata per chi investe nonché un beneficio sociale per la comunità. I processi sono lunghi, oltre i mandati di una singola amministrazione, e gli ingegneri e architetti progettisti giocano un ruolo essenziale perché sono l’elemento di raccordo tra tutte le parti coinvolte. Consideriamo che in Italia superare lo scoglio della fattibilità concreta della rigenerazione urbana, per come viene proposta dall’Europa, significa far rifiorire aree sonnecchianti del nostro Paese. Penso agli interventi a Modena o ai bandi per le aree periferiche di Pesaro, Cesena e Mantova coinvolte da questo genere di interventi».
Nei progetti di rigenerazione urbana il cemento e il calcestruzzo sono ancora attuali? Possono essere considerati materiali sostenibili?
«Non è il materiale ma il progetto a essere sostenibile. Non esiste un materiale sostenibile in assoluto e uno no, sono le scelte a renderlo tale e i motivi che portano a utilizzarne uno anziché un altro sono legati alle circostanze d’uso. La digitalizzazione, il BIM, ci permette di calcolare oggi il costo dell’intero ciclo di vita di un edificio, dai tempi di realizzazione alle dinamiche di smaltimento tenendo conto anche della manutenzione, ed è in base a questo che si scelgono i materiali da utilizzare. Il cemento armato resta il materiale principe nelle costruzioni, non bisogna averne paura. Il suo problema è che deve scontare una terminologia da sempre contrapposta a quella della sostenibilità. Diamo accezione negativa a parole come “cementificazione” ma il cemento non si merita questa cattiva fama.
Il cemento ha una durabilità e nel tempo ne abbiamo acquisito una conoscenza approfondita, imparando a usarlo nel momento giusto al posto giusto, anche dal punto di vista estetico. In passato è certamente vero che lo abbiamo sfruttato al limite, abusandone anche, ma oggi c’è tutto il bagaglio culturale per sceglierlo e usarlo al meglio e più conosciamo questo materiale più lo utilizziamo in modo appropriato, sfatando miti e narrazioni avverse. Pensiamo ai capolavori di Luigi Nervi ma anche al nostro patrimonio edilizio, anche il più scadente, dal monitoraggio degli edifici esistenti possiamo trarre ancora nuovi insegnamenti sul suo conto. Il legno, tanto evocato in questi ultimi tempi, è ancora utilizzato poco nei grandi edifici perché quando ci sono più scelte possibili si fa comunque la scelta migliore. Il cemento non è di per sé un male, può essere utile alla vita. È l’utilizzo che se ne fa che ne determina la sostenibilità. Non mi stancherò mai di ripeterlo: conoscere le caratteristiche dei materiali serve per fare la scelta migliore, la scelta più sostenibile dal punto di vista economico, sociale e ambientale».
Come vede il futuro?
«Negli anni passati, i più duri per noi, abbiamo investito moltissimo in formazione e digitalizzazione perché l’atto del progettista, per essere utile, richiede un bagaglio culturale di anni, anche se la decisione è presa poi in pochi minuti. L’investimento culturale però ha pagato. Ora che il settore sembra tornato a correre abbiamo bisogno di più donne e uomini, più professioniste e professionisti per affrontare questa nuova fase. Sono ottimista».