Giornalista e scrittore, è autore di più libri dedicati alla conservazione del paesaggio naturale, rurale e urbano. Con il romanzo "Salaì. L’altra metà di Leonardo" ha vinto il "Premio internazionale di letteratura Città di Como" e il "Premio Il romanzo storico". Collaboratore della rivista Orobie, è autore di monografie per importanti aziende italiane.
L’attività estrattiva accompagna l’uomo fin dalla notte dei tempi, quando dalla roccia ricavava la materia con cui fabbricare utensili rudimentali. Furono gli egizi i primi a trasferire i minerali dal banco roccioso, e quindi dall’orizzonte della natura, a quello della fabbrica e dell’arte, consegnando all’eternità ciclopici monumenti in pietra squadrata. Si potrebbe proseguire ricordando che senza il travertino proveniente dalla cave di Tivoli non avremmo né il Colosseo né il colonnato del Bernini a San Pietro e che senza i marmi provenienti dalle cave di Candoglia, all’imbocco della Val d’Ossola, non potremmo ammirare il Duomo di Milano. Sia chiaro, qui non si intende ripercorrere la storia dell’architettura in pietra, ma solo sottolineare come le operazioni del cavare e dell’edificare costituiscano da sempre due parti di un unico processo: in una si sottrae, nell’altra si aggiunge. In tal senso le cave possono essere considerate la controforma della costruzione finita. Quando guardiamo un edificio e ne apprezziamo la composizione, l’eleganza o l’originalità non dovremmo mai scordare che le materie prime di cui è composto sono state estratte dalla terra. E che da qualche altra parte c’è un vuoto, simile a un’opera capovolta, creata nel fianco di una collina, di un monte o sul fondo della pianura per soddisfare le esigenze umane.
Oggi la cava è un complesso vivente in costante evoluzione, al cui interno si procede contestualmente sia al recupero delle zone dove è terminata l’estrazione sia all’apertura di nuove aree di coltivazione. In realtà anche il reimpiego è un fenomeno antico. Le necropoli costituiscono forse il primo esempio a tale riguardo: la parola catacomba deriva da ad catacumbas, cioè presso l’avvallamento, con riferimento al complesso funerario di San Sebastiano sulla Via Appia a Roma, ottenuto nella stessa zona dove prima insistevano antiche cave di pozzolana. Per estensione la voce è stata poi assunta per indicare i cimiteri sotterranei cristiani.
Da alcuni decenni il riuso dei siti estrattivi ha superato l’approccio meramente utilitaristico per prendere in esame tutti gli aspetti ecologici e ambientali. Occorre però ricordare che pure in passato certi progetti di recupero sono stati guidati da canoni paesaggistici: per esempio i giardini di Boboli a Firenze, splendida realizzazione rinascimentale su una cava di pietraforte attiva fin dal Medioevo, o il più recente Monte Stella di Milano, sorto sul luogo di una vecchia cava riempita con le macerie degli edifici bombardati durante la seconda guerra mondiale.