Lifestyle, ospitalità e viaggio: questi sono i temi che ama esplorare in reportage e progetti realizzati dal 1999 a oggi per editori italiani e stranieri. La sua lunga expertise deriva da 13 anni trascorsi da inviata di CN Traveller Italia, testata di cui dal 2016 è Project Editor & Consultant. Cura contenuti e interviste per il blog di Starpool ed è spesso keynote speaker per eventi internazionali. Dal 2017 è senior editor di VO+ Jewels & Luxury Magazine, distribuito anche all’estero. Fra i progetti di comunicazione di sua ideazione, Discover the other ITALY, originale campagna per la promozione del territorio esportata dal Ministero degli Esteri in USA, Canada, UAE e Cina. Le sue molte attività sono ora raccolte sotto il brand The Travel Tailorist.
Cammini e prodotti della tradizione: modelli di turismo sostenibile per valorizzare i territori montani
Il 7 novembre 1991, a Berchtesgaden, in Baviera, veniva firmata la “Convenzione delle Alpi”, che per la prima volta riconosceva un’unità territoriale alpina fra tutti gli Stati interessati e la necessità di garantire uno sviluppo sostenibile e una politica comune di tutela dell’area. Era l’inizio di un lungo processo di presa di coscienza dell’importanza delle aree montane e di una responsabilità diffusa nella salvaguardia non solo del patrimonio naturalistico ma anche culturale e sociale di chi vive sulle Alpi. Una storia che quest’anno compie trent’anni, ma che ancora ben pochi conoscono, nonostante le tante iniziative promosse in questi tre decenni dagli otto Stati firmatari: Austria, Francia, Germania, Liechtenstein, Principato di Monaco, Slovenia, Svizzera e, ovviamente, Italia. Fra le attività di maggior rilievo, c’è la nomina della “Città alpina dell’anno”, riconoscimento conferito alle comunità che si distinguono per l’impegno preso nel raggiungimento degli obiettivi della Convenzione stessa, quali per esempio rafforzare la coscienza per lo spazio vitale e naturale delle Alpi, favorire la partecipazione della popolazione a iniziative proattive, e soprattutto dare un’impronta sostenibile al futuro attraverso progetti concreti. Nel 2019, sul gradino più alto di questo podio virtuale e virtuoso è arrivata Morbegno, cuore della bassa Valtellina allo sbocco fra Valle del Bitto e Val Gerola. Un riconoscimento che ha premiato i molti sforzi dell’amministrazione locale, certo, ma anche le singole attività imprenditoriali di chi ha messo al centro la rinascita di un sistema già in parte compromesso.
Esempio di questa “comunione di intenti” fra pubblico e privato a sostegno del territorio è sicuramente la DOL, la Dorsale Orobica Lecchese, un percorso che ruotando attorno al Pizzo dei Tre Signori tocca le province di Bergamo, Lecco e Sondrio, e che nel Settecento aveva già la sua importanza, delineando il confine fra la Repubblica di Venezia, il Ducato di Milano e la Repubblica Elvetica delle Tre Leghe. Un iter iniziato negli Anni Novanta e che, passo dopo passo, ha portato alla trasformazione di un semplice sentiero in un cammino vero e proprio, e nel 2020 alla pubblicazione da parte della rivista Orobie della guida “DOL dei Tre Signori”, sostenuta da Italcementi. Quelli descritti nella guida sono percorsi con un approccio a una mobilità sensibile ai temi ambientali, che integrano treno e cammino e hanno come punti di partenza delle varie tappe le stazioni ferroviarie di Bergamo, Colico e Morbegno. Caratteristica costante della DOL è infatti il dialogo che si crea fra la dorsale e le aree pedemontane, permettendo di scoprire contesti inusuali, come la cava Italcementi di Colle Pedrino, lungo il tratto Roncola-Morterone. Qui si può apprezzare l’evoluzione di un importante progetto di ripristino che va di pari passo con quello dell’estrazione, avendo come focus la valorizzazione della biodiversità dell’area.
Esperienza significativa per capire cosa vuol dire promuovere la sostenibilità da queste parti è quella che si può fare a Mantello, un borgo di appena 700 abitanti in provincia di Sondrio, di cui un decimo gravitanti attorno a La Fiorida. “Attori” principali di questa scena sono un imprenditore e uno chef, Plinio Vanini e Gianni Tarabini. Che le loro strade prima o poi si sarebbero incrociate era abbastanza ovvio e naturale, perché fra Morbegno e Nuova Olonio passano 15 chilometri. Quindici chilometri di pascoli e montagne della loro amata Valtellina, che fa da sfondo prima alla loro infanzia e ora appunto a La Fiorida, situata a metà tragitto fra i loro due paesi natii. Ma prima di ritrovarsi letteralmente sotto lo stesso tetto, le loro vite prendono il largo, portando Plinio a diventare un imprenditore di fama internazionale nell’ambito dell’automotive con i Saloni Autotorino, e Gianni uno chef fra i più quotati della sua generazione. Il richiamo della terra e dei luoghi d’origine però si fa presto sentire per entrambi, come un’esigenza di vera realizzazione, che va al di là delle mere questioni di carriera e successo.
A creare i presupposti di ciò che è oggi un’azienda agricola e agrituristica che ha fatto scuola ben oltre il crinale di queste montagne è un piccolo allevamento di vacche di razza bruna. Mucche che per Plinio non sono solo una forma alternativa di investimento, bensì una manifestazione piuttosto evidente del suo legame con la natura e il territorio. Il suo. La stalla, il macello, il caseificio, l’orto, lo spaccio… tassello dopo tassello, quel sogno tenuto per anni nel cassetto prende forma e diventa realtà, fino al 2000, quando La Fiorida apre i battenti. L’azienda cresce anno dopo anno, e la famiglia pure. Quella di Plinio in primis, che nel frattempo ha tre figli, ma anche quella della fattoria, che oggi conta una settantina di dipendenti, 130 vacche, oltre a maiali, capre e 60 ettari nella Bassa Valtellina coltivati a mais e fieno, nutrimento a km zero per il bestiame di casa Vanini. Da lì ad aprire le porte anche all’accoglienza per ospiti in cerca di autenticità il passo è breve. Ed ecco, nel 2006, 29 camere in sasso e legno in perfetto stile valtellinese, un centro benessere con tanto di linea di bellezza a base di latte e prodotti bio self made, e il Ristorante Quattro Stagioni, che già nel nome ha la sua dichiarazione d’intenti: proporre una cucina locale e stagionale. Ma ancora non basta. La ricerca dell’eccellenza del prodotto porta all’evoluzione gourmet della tavola, quindi all’apertura di La Preséf e all’arrivo di chef Gianni.
Un rapido rewind del suo cursus honorum fa capire quanto sia la persona giusta nel luogo giusto. Figlio di albergatori ancora oggi proprietari di un locale storico di Nuova Olonio, l’Albergo Ristorante Maloja, Gianni impara i primi rudimenti del mestiere da nonna Carmela, cuoca ricca di saggezza e determinazione, e nel contempo si innamora della vita semplice di montagna trascorrendo le estati in alpeggio, praticando la transumanza e imparando l’arte del casaro. Sono anni di fatica, impegno, tanto lavoro duro, ma anche un senso di libertà e di attaccamento alle radici e a quello stile di vita che non lo abbandoneranno più. «Negli Anni Novanta, fare alta ristorazione significava puntare su uno stile internazionale, ma di certo mi rispecchia di più la cucina che propongo a La Preséf. Un nome che in dialetto locale significa mangiatoia, e che richiama il senso di genuinità, il rispetto e il culto per la materia prima più pura che animano da sempre il lavoro di tutti noi. Carni, salumi, formaggi e latte sono di nostra produzione, e ciò che non lo è viene da piccole aziende della zona. Le uova sono di selva, di un allevatore che lascia crescere le galline allo stato brado nel bosco. Il tartufo è quello che spunta sotto lo sperone della Costiera dei Cech, nei dintorni di Dubino, mentre le trote sono frutto della sapienza di un pescicoltore della Val Masino, la cui acqua di sorgente rende le carni compatte e dal gusto intenso. Dai mulini della valle attingiamo invece le farine, macinate a pietra, il che rende i suoi derivati, come pane e pizzoccheri, ogni volta differenti».
Artigianalità al 100%, insomma, unita a un amore non comune per una terra spesso difficile. Lo sa bene Viola, primogenita di casa Vanini, 32 anni di cui 25 passati in fattoria, a contatto con mucche & Co. ma soprattutto con la passione contagiosa di suo padre per la vita di campagna e la Valtellina, e la voglia di riportare in vita antiche tradizioni locali in modo virtuoso e sostenibile. Che il Dna non mente lo si capisce al volo, quando inizia a parlare di vitellini e capretti e della sua “giornata tipo”, un ménage che non tutti i ragazzi della sua età accoglierebbero con lo stesso spirito, di sacrificio sì ma carico di entusiasmo. A partire dalla sveglia, fissata alle 4.33. «Non mi piacciono i numeri precisi, così la punto sempre alle 4.33. C’è tempo per un caffè, per capire che giornata sarà, se di sole, pioggia o neve, e alle 5 siamo già in stalla per la prima mungitura. Verso le 7.15 abbiamo finito il giro, e viene il momento del secondo caffè, questa volta con il latte appena munto. Poi si fa il fieno, si controlla la miscelata per il mangime e che le vacche abbiano tutto ciò che le fa star bene. La nuova stalla appena messa a punto ha uno spazio dedicato alle lettiere, dove gli animali possono sdraiarsi, rilassarsi, e anche massaggiarsi in totale autonomia con una serie di rulli che gli lavorano fianchi e dorso. Una sorta di Spa pensata per il loro comfort e benessere. Una vacca felice produce latte di qualità migliore, e loro sono all’origine della nostra filiera. Pranzo alle 12, alle 15 si torna in stalla, alle 17 c’è la seconda mungitura. Se tutto va bene, e se le mucche collaborano, la giornata di lavoro termina verso le 20».
L’orgoglio c’è e si sente, e fa svanire in un soffio la stanchezza di ritmi antelucani e serrati. E a buon diritto, perché tanto sforzo è riconosciuto dal pubblico – che conta fino a 90.000 coperti all’anno fra i due ristoranti, con addicted che arrivano anche da Francia, Svizzera e Germania – e dagli esperti, che hanno attribuito a La Preséf una stella Michelin, rendendolo l’unico ristorante di agriturismo insignito di questo riconoscimento in tutta Europa. Non male per chi si trova lontano da tutto, a due ore dalla città più vicina, Lecco, e in un contesto dove la qualità di ciò che si offre dipende solo da te. Ma andando a scavare ancora più a fondo si scopre che la scintilla innescata da Plinio e ora alimentata da Viola con freschezza e tanta voglia di fare ha dato il via a un circolo virtuoso che ha portato fermento in tutta la valle. Fermento che ha anche un nome, “Terra Alta di Valtellina”.
«Il progetto nasce per il desiderio di coinvolgere la comunità in modo attivo, di farla tornare a vivere e di dare un futuro a piccoli artigiani che erano in sofferenza, e che ora invece sono parte integrante della nostra filiera corta e completa», riprende Viola. «L’impegno per la valorizzazione delle tradizioni autoctone si traduce in un sostegno reale all’economia locale, oltre che in una promozione del territorio come destinazione turistica e quindi in accoglienza nel senso più ampio del termine. Alla base della collaborazione con le microimprese valligiane c’è un impegno ad acquistare i prodotti rispondenti a precisi criteri di sostenibilità e genuinità a un prezzo superiore del 50% su quello commerciale medio, come per esempio accade con la Latteria Sociale di Mellarolo, un borgo di appena 30 case in Val Gerola. La Latteria ha una storia ultracentenaria, ma l’attività si è andata sempre più perdendo fino a ridursi agli attuali 20 capi di bestiame gestiti da tre famiglie, che transumano in 23 stalle fra gli 800 e i 1.500 metri di quota. Il che significa fra i 100 e i 250 litri di latte al giorno a seconda della stagione ma sempre di una qualità eccelsa. A pensarci sembra quasi di fare un viaggio indietro nel tempo, perché chi pratica questo mestiere segue ritmi e abitudini che nulla hanno a che fare con il mondo moderno. Il risultato di “Terra Alta” e di queste preziose collaborazioni è sotto gli occhi di tutti: le aziende hanno respiro, possono pensare a un domani, e noi sentiamo di dare un valore aggiunto alla nostra presenza qui. L’aspetto etico, emozionale che ci regala questa consapevolezza non ha prezzo». Così come non lo hanno le 70 forme di formaggio prodotte ogni mese a Mellarolo, in vendita anche nello spaccio de La Fiorida, accanto alle 27 tipologie di formaggi by Vanini, dalle ricottine fresche di giornata al Casera Dop stravecchio con oltre 300 giorni di stagionatura. Dieci mesi trascorsi a 69 metri esatti dalla stalla dove è stato munto il latte. Molto più che a km zero.