Co-fondatrice, community manager e volto di Greencome, new media dedicato alla sostenibilità, si occupa di contenuti editoriali, campagne e progetti di engagement che raccontano storie, condividono soluzioni e diffondono notizie su clima e ambiente, con l’obiettivo di sensibilizzare e ispirare un cambiamento positivo. Laureata magistrale in Economia e Politiche dell’Ambiente, ha affiancato al percorso accademico un impegno attivo in ambito associativo, in particolare con Legambiente, dove ha ricoperto il ruolo di delegata nazionale, con l’intento di tradurre l’attivismo personale in azioni concrete per la tutela dell’ambiente.
Adattarsi al clima che cambia. Intervista a Marco Merola
L’adattamento climatico è passato da concetto tecnico a priorità politica, economica e sociale. Secondo il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (IPCC), adattarsi significa adeguare i sistemi umani e naturali al clima attuale o previsto, per ridurre al minimo i danni o cogliere le opportunità che possono presentarsi.
Per capire perché oggi l’adattamento è davvero imprescindibile, quali strategie stanno funzionando e quali ostacoli restano da superare, abbiamo fatto alcune domande a Marco Merola, giornalista scientifico, docente del master di II livello “Climate Change: adaptation and mitigation solutions” del Politecnico di Torino, autore del webdoc Adaptation.it e co-fondatore del Constructive Network.

Perché oggi è così centrale ed è importante investire in strategie e politiche di adattamento?
«Il cambiamento climatico non è una prospettiva futura: è già qui, e lo vediamo ogni giorno. I dati lo confermano, secondo le rilevazioni dell’Osservatorio di Mauna Loa alle Hawaii (considerato il punto di riferimento globale per il monitoraggio continuo della CO₂ atmosferica, ndr) le concentrazioni atmosferiche di CO₂ hanno raggiunto una media di 426,89 ppm a maggio 2025. L’IPCC indica che valori di CO₂ così elevati non si registravano da almeno due milioni di anni: un dato senza precedenti nella storia antropica del pianeta. Questa quantità record di CO₂, insieme all’accumulo di altri gas serra come il metano, sta alterando l’equilibrio naturale dell’effetto serra, il meccanismo che da sempre garantisce temperature compatibili con la vita sulla Terra. In condizioni normali, parte della radiazione solare che raggiunge la Terra viene trasformata in calore e poi dispersa nello spazio. Ma l’eccesso di gas climalteranti intrappola questo calore nell’atmosfera, impedendogli di uscire dal sistema Terra. Il risultato è un innalzamento anomalo delle temperature medie globali.
Gli effetti del riscaldamento globale sono già piuttosto evidenti nel nostro Paese. Ci troviamo infatti nel cuore del Mediterraneo, una delle aree del pianeta che si sta riscaldando più velocemente: circa il 20% in più rispetto alla media globale. Per questo motivo è considerato un vero e proprio hot spot climatico, dove gli effetti della crisi climatica si manifestano con particolare rapidità e intensità. Il Piemonte, ad esempio, è passato dall’essere la regione più siccitosa d’Europa nel 2022 al registrare un record di precipitazioni nel 2024. Un altro segnale evidente arriva dalla Sicilia, dove nell’estate del 2021 si è raggiunta una temperatura record di 48,8 °C, la più alta mai registrata in Europa.
Il termine “adattamento” compare nei rapporti dell’IPCC da oltre venticinque anni, ma solo di recente è entrato davvero nel dibattito pubblico: per molto tempo l’attenzione si è concentrata soprattutto sulla mitigazione, cioè sulla riduzione delle emissioni di CO2 prodotte dalle attività umane. Tuttavia, anche se domani smettessimo del tutto di emettere, gli effetti dell’anidride carbonica accumulata in atmosfera negli ultimi decenni continuerebbero a farsi sentire ancora a lungo. È il cosiddetto fenomeno dell’inerzia climatica, legato sia alla lunga permanenza dei gas serra in atmosfera, sia all’inerzia termica dei diversi componenti del sistema climatico (che accumulano e rilasciano calore a ritmi differenti, ndr). In altre parole, la mitigazione resta essenziale, ma i suoi risultati richiedono tempi lunghi e incerti. Per questo non possiamo limitarci ad aspettare: dobbiamo prepararci fin da subito a vivere in un clima che è già cambiato e che continuerà a cambiare.
In questo scenario, l’adattamento è quindi essenziale per costruire resilienza e proteggere ogni forma di vita su questo pianeta. La capacità di adattamento dipende dalla resilienza dei sistemi territoriali: servono strumenti tecnici e istituzionali in grado di ridurre l’esposizione ai rischi, gestire le vulnerabilità e rafforzare la risposta adattiva. Adattarsi implica creare politiche e strumenti in grado di assorbire le crisi, non per tornare al passato, ma per definire un nuovo equilibrio efficace».

Entrando nel merito, quali sono oggi degli esempi di strategie o strumenti di adattamento più efficaci che stiamo già vedendo applicati in Italia o in Europa?
«Sul piano urbano, l’adattamento implica interventi infrastrutturali e ambientali, mirati a combattere i due grandi nemici delle città: l’eccesso di acqua piovana, e l’aumento delle temperature. Solo nel 2024, in Italia sono stati registrati oltre 3.600 eventi meteoclimatici estremi, tra piogge intense, grandinate e raffiche di vento – più del doppio rispetto agli anni precedenti. Allo stesso tempo, le superfici artificiali delle città aggravano il problema delle caldo urbano, trattenendo il calore. Questo genera il cosiddetto effetto “isola di calore”, che può causare un innalzamento delle temperature locali fino a 4–7 °C rispetto alle aree rurali circostanti.
Un esempio significativo arriva da Rimini, dove sotto piazza Kennedy sono state realizzate due grandi vasche sotterranee: una di laminazione e una di prima pioggia, con una capacità complessiva pari a 20 piscine olimpioniche. Queste infrastrutture consentono di trattenere l’acqua in eccesso durante gli eventi piovosi più intensi e di intercettare le prime acque meteoriche, particolarmente ricche di inquinanti, contribuendo così a ridurre il rischio di allagamenti, a salvaguardare la qualità del mare e a tutelare l’economia turistica. Una città come Rimini ha trasformato un grande parcheggio a cielo aperto in uno spazio multifunzionale capace di restituire valore allo spazio urbano e assorbire gli shock climatici.
A Rotterdam, invece, hanno progettato le water squares: piazze che diventano bacini temporanei durante le piogge torrenziali e riserve d’acqua nei periodi di siccità. Sono soluzioni che combinano estetica urbana e ingegneria idraulica, integrando il cambiamento climatico nella progettazione dello spazio pubblico.
Poi c’è la forestazione urbana, che è una misura a cavallo tra la mitigazione e l’adattamento. Un solo albero può intercettare fino a 300 litri d’acqua piovana all’anno e abbassare la temperatura dell’aria circostante di 1–3 °C. Inoltre, un albero maturo è in grado di assorbire tra i 20 e i 25 kg di CO₂ all’anno, contribuendo così alla mitigazione delle emissioni. Piantare alberi può aiutarci quindi a contrastare l’effetto isola di calore, a migliorare la qualità dell’aria e a rallentare il deflusso idrico. Se piantati in modo strategico, gli alberi diventano veri e propri dispositivi di adattamento, capaci di rafforzare la resilienza delle città ai cambiamenti climatici.
Al di fuori dei contesti urbani, un esempio significativo è rappresentato dal centro antincendio situato in provincia di Pisa, riconosciuto a livello europeo per l’adozione di tecniche avanzate di gestione forestale. Il centro forma operatori specializzati e sviluppa strategie mirate a ridurre la vulnerabilità dei boschi: in un clima sempre più secco e caldo, è fondamentale intervenire per prevenire gli incendi, non solo per spegnerli.
Un altro esempio virtuoso è rappresentato dal progetto olandese “Room for the Rivers”, che ha ridisegnato aree fluviali intere per restituire spazio ai fiumi e ridurre il rischio di alluvioni. Attraverso una mappatura idraulica dettagliata, sono state identificate le zone più esposte, prevedendo incentivi per la delocalizzazione delle abitazioni a rischio e interventi di riconfigurazione del territorio, con l’obiettivo di migliorare la capacità di deflusso dei fiumi e aumentare la sicurezza delle comunità locali. Un’operazione di ampio respiro, che richiede visione, investimenti e consenso».

Oltre agli interventi infrastrutturali e naturali, come quelli appena descritti, credi che anche i nuovi materiali edilizi possano aiutare le città ad adattarsi meglio agli eventi climatici estremi come piogge intense o temperature record?
«Sicuramente rivolgersi ai nuovi materiali sta diventando sempre più necessario per rendere le nostre città più resilienti, e al tempo stesso per ridurre l’impatto ambientale dell’edilizia. In un Paese come l’Italia, che nel 2023 risultava quinto in Europa per consumo di suolo con una copertura artificiale del 7,14% contro una media UE di circa il 4%, è indispensabile promuovere la cultura della rigenerazione e del riuso anche nel campo edile. Dovremmo costruire meno e costruire meglio.
Quando però costruire è inevitabile, la scelta dei materiali diventa cruciale. Oggi esistono diverse soluzioni: dai calcestruzzi drenanti, che consentono all’acqua piovana di filtrare attraverso la pavimentazione riducendo il rischio di allagamenti e la pressione sulle reti fognarie, ai composti autocompattanti e ad altri materiali con un minore impatto emissivo. Ma non esiste una risposta unica: tutto dipende dal contesto, dal territorio e dal tipo di rischio climatico.
Ci sono poi esempi virtuosi, come quello che è successo in Trentino dopo la tempesta Vaia, che nell’ottobre 2018 ha colpito il Nord-Est Italia abbattendo oltre 14 milioni di alberi. Il legno abbattuto è stato trasformato in pannelli con cui si sono costruite abitazioni e persino un grattacielo di dieci piani. Un modo concreto per ridurre le emissioni e aumentare la resilienza delle strutture. Si tratta di scegliere materiali locali, intelligenti, che abbiano una storia e che riducano al minimo l’impatto della filiera».

Roberto Conte, dettaglio pavimentazione in calcestruzzo i.idro DRAIN.
Finora abbiamo parlato di infrastrutture e materiali, ma i cambiamenti necessari per affrontare la crisi climatica riguardano anche le persone. Come vedi il ruolo delle comunità locali e dei cittadini nei processi di adattamento?
«Penso il coinvolgimento sia fondamentale, al di fuori dell’Italia ci sono diversi esempi interessanti. Come la Citizen Science, che rende le persone vere e proprie “sentinelle del clima”. I cittadini possono raccogliere dati, monitorare fenomeni, contribuire con osservazioni preziose. Questo non solo responsabilizza, ma costruisce consenso attorno a politiche che a volte rischierebbero di apparire impopolari.
L’adattamento richiede partecipazione attiva. Proprio per questo, le comunità locali dovrebbero partecipare ai processi decisionali, soprattutto quando le decisioni impattano il territorio e le abitudini quotidiane.
Molte politiche di adattamento falliscono o subiscono ritardi perché imposte dall’alto, senza un reale coinvolgimento delle comunità. Quando invece le persone partecipano al processo, i risultati cambiano: anche le misure più complesse possono avere successo, se comunicate con chiarezza e supportate da valide alternative.
Prendiamo le zone a traffico limitato: se vengono introdotte senza alternative di trasporto pubblico, generano malcontento. Ma se accompagnate da servizi migliori e spiegate con chiarezza, diventano accettate e persino richieste.
È anche una questione di giustizia climatica: l’adattamento non può gravare solo sui cittadini, deve essere sostenuto da politiche pubbliche coerenti e da strumenti di supporto, accessibili e ben comunicati. Come dico spesso: non penso ci possa essere transizione se non c’è buona comunicazione».

Roberto Conte, pavimentazione del lungomare di Barcarello (PA), realizzata con calcestruzzo drenante i.idro DRAIN.
Quali sono i costi dell’inazione rispetto all’investimento in strategie di adattamento?
«Il cambiamento climatico sta già comportando costi elevati. Un report del World Economic Forum e Boston Consulting Group ci indica che dal 2000 a oggi gli eventi climatici estremi hanno causato $3.600 miliardi di danni nel mondo, $1.000 miliardi solo dal 2020 al 2024. Parliamo di raccolti persi, infrastrutture danneggiate, ma anche di danni indiretti: perdita di produttività e calo dell’occupazione.
Tuttavia, per ogni dollaro speso in adattamento, si possono ottenere fino a venti dollari di ritorno. È un investimento che conviene a tutti: istituzioni e imprese. Le aziende che scelgono l’adattamento riducono i rischi operativi, rafforzano la reputazione e migliorano la competitività.
Pensare che l’adattamento sia un lusso è un errore. Ignorarlo significa affrontare costi ben più elevati, che si riflettono su economia, salute e lavoro. Parliamo di perdite reali, tangibili, che impattano sul PIL, sulla salute pubblica, sull’occupazione. Adattarsi significa invece investire nel futuro, prevenendo i danni ed evitando di vivere in una condizione di emergenza permanente».

Roberto Conte, Pista Ciclabile Parco Lavino, Scafa (PE), realizzata con calcestruzzo drenante i.idro DRAIN.
Se i benefici sono così chiari, quali sono allora le principali barriere economiche, sociali, culturali o politiche all’adattamento climatico nel contesto urbano?
«Le barriere non sono tanto tecniche, quanto culturali e politiche. C’è ignoranza dei dati, paura di perdere consenso, interessi economici di breve termine. Spesso manca una visione integrata: si interviene sull’emergenza ma non si pianifica il lungo periodo. E poi c’è la paura di misure impopolari, anche quando sono necessarie. Il consenso immediato pesa più della resilienza futura.
Affrontare la crisi climatica significa avere il coraggio di scelte lungimiranti, spesso impopolari nel breve termine. Serve una narrazione chiara e condivisa che spieghi perché il cambiamento è necessario e come possa diventare un’opportunità.
Per questo servono politiche pubbliche forti, imprese responsabili e cittadini consapevoli. La transizione verso un mondo capace di adattarsi non è soltanto una sfida tecnica, ma anche culturale e sociale. Ogni ritardo la rende più costosa e dolorosa.
Agire adesso è l’unico modo per trasformare l’urgenza in opportunità».
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