Da oltre 20 anni lavora nel marketing e nella comunicazione. Come giornalista, ha curato e cura gli Uffici Stampa di alcune importanti realtà nazionali come l’Unione Camere Penali Italiane e il Consiglio Nazionale Ingegneri. È tra le fondatrici del Green TG, prima web TV italiana dedicata ai temi ambientali.
L’architettura della salute. Intervista a Marco Gola, Segretario Generale CNETO
Esistono delle svolte storiche, spesso foriere di conseguenze tragiche e di amare consapevolezze, che fanno irruzione nella coscienza collettiva e vi restano per molti lustri, modificando, in maniera permanente, la percezione del reale. La pandemia da Covid-19, ad esempio, ha rappresentato, senza dubbio, l’epicentro di mutamenti destinati a durare. L’emergenza sanitaria ha messo in luce numerose criticità, tra cui il ritardo strutturale e tecnologico della maggior parte dei nosocomi italiani evidenziando la relazione tra progettazione architettonica e salute pubblica, tra ospedali e ambienti urbani.
L’affermazione, dal Nord Europa e dagli Stati Uniti, di nuove concezioni progettuali fuori dai paradigmi novecenteschi, con una distribuzione tendenzialmente orizzontale e un approccio orientato al paziente è intercettata da un’avanguardia di ricercatori e progettisti in grado d’immaginare e architettare, anche attraverso percorsi di formazione universitaria ad hoc e un robusto lavoro di ricerca, una salute finalmente “a misura d’uomo”. Su questo fronte è intensamente attivo il Dott. Marco Gola (Design & Health Lab, Dip. ABC, Politecnico di Milano), segretario generale di CNETO.

Qual è l’attività del CNETO (Centro Nazionale per l’Edilizia Tecnica e Ospedaliera)?
«Il CNETO è un’associazione che riunisce esperti nell’ambito dell’edilizia sanitaria, che, recentemente ha festeggiato 70 anni dalla sua costituzione. È un’associazione di dimensioni contenute, ma riunisce colleghi con diversi expertise che si occupano di progettazione, manutenzione e gestione di infrastrutture sanitarie sul territorio italiano. Tra le principali attività che vengono promosse vi sono studi, gruppi di lavoro, eventi e iniziative con l’obiettivo di diffondere conoscenze e buone pratiche nell’ambito dell’hospital design.
Nello specifico, voglio citare due iniziative annuali di grande rilievo. Si tratta del Viaggio studio in cui vengono organizzate delle visite presso ospedali di ultima generazione e con modelli organizzativi innovativi in uno stato europeo, e a ottobre saremo a Lisbona, e il Congresso annuale in cui viene disaminata un’area funzionale dell’ospedale con diversi esperti nell’ambito, a novembre ci focalizzeremo sui laboratori. Abbiamo inoltre una rivista, Progettare per la Sanità, in cui vengono presentate le innovazioni nel campo sanitario secondo diversi punti di vista: l’ambito progettuale, tecnologico, impiantistico, digitale e organizzativo».
Come la Scienza delle costruzioni e le innovazioni che la riguardano incidono nel migliorare le strutture che ospitano le attività di cura e a esse partecipano?
«Sembra banale come ragionamento, ma spesso come progettisti sviluppiamo il progetto dell’ospedale focalizzandoci sulla tipologia edilizia, il modulo strutturale, la flessibilità della struttura, la componente impiantistica, e molto altro. Ma cosa percepisce l’utente finale? Fisicamente le dimensioni degli ambienti, i materiali di finitura, la vista verso l’esterno, le luci e i colori, gli arredi, e numerosi aspetti ulteriori. Se il trend è quello di offrire ospedali utente-centrici allora è necessario, da un lato, rispondere correttamente agli aspetti tecnici e funzionali della “macchina ospedaliera” e, dall’altro, lavorare sugli aspetti percettivi e di benessere di chi poi usufruirà, vivrà e lavorerà in questi spazi.
In aggiunta, sicuramente la digitalizzazione si sta dimostrando la chiave di lettura su come ripensare questi sistemi, fin dalla fase progettuale alla sua manutenzione. Basti pensare come oggi da un computer possiamo avere controllo delle performance dell’ospedale e sapere in real-time il proprio funzionamento; attraverso la sensoristica possiamo traguardare nuove frontiere e sono convinto che la ricerca universitaria ha proprio l’intento di indagare nuove risposte in tale ambito».

Può descriverci, secondo la Sua esperienza, la creazione di ambienti che promuovono la guarigione e migliorano l’esperienza complessiva dei pazienti e del personale medico?
«Non credo che esista una soluzione univoca, ma sono convinto che tanti diversi accorgimenti insieme possono influire fortemente sul benessere degli utenti, sulla qualità della loro esperienza e sul processo di guarigione. Tali criteri però variano rispetto alla tipologia di utente: infatti se ci immedesimiamo nel paziente sicuramente la vista verso l’esterno, la presenza di luce naturale, i materiali di finitura, i colori e la qualità della camera di degenza hanno un ruolo preponderante, differentemente per l’operatore sanitario gli spazi comuni e le postazioni di lavoro, i corridoi, il comfort acustico, le luci e i contrasti di colore, ecc. diventano strategici per la loro produttività.
In conclusione, rispetto al benessere dello staff sanitario, aggiungo anche un altro aspetto emergente da un’attività di ricerca condotta proprio durante la pandemia Covid: il ruolo delle aree verdi per la riduzione dello stress del personale; infatti, una pausa di venti o trenta minuti in un’area verde può influire fortemente sul loro benessere. Risulta pertanto necessario e doveroso pensare spazi ad hoc nel progetto delle infrastrutture ospedaliere».
Quali sono i progetti all’avanguardia da questo punto di vista?
«Spesso su Progettare per la Sanità pubblichiamo casi studio di recente realizzazione o di rilievo per alcune caratteristiche specifiche di esperienze internazionali. Rispetto alla mia formazione, mi permetto di richiamare esempi che ho avuto modo di analizzare e che reputo all’avanguardia.
Il primo è il Guys Cancer Center a Londra è un ospedale specialistico dedicato alla cura del cancro. Il lotto a disposizione era molto limitato e pertanto l’edificio si sviluppa in altezza. Pur essendo una torre, i progettisti hanno dato vita ad un progetto organizzato per blocchi di duo o tre piani ciascuno, sovrapposti l’uno con l’altro. Ogni blocco, o meglio “villaggio”, è caratterizzato da colori identificativi, arredi ad hoc, ambienti a doppia o tripla altezza che danno vita ad “villaggio” ove l’utente si sente accolto e protetto in un momento anche delicato della propria vita.
Fundaciòn Santa Fè a Bogotà è un parallelepipedo rivestito da una doppia pelle in laterizio. Non si ha minimamente la percezione che sia un ospedale e all’interno delle aree di degenza si vengono a creare dei giardini interni a disposizione dei pazienti allettati o no, e dei caregiver, diventando degli ambienti comuni e di socialità».

Ci sono strutture ospedaliere definite “green buildings”, nel rispetto dei principi definiti con gli SDGs (Sustainable Development Goals), gli obiettivi di sviluppo sostenibile lanciati dall’Onu. Esse rappresentano modalità innovative di costruzione con grande attenzione al recupero e al riutilizzo dei materiali nel territorio. Sono paradigmi di progettazione eco-sostenibili da incentivare, secondo Lei?
«Gli ospedali sono architetture complesse e oggettivamente vanno progettate in maniera contemporanea, considerando i nuovi criteri che riguardano i CAM, LCA, l’efficientamento energetico e molti altri fattori. Sicuramente trattandosi di strutture energivore e operative 24/7 è importante comprendere la loro impronta ecologica, e soprattutto introdurre tecnologie e soluzioni innovative, anche sperimentali, atte a rispettare l’ambiente. Oggi ci sono molti nuovi interventi atti ad affrontare tale sfida con soluzioni differenti e con accorgimenti che si relazionano a diversi fattori come, ad esempio, il contesto geografico, la zona climatica, la disponibilità di risorse locali e molto altro.
Concludo con un’ultima considerazione riguardo all’impatto che tali strutture hanno sulle comunità: la “macchina ospedaliera” comporta importanti consumi di risorse, ma è anche fondamentale ricordare che chi usufruisce e lavora all’interno degli ambienti sanitari deve essere attento nell’uso delle risorse, nella gestione dei rifiuti ordinari e speciali, al consumo di acqua e potrebbero proprio essere la qualità degli spazi, l’organizzazione dei flussi, la localizzazione delle funzioni sanitarie, a stimolare questo “senso di cura” da parte degli utenti e di chi ci lavora».
© RIPRODUZIONE RISERVATA