Oggi il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) ci offre un portafoglio di 15,6 miliardi per la tutela del territorio e della risorsa idrica nell’ambito della missione 2. Quali sono, a suo avviso, le priorità di spesa e di intervento in un Paese da sempre fragile dal punto di vista idrogeologico?
L’Italia è un paese che per sue caratteristiche morfologiche, litologiche e idiografiche è particolarmente predisposto a fenomeni franosi e alluvionali e quindi necessita anche di spesa e di interventi volti a ridurre il pericolo di catastrofi naturali. Abbiamo 8.000 comuni, circa 60.000 nuclei urbani, 3.500 chilometri di autostrade, ferrovie per 16.000 kilometri, rete stradale principale di 360.000 kilometri con densità di popolazione di circa 200 abitanti per km2. Questa conformazione generale peculiare indirizza con decisione gli sforzi pubblici verso una linea di investimento che riguardi il cosiddetto dissesto idrogeologico. Tra le cause primarie di questo fenomeno troviamo il consumo di suolo e, non ultimo, il cambiamento climatico i cui effetti son stati, di recente, particolarmente evidenti.
Le priorità di spesa sono mosse innanzitutto dalla necessità di riduzione del pericolo tramite la realizzazione di interventi non strutturali e di interventi strutturali. Tra i primi, annoveriamo, ad esempio, le attività di sensibilizzazione sull’importanza della prevenzione specialmente nei luoghi maggiormente soggetti, ad esempio, ad allagamenti di vaste aree. A questo proposito, abitando a Bolzano in Alto Adige, penso ai centri urbani di questa area che sorgono lungo delle conoidi soggette appunto a colate detritiche e altri fenomeni simili. In territori come questo diventa indispensabile far capire, fin dalla tenera età, con un’educazione alla prevenzione che lo Stato, le Regioni e le Provincie Autonome stanno doverosamente mettendo a punto, quali sono i pericoli potenziali, che genere di conformazione hanno i luoghi nei quali si abita e dove sarebbe meglio non costruire. C’è poi la campagna di formazione e prevenzione promossa dal Dipartimento della Protezione Civile “Io non rischio” mirata anche alla prevenzione rivolta a un altro pericolo naturale: il terremoto. Altre iniziative simili si sono occupate di mettere in guardia contro i pericoli naturali (espressione che, a mio avviso, sarebbe più appropriata terminologicamente rispetto alla formula di pericolo idrogeologico).
Ovviamente, oltre all’azione in senso non strutturale, l’altro fronte da analizzare è quello delle opere strutturali. In questo contesto, se i corsi d’acqua principali della nazione abbisognano di interventi costosi e lungimiranti destinati a durare a lungo e a renderli permanentemente sicuri, specie per quanto riguarda le arginature, i molti torrenti di montagna necessitano di un altro tenore di attività che ne assicurino la messa in sicurezza. Mi riferisco, ad esempio, a casse di laminazione delle piene, oppure, per quanto riguarda le regioni alpine e il contrasto del pericolo valanghe, penso a opere di protezione attive (permettono il non distacco della valanga) o passive (con valli e rilevati di terra che non consentono alla valanga la propagazione verso valle). Oltre a quelle appena descritte, tra le opere strutturali ricordo anche la necessità di realizzare un attento rinforzo e un’adeguata sistemazione degli argini, le briglie di trattenuta per i problemi dovuti alle colate detritiche, o, se il fiume non è in grado di trattenere la piena, la messa a punto di casse di espansione apposite, serbatoi che permettono di non far accumulare, a valle, una portata d’acqua in grado di tracimare. Per non dimenticare infine le opere a protezione dalla caduta massi.