Giornalista professionista freelance, è laureata in Filosofia Teoretica all’Università Statale di Milano. Dopo aver esordito con collaborazioni per il Sole24Ore (Casa24) e il mensile Elle, attualmente scrive on&off line per testate nazionali ed estere centrando la sua indagine su design e architettura con particolare attenzione alla sostenibilità, Nuovo Umanesimo ed economia circolare. Pur viaggiando molto mantiene casa e cuore a Milano, la capitale del design che ha eletto a propria patria dopo aver vissuto a Londra per qualche tempo.
Come il digitale può aiutare la gestione delle diverse istanze in progetti complessi come una rigenerazione?
«Secondo me il Building Information Modeling (BIM), il sistema informativo digitale delle costruzioni, è parte integrante della quinta rivoluzione industriale. L’idea che io possa disporre di un modello informativo virtuale su cui fare tutte le mie analisi preliminari è davvero una svolta nel settore delle costruzioni. Uno strumento potentissimo che mi consente di avere un oggetto prima di averlo costruito e su questo simulare qualunque cosa, il suo ciclo di vita, la sua sostenibilità economica ed ambientale… L’investitore può disporre di un modello su cui testare il proprio business. Ma anche qui, oggi in Italia è nata una generazione di professionisti che dichiara di fare BIM quando lavora semplicemente in 3D facendo dei bellissimi rendering, ovvero la conversione di immagini bidimensionali in tridimensionali con luci, colori e prospettiva che ne enfatizzano la verosimiglianza.
Fare BIM vuol dire fare dei progetti secondo una metodologia precisa, un approccio di project manager, quando invece fare 3D equivale semplicemente a schizzare non più a mano libera ma con il pc, senza una strategia richiamata dello stesso modello informativo. Investire in tecnologia va bene ma non si può farlo solo sulla strumentazione, serve avere anche un management che sappia usare con una visione queste opportunità che la tecnologia ci fornisce. Spesso anche la preparazione di controparte del committente però non è in grado di capire la differenza al momento della scelta tra due diverse competenze e per questo torniamo all’argomento che vale anche per la sostenibilità. Serve fare cultura di progetto. Deve essere recepita la cultura per cui è il progetto la fase vitale su cui investire nelle costruzioni. Se si capisce che il progetto non è meramente un costo bensì un investimento che mi permette di prevedere e quindi evitare gli sprechi nelle diverse fasi di realizzazione d’opera, che è il progetto che mi consente di fare scelte sostenibili e anticipare i tempi sul ritorno dell’investimento, anche la preferenza di un modello BIM anziché un semplice 3D sarà conseguente. Fare BIM non è infatti semplicemente la rappresentazione delle tre dimensioni ma anche della quarta e della quinta, ovvero tempi e costi che nel modello 3D non sono contemplate, senza considerare che questa metodologia permette di implementare anche la sesta e settima dimensione, quindi fase gestionale e sostenibilità, creando contenitori informativi che possono essere richiamati in base alle domande e necessità della committenza. Il BIM categorizza le informazioni che devo potere poi interrogare per ottenerne dati per stimare costi e benefici che giustifichino una spesa, per giungere a delle scelte strategiche.
Se non ho come interlocutore qualcuno che capisce quello che può ottenere da questa metodologia per il settore AEC (Architecture, Engineering & Construction), anche attraverso la tecnologia oggi a disposizione, non si investirà mai su di essa. La legislazione in merito è lasca. Ad esempio lascia aperta la possibilità, in fase di costruzione, di usare il BIM da parte dell’Appaltatore e della Direzione Lavori, ma non obbliga. E in Italia se la norma non è perentoria non si fa. Serve che si prenda una decisione politica perché si possa davvero vedere una svolta. Sono convinta che per avere vera sostenibilità, progetti realmente sostenibili, bisogna fare educazione in questo senso, fare conoscere la serietà e rilevanza di questi argomenti per il settore costruzioni e poi fare gruppo e spingere perché il legislatore si sensibilizzi sul tema. Serve lavorare di squadra per ottenere risultati che facciano la differenza».