Attrice comica, autrice e appassionata lettrice di bugiardini. La sua musa ispiratrice è l’Ansia. Sogna il Brasile ma vive a Torino, che non ha la Foresta Amazzonica ma la Colletta non è male. I suoi spettacoli teatrali sono: ”Ti lascio perché ho finito l’ossitocina", "Non tutto il male viene per nuocere, ma questo sì" ed "Effetti indesiderati anche gravi”. Per questi titoli lunghi i grafici la odiano.
Care mamme/cari papà/nonni/nonne/zii/babysitter,
se avete già cantato Il coccodrillo come fa fino alla nausea, ripetuto a oltranza i versi di tutti gli animali della fattoria, finito i giga per far vedere l’intera serie di Peppa Pig a vostro figlio, smettete di affannarvi. La soluzione è proprio dietro l’angolo: scendete e portate la vostra piccola peste al cantiere!
Non mi sono mai sentita portata per i bambini, ma in questo periodo i teatri, dove di solito lavoro, sono chiusi a causa della pandemia e ho dovuto adattarmi. Avrei preferito fare la cameriera, per esempio, ma anche i ristoranti sono chiusi, oppure la commessa, ma con la crisi non cercano personale, o meglio ancora l’ereditiera, ma non sapevo dove mandare il curriculum. Così, ho diffuso la voce che stavo cercando lavoro come babysitter e sono stata sommersa di richieste. Mi hanno scritto decine di mamme e papà, costretti allo smart-working da mesi e stufi di fare call con la testolina del figlio che fa capolino nel video ogni due minuti.
Ai genitori di Pietro sono, inaspettatamente, piaciuta un sacco e ho iniziato il giorno stesso del colloquio. Anche il bimbo, dotato di due guanciotte irresistibili e un vocabolario bizzarro e divertentissimo, sembrava entusiasta. Solo dopo qualche ora ho scoperto che dietro a tanta tenerezza si nascondeva una piccola furia…
Rimasta sola con Pietro, cerco di rompere il ghiaccio con il cucù: mi nascondo dietro una porta, lascio qualche secondo di suspence e al momento giusto sbuco facendo “cucù!”. Pietro ride e mi chiede di rifarlo “ancoa”. Conquistato in pochi secondi, mi sento l’autostima alle stelle! “Ancoa, ancoa, ancoa”, ripete indicando il punto preciso in cui devo nascondermi. Che se lo sai già dove mi nascondo, che gusto c’è? Ma gli piace proprio questo: vedere la stessa scena ripetuta all’infinito. Me lo fa rifare talmente tante volte che perdo il conto e, dopo un po’, anche la mobilità della cervicale.
Il pomeriggio prosegue in cucina, dove Pietro tenta di aprire tutti i cassetti, di schiacciare i tasti del forno e della lavastoviglie, di afferrare pelapatate, accendini, forbici, coltelli e tutto ciò che a un bambino della sua età è vietato. Mi sembra chiaro che non sarà un pomeriggio rilassante. Io tento, tra un “no” e una controproposta accattivante, di distrarlo dal momento, imminente, in cui si farà del male.
In cameretta è la stessa storia. Il gioco tranquillo con le costruzioni lascia presto spazio al lancio dei mattoncini per tutta la stanza, che, tra l’altro, a volte mi centrano. Non è passata neppure un’ora ma io mi sento distrutta, ho esaurito le idee da proporgli e ho quasi preso un mattoncino nell’occhio.
Meglio andare al parchetto, tra altalene scivoli e amichetti, il tempo volerà. Per convincerlo gli prometto che faremo le bolle di sapone al parco e in pochi secondi è già accanto alla porta. Ora è tanto impaziente che non riesco neppure a infilargli le scarpette. Appena usciti di casa, però, inizia a chiedermi della mamma e gli vengono i lucciconi agli occhi. Tiro fuori le bolle di sapone ma sembra che non gli interessino più, gli propongo di lanciare qualche sasso in una pozzanghera ma dopo poco si stufa, gli canticchio una canzoncina ma mi guarda come un critico musicale finito per sbaglio a un concerto amatoriale. Niente, non ce la faccio proprio: lo riporterò a casa e dirò ai genitori che questo lavoro non fa per me. E mentre sto per girare l’angolo che ci riporta dalla mamma, mi accorgo che Pietro sta indicando qualcosa in lontananza: un cantiere. Che ci sarà mai di interessante in un cantiere!? Ma insiste, vuole proprio andarci!
È un cantiere abbastanza grande: c’è un ponteggio, una gru e un’altra macchina in azione, di cui non so il nome. Lui la indica e dice: “betona”. Ah sì, la betoniera! “Betona, betona!”, continua a chiamarla con gli occhi pieni di ammirazione e devozione. Neppure il mio compagno mi guarda con l’intensità con cui lui contempla Betona. Incantato, non stacca gli occhi dal “tambuo” – il tamburo – la parte che gira (l’ha chiamata lui così, figuriamoci se io sapevo il nome di quell’affare!). Ora Pietro non parla più e ha la faccia di uno che ha passato una settimana in un ritiro zen a meditare. Gli fa effetto sedativo, praticamente. Magari avesse una betoniera in cameretta!
Intorno al cantiere ci sono altri passeggini e alcune mamme che cercano di convincere i figli a tornare a casa, ma non sarà facile staccarli da lì! Maschietti e femminucce, a tutti piace quello spettacolo magico. Mi sa che questo posto fa una concorrenza spietata ai giardinetti di quartiere! E anche alle bocciofile, visto il cospicuo numero di pensionati che ci sta raggiungendo. Quando il movimento circolare del tamburo si ferma per lasciare uscire il calcestruzzo, Pietro spalanca gli occhi come se vedesse una cascata di cioccolata fumante.
In tutta la giornata insieme, niente l’ha interessato così tanto come questo cantiere: né i mille giochi che ha a casa, né le pozzanghere, né le bolle di sapone. Mi sa che oggi ho capito una grande verità: puoi inventarti i giochi più divertenti del mondo, ma di fronte a una betoniera non sei nessuno! E anche la nostalgia della mamma passa. Ma soprattutto ho capito come sopravvivere ai prossimi pomeriggi con Pietro, e visto che lo voglio fare con stile, mi sono scaricata un’applicazione sul telefono che indica tutti i cantieri presenti in città, così ogni giorno possiamo andare a vedere una betoniera diversa!
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