Professore Ordinario di Tecnica delle Costruzioni dal 2010 presso la Federico II di Napoli, dove insegna Progetto di Strutture in Acciaio e Strutture per Edifici Alti e Grandi Coperture. Visiting researcher presso Instituto Superior Tecnico, Lisboa, Portugal; JSPS Visiting Professor presso Disaster Prevention Research Institute, Kyoto University, Japan.
Verticalità e Verde: binomio strategico per la città sostenibile
Lo sviluppo verticale delle città, con edifici alti di nuova realizzazione e sopraelevazioni di edifici esistenti, si configura come una soluzione che risponde alle problematiche poste dall’aumento della popolazione urbana e contemporaneamente consente di liberare spazio al suolo da destinare a verde.
Gli edifici alti nascono a Chicago dopo il grande incendio del 1871, che distrugge quasi 18.000 immobili per circa 9 milioni di metri quadrati di superficie edificata. All’epoca la città era la regina delle praterie, la porta verso l’Occidente: diventata un importante centro industriale e commerciale, intorno alla metà del secolo aveva visto aumentare rapidamente la sua popolazione e quindi la domanda di spazi sia per uffici che per alloggi. Il business district, il cosiddetto Loop, era già ben definito all’epoca dell’incendio e risultava delimitato a nord e ovest dal fiume Chicago, a est dal lago Michigan e a sud dalla ferrovia, pertanto la ricostruzione non poteva che avvenire verso l’alto: in otto anni Chicago risorge letteralmente dalle sue ceneri con edifici di altezza tale da competere con la Torre di Babele, come enfaticamente affermato da William Le Baron Jenney, architetto ottocentesco e progettista dell’Home Insurance Building, il “primo grattacielo”. Il boom edilizio della ricostruzione fa ulteriormente prosperare l’economia e quindi aumentare ancora la domanda di spazi per uffici nel Loop, dove il costo del suolo edificabile in dieci anni si amplifica di sette volte. Gli edifici alti non hanno quindi radici né estetiche né simboliche ma utilitaristiche e scaturiscono da un’agenda puramente capitalista: rendere quanto più redditizio possibile un lotto di suolo edificabile. Come sosteneva Cass Gilbert, progettista del Woolworth Building di New York: «A skyscraper is a machine that makes the land pay».
L’ottimizzazione dell’uso di suolo permane ancora oggi come una delle ragioni dell’attrattività dell’edificio alto in ambito urbano; la differenza è che in luogo della logica capitalista e speculativa delle città americane di fine 800, nella città contemporanea il vantaggio di costruire in verticale è ricercato e valutato (anche) in chiave ecologica e nell’ottica della sostenibilità. Distribuire la superficie costruita richiesta lungo l’altezza consente infatti di minimizzare l’occupazione di suolo, o, alternativamente, di massimizzare l’offerta di superfici e volumetrie da destinare a differenti usi a parità di consumo di suolo. Il contenimento, anzi l’azzeramento, del consumo di suolo è uno dei capisaldi della sostenibilità, esplicitamente stabilito come obiettivo dalla Commissione Europea nei documenti The Future Brief: No net land take by 2050? e Roadmap to a resource efficient Europe.
Peraltro già dal 1970 Elio Giangreco (professore di Tecnica delle Costruzioni presso la Federico II di Napoli dal 1960 al 1996), nell’articolo Il grattacielo: sfida statica del presente apparso sulla rivista L’Industria delle Costruzioni, sottolineava i vantaggi dell’edificio alto nel rapporto con la dimensione urbana, in termini di ottimizzazione di consumo non solo di suolo ma in generale di risorse: «razionalizzare il funzionamento di servizi pubblici,… concentrare in un più stretto raggio i vari servizi domestici».
L’edificio alto appare quindi come un elemento fondamentale della città compatta che, modellata sul tessuto storico delle città e fondata sui valori della densità, della prossimità e dell’incontro, è promossa da organi di governo del territorio sin dagli anni ’90 quale modello di crescita sostenibile, caratterizzato da elevata pedonalità, efficienza del sistema di trasporto pubblico, ottimizzazione dell’uso di risorse ambientali ed energetiche. Peraltro, come evidenziato da Francesco Sorrentino (architetto e docente a contratto presso l’Università di Napoli Federico II) in Tall Building as strategy, la verticalità consente anche di pensare a un tentativo di ibridazione della città compatta con la città aperta, che nell’utopia lecorbusiana lasciava la natura libera di fluire al di sotto delle case sollevate su pilotis e fin dentro le abitazioni attraverso le finestre o sui tetti e terrazze a giardino. Il modello compatto rischia infatti di diventare insostenibile di fronte alle mutate esigenze sociali e ambientali, per la carenza di aree che sappiano interpretare i nuovi stili di vita e i bisogni della società attuale, aree per lo sport e il tempo libero o per la predisposizione di grandi eventi, aree per il riequilibrio climatico e ambientale. D’altro canto la spazialità urbana aperta causa forte diradamento delle relazioni sociali, crescente bisogno del trasporto privato e spreco delle risorse ambientali, generando in definitiva scenari di abbandono, degrado e di dispersione sociale. Grazie allo sviluppo verticale si riesce a preservare porzioni di suolo libere dal costruito da destinare a verde e spazi pubblici, coniugando in definitiva la densità edilizia con la componente naturale.
La logica dello sviluppo verticale può essere mutuata anche per l’edilizia esistente, definendo un modello di crescita che, evitando demolizioni e ricostruzioni (non sostenibili su larga scala), propone l’uso e il riuso adattivo degli edifici, a valle di un loro ampliamento verso l’alto (sopraelevazione), naturalmente accompagnato da adeguamento energetico e strutturale/sismico. L’idea è che il costruito va visto come risorsa naturale, un capitale da valorizzare, tendendo conto della CO2 già emessa e inglobata in esso e del suolo già “consumato”. I tetti possono diventare i siti di costruzione di nuove porzioni edilizie per far fronte alla richiesta di spazi per residenze e uffici, generando così un’altra città al di sopra della città esistente. Una crescita urbana sostenibile richiede quindi un cambio di paradigma verso la valorizzazione degli edifici esistenti per il riutilizzo, la riqualificazione e l’ampliamento; in tale scenario, la sopraelevazione sembra una delle strategie più promettenti per il grande potenziale di spazio disponibile sui tetti, e diverse città europee come Londra, Rotterdam, Ginevra, si stanno muovendo in questa direzione.
Il suolo risparmiato grazie alla verticalizzazione può essere dedicato al verde (bosco, foresta, orto, radura, prato, aiuola, viale alberato, parco, etc.) integrato con spazio pubblico. Come evidenziato da Valentina Dessì, autrice insieme ad altri di Rigenerare la città con la natura. Strumenti per la progettazione degli spazi pubblici tra mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici, il verde urbano non va considerato come un elemento meramente ornamentale; il verde urbano oggi è un verde funzionale, o meglio multifunzionale, una vera e propria infrastruttura che collega l’insieme urbano ed extra-urbano con elementi e spazi naturali e soddisfa contemporaneamente più obiettivi: «ridurre i gas serra, intrappolare le polveri sottili, produrre mitigazione microclimatica con ombra ed evapotraspirazione, aumentare il benessere delle persone negli spazi aperti, ridurre i consumi energetici per il raffrescamento degli edifici, migliorare la gestione del ciclo dell’acqua riducendo il runoff, costituire il supporto della mobilità ciclo-pedonale, conferire attrattività e vivibilità di strade, piazze, parchi e più valore economico agli immobili che vi si affacciano».
Questi i vantaggi del verde urbano espressamente concepito quale misura dalla duplice valenza, di adattamento ai e mitigazione dei cambiamenti climatici. In termini di mitigazione dei cambiamenti climatici, il verde riduce le emissioni di gas climalteranti e i consumi energetici grazie al miglioramento microclimatico, mentre in termini di adattamento ai cambiamenti climatici, il verde limita i danni e gli effetti che tali cambiamenti possono causare sulle città (eventi meteorici estremi, polveri sottili, onde di calore e precipitazioni anomale, isole di calore, inondazioni, alluvioni, etc.).
Verticalità e verde, quindi, sono due componenti centrali nel dibattito sulla città contemporanea, in cui la crescita sostenibile si deve combinare con la consapevolezza e la valutazione di un rischio territoriale/urbano che deriva da hazards di natura ambientale, amplificati e modificati dagli effetti dei cambiamenti climatici.