Si laurea in Architettura presso l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” e successivamente frequenta il corso di perfezionamento in “Storia della Progettazione Architettonica”. Nel 2003 consegue il master europeo in “Storia dell’Architettura” presso l’Università degli Studi “Roma Tre” e completa l’iter con uno stage presso la Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio di Roma. Nel 2014 si avvicina alla pittura e sperimenta anche la scultura. Nel 2017 e 2018 frequenta i corsi di pittura tenuti dal Prof. Fabrizio Dell’Arno presso la RUFA (Rome University of Fine Art) determinanti per continuare il suo percorso artistico. Ha partecipato a numerose mostre collettive e personali ottenendo vari premi e riconoscimenti.
Un modo diverso di raccontare il cemento: l’architettura nella pittura
Tra cemento e arte esiste un legame molto più forte di quello che si possa immaginare. La prima opera che mi viene in mente è sicuramente la grande distesa di cemento bianco che dà vita al “Grande Cretto”, opera di Land Art (1984-1985 parziale, 2015 totale) realizzata da Alberto Burri (Città di Castello, 1915 – Nizza, 1995), artista italiano tra i più importanti del Novecento. Dove un tempo sorgeva la città di Gibellina Vecchia, in provincia di Trapani, rasa al suolo dal violento terremoto del Belice del 1968, Burri realizza un’opera monumentale, forse la più conosciuta, sulle macerie della vecchia città. Come una sorta di memoriale, l’opera si estende lungo il pendio della collina racchiudendo le tracce del passato. Blocchi di cemento bianco, che rievocano la struttura delle abitazioni, sono separati da spazi che ricordano le antiche vie del paese. Poterci camminare dentro, come in un labirinto, ha davvero dell’incredibile. Maestosità e bellezza sono i due aggettivi necessari. Italcementi fornisce il materiale necessario al compimento dell’opera, il cemento bianco “Aquila Bianca”.
Sono tante le narrazioni tra arte e cemento e non posso tralasciare quella di Giuseppe Uncini (Fabriano, 1929 – Trevi, 2008), artista italiano celebre per le sue opere in ferro e cemento. Un pioniere capace, tra il 1957 e il 1958, di adoperare nelle sue opere materiali come ferro, cemento e rete metallica, impiegati a quel tempo unicamente nell’edilizia, per la creazione dei suoi primi “Cementarmati”. L’estetica di questi materiali diventa molto presto il segno distintivo del suo lavoro. Uncini rivoluziona molti aspetti tecnici della scultura assorbendo sia procedure ingegneristiche sia i segni della produzione industriale. «Il cemento armato è il simbolo stesso della potenza costruttiva dell’uomo contemporaneo e non un materiale deceduto»: è Enrico Crispolti, nel 1961, a leggere e interpretare la “svolta industriale” di Uncini di qualche anno prima. L’artista fa del cemento un materiale privilegiato.
Il fascino del cemento, materiale dalle straordinarie possibilità plastiche, capace di caratterizzare architetture e paesaggio urbano, ha stimolato il mio lavoro: fermare su grandi tele bianche le opere di architettura.
Gli edifici accompagnano da sempre l’umanità e indagare sul loro linguaggio espressivo diventa un’esigenza fondamentale per la mia ricerca pittorica. Osservando la città e i mutamenti che essa subisce, cerco di immortalare sulle mie tele dove l’opera architettonica ha inciso significativamente sullo skyline e/o sul volto della città stessa. Le architetture urbane che catturano la mia attenzione diventano gli oggetti o meglio i soggetti del mio lavoro. Come in un ritratto, metto sulla tela una parte dell’edificio al quale dare autonomia espressiva e ruolo da protagonista.
Le architetture studiate durante il mio percorso alla Facoltà di Architettura di Roma sono quelle con le quali inizio il mio viaggio ideale. Le opere di Le Corbusier (La Chaux-de-Fonds, 1887 – Roquebrune-Cap-Martin, 1965), considerato il maestro del Movimento Moderno e pioniere nell’uso del cemento armato nell’architettura, catturano per prime la mia attenzione. È il progetto per la città di Chandigarh, città dell’India settentrionale affacciata sulle colline dell’Himalaya, che suscita in me un grande interesse. La costruzione di questa città ha inizio nel 1951 quando il primo ministro indiano Jawaharlal Nehru invita l’architetto Le Corbusier a progettare ex novo la capitale dello Stato del Punjab. Qui Le Corbusier trasforma il cemento armato a vista, le béton brut, nel simbolo della modernità, capace di portare un cambiamento nell’architettura che diventa così in grado di rispondere alle esigenze abitative e infrastrutturali della società. Chandigarh, la “città d’argento”, diventa una città moderna lontana dal suo passato di colonia imperiale britannica. Nell’opera “Architettura e natura” rappresento, nella tela, una parte del Palazzo dell’Assemblea di Chandigarh rimanendo affascinata dal progetto. Le Corbusier riesce a realizzare, in chiave moderna, il sogno della città ideale rinascimentale.
Come afferma Anna Rosellini, Le Corbusier fu uno dei primi a porsi la questione della dimensione artistica dell’architettura e dei materiali, trovando nel calcestruzzo delle componenti importanti, non solo legate al “disegno” della sua superficie con le casseforme, ma anche operando alcuni paragoni fondamentali. Quando parla di béton brut, Le Corbusier lo paragona al bronzo, riportando la tecnica del getto del conglomerato a quella scultorea della fusione.
Il mio viaggio artistico prosegue con uno studio sull’architettura italiana in cemento armato realizzata a cavallo degli anni ‘50 e ’70 dando vita alla nuova serie pittorica “Architettura Brutalista”. Vengo attratta dalla sua grande forza espressiva, capace di dare un’immagine inedita e originale al nostro Paese. Un periodo storico in cui architetti e ingegneri hanno avuto una visione utopica e allora la ricerca storica è stata davvero emozionante. Aldo Loris Rossi (Bisaccia, 1933 – Napoli, 2018) definito da molti come architetto dell’utopia, Giancarlo de Carlo (Genova, 1919 – Milano, 2005) impegnato a partire dagli Anni Cinquanta a Urbino, Giuseppe Perugini (Buenos Aires 1914 – Roma 1995), che realizza a Fregene uno dei primi casi di sperimentazione della tipologia abitativa familiare per citarne alcuni. Mettere sulle mie tele particolari di queste architetture, oggi forse dimenticate, mi è sembrato molto interessante. Il Brutalismo è una corrente architettonica che nasce nel secondo dopoguerra e deve il suo nome al béton brut di Le Corbusier ovvero al cemento a vista. In un periodo storico segnato dalla voglia di ricostruire, si enfatizza la rudezza del cemento mettendo al primo posto la funzione dell’edificio, l’etica prima dell’estetica.
L’opera “Casa del Portuale” è l’omaggio al progetto dell’architetto Aldo Loris Rossi realizzato a Calata della Marinella, nella zona est del porto di Napoli, tra il 1968 e il 1980. Oggi l’edificio caratterizza lo skyline della città con ampie superfici di cemento a faccia vista alternate a grandi vetrate. «Lo squallido, degradato contesto litoraneo di Calata della Marinella, privo di parametri creativamente significativi, viene animato da un oggetto pioneristico, spettacolare, eversivo, che sembra reclamare un riscatto ambientale. Vi si accumulano etimi eterogenei del bricolage pop, del non-finito, del ruinismo, dell’action-architecture», così l’architetto Bruno Zevi scriveva su questo straordinario progetto.
Nell’opera “Facoltà di Magistero” rappresento, nella tela, una parte dell’edificio che viene realizzato a Urbino tra il 1968 e il 1976, considerato uno dei capolavori di De Carlo, che grazie all’appoggio del rettore Carlo Bo, progetta il Piano Regolatore e molti degli insediamenti universitari.
Con l’opera “Casa Sperimentale” ho voluto omaggiare il progetto di una famiglia di architetti Giuseppe Perugini, sua moglie Uga de Plaisant e il figlio Raynaldo. La casa viene costruita a Fregene, sul litorale laziale, alla fine degli anni ’60. È un progetto sperimentale sia nella forma sia nell’uso dei materiali che rimandano chiaramente all’architettura brutalista. Perugini rifiuta, infatti, di utilizzare i materiali tradizionali da costruzione e sceglie il calcestruzzo grezzo in facciata che assolve anche la funzione di sostenere i volumi che racchiudono i vari ambienti della casa. Cemento armato, vetro e acciaio sono i materiali utilizzati per la costruzione. Nel realizzare questo dipinto ho visto, in questa architettura, non solo avanguardia costruttiva, ma anche sperimentazione sul tema dell’abitare.
«Essendo tutti e tre architetti era un po’ il giocattolo di famiglia, nel momento della realizzazione ognuno di noi proponeva soluzioni e nascevano discussioni… era una sorta di grande laboratorio… immaginatevi un plastico in scala reale! Questa era la casa di Fregene, un plastico al vero in cui ognuno metteva del suo. Una sorta di bottega globale nella quale lavoravamo tutti e per ogni problema c’erano un’infinità di soluzioni possibili. Infatti, la cura dei dettagli e la messa a punto di tutte quelle soluzioni che hanno portato alla casa com’è oggi sono stati affrontati nella messa in opera. La particolare caratteristica costruttiva la rende un grande gioco di costruzioni… ». (Raynaldo Perugini)
Non ho potuto fare a meno di osservare opere realizzate in cemento anche nella serie pittorica dedicata alla città di Roma. Il Palazzetto dello Sport diventa un soggetto unico per una nuova tela. Progettato da Pier Luigi Nervi (Sondrio, 1891 – Roma, 1979) e Annibale Vitellozzi (Anghiari, 1902 – Roma, 1990), realizzato al Flaminio in occasione delle Olimpiadi di Roma Sessanta, è un esempio del Sistema Nervi.
Basato sul ferrocemento e la prefabbricazione strutturale, il Sistema Nervi è un insieme di soluzioni tecniche che definiscono un nuovo modo di costruire, economico e rapido. Vengono eliminate, nella realizzazione del cemento armato, le casseforme di legno, costose e non recuperabili, e il cantiere viene organizzato in due settori contigui: cantiere in opera, dove si eseguono gli scavi e si realizzano tutte le parti gettate, e il cantiere della prefabbricazione dove vengono preparati i pezzi, piccoli e leggerei, che daranno vita alle strutture e che saranno spostati con molta facilità.
Nervi, considerato uno dei maggiori artefici di architetture strutturali nel panorama internazionale del Novecento, scriveva: «la fantasia progettistica è impotente se non si accorda con le esigenze della tecnica, della statica, dell’economia, della funzionalità o se viene menomata dalla insufficienza esecutiva, o annullata dalla incomprensione del committente». Nelle sue opere è evidente il connubio tra arte e scienza delle costruzioni e spesso dichiara che «il cemento è il più bel materiale da costruzione che l’uomo abbia mai inventato»
Rimango affascinata anche dal Centro Idrico della Cecchina, un serbatoio piezometrico progettato dall’architetto Francesco Palpacelli (Fiuggi, 1925 – Roma, 1999), con il quale vince il primo premio del concorso dell’ACEA nel 1959, destinato a incidere significativamente sullo skyline di Roma. Interamente in cemento armato a vista, realizzato tra il 1960 e il 1964, il manufatto è caratterizzato da tre piloni in cui passano le condotte e le scale che attraversano una struttura circolare, del diametro di 20 metri, che sorreggono il serbatoio vero e proprio. Palpacelli trasforma quella che dovrebbe essere una struttura per il rifornimento idrico in una vera opera d’arte, usando un linguaggio innovativo e una composizione armonica in grado di qualificare il territorio. L’opera vince anche il premio IN-ARCH per il Lazio nel 1964 e l’architetto Carlo Scarpa, in visita, si esprime: «Queste sono le cattedrali del futuro».
Non poteva mancare, nella mia serie pittorica, il MAXXI il Museo nazionale delle arti del XXI secolo, omaggio al primo progetto italiano dell’architetto Zaha Hadid (Baghdad, 1950 – Miami, 2016) realizzato a Roma tra il 1998 e il 2010. In questo caso l’utilizzo delle tecnologie avanzate, l’uso della progettazione tramite software cambiano in maniera decisiva sia le fasi di progettazione sia quelle di realizzazione dell’architettura che diventa sempre più spettacolare e forse anche narcisistica. Ma anche in questo caso è ancora una volta il calcestruzzo a sorprendermi. Per questo progetto Calcestruzzi, società del Gruppo Italcementi, sviluppa un calcestruzzo innovativo per soddisfare le esigenze di costruzione e di design architettonico richieste dal progetto.
Erano necessarie strutture architettoniche imponenti e curvilinee prive di difetti e di giunture che, di solito, caratterizzano i blocchi di calcestruzzo e bisognava anche risolvere i problemi di stagionatura del calcestruzzo una volta rimossi i casseri. Nei laboratori ENCO, sotto la direzione del prof. Mario Collepardi, e nel Centro Innovazione di Calcestruzzi, si realizza la soluzione vincente che costituirà una novità nel panorama edile italiano. La nuova soluzione è stata chiamata 3SC, un calcestruzzo contenente tre additivi in grado di garantire contemporaneamente capacità autocompattanti, corretta compressione e adeguata autostagionatura.