Federica Rasenti è curatrice e manager di progetti culturali, laureata nel 2015 in Progettazione Architettonica presso il Politecnico di Milano. Collabora dal 2016 con Luca Molinari Studio, per occuparsi di curatela, coordinamento scientifico delle mostre e gestione integrata di progetti culturali. Scrive per alcune testate di settore come AREA, Domus, Urbano e Platform Architecture and Design.
Transizione ecologica e digitale, nuovi materiali e tecnologie: lo sguardo al futuro di Regina De Albertis
“Non c’è mai stato un periodo di ripresa del PIL del nostro Paese senza che il settore delle costruzioni facesse da guida e ancora di più lo sarà in questo momento. I segnali positivi per il 2021 ci sono e sono ancora maggiori guardando al 2022”. Alle porte di MADE expo, Regina De Albertis, presidentessa di Assimpredil Ance da luglio 2021, affronta le urgenze del mondo post-pandemico, chiamando l’intera filiera a uno sforzo collettivo verso una transizione ecologica necessaria e vitale per fronteggiare le istanze più urgenti della contemporaneità, anche grazie a un rinnovato patto di fiducia tra soggetto pubblico e privato.
Partiamo dal nuovo ruolo di Presidente di Assimpredil Ance, si è insediata solo lo scorso luglio, quali sono le prime sfide e quali opportunità, anche a fronte delle criticità dell’ultimo anno e mezzo?
Dopo oltre dieci anni di crisi, registriamo i primi veri segnali di ripresa del nostro settore. Abbiamo davanti grandi sfide legate alla rigenerazione urbana e alla riqualificazione energetica del patrimonio costruito, il Superbonus ha messo in moto molte iniziative con volumi di risorse importanti. A oggi, gli interventi partiti valgono quasi otto miliardi di euro, valori ingenti che vedono la Regione Lombardia come capofila. Ci sono poi le risorse del PNRR, delle quali circa la metà, più o meno 108 miliardi, riguardano il settore delle costruzioni e di questi circa 40-45% sono in disponibilità di spesa degli Enti locali.
Le opportunità sia per il mercato privato che per quello pubblico sono enormi, ma ci scontriamo con molti problemi: uno è rappresentato dalle lungaggini burocratiche, che nel nostro Paese hanno ostacolato una gran numero di iniziative. Queste debolezze del sistema vanno risolte, e in tempi brevi, perché altrimenti rischiamo di non riuscire a mettere a terra gli interventi, nei tempi richiesti dal PNRR.
Il secondo grande problema, urgente in questo momento, è quello del caro materiale e della mancanza sia di materia prima, che di manodopera. Si stima che la filiera delle costruzioni esprimerà una richiesta aggiuntiva di circa 250.000 nuovi addetti l’anno prossimo. È una carenza che riguarda tutti i livelli professionali, dalla componente operaia a quella tecnica e specializzata. l lavoro in cantiere richiede risorse formate e adeguatamente istruite, soprattutto in termini di sicurezza del lavoro, ma anche sulle specifiche attività.
In che direzione si immagina questo cambiamento, anche sulla scorta delle nuove esigenze e dell’accelerazione dei processi innescata dalla pandemia?
Quello che è fondamentale in questo momento è stringere un patto di fiducia tra pubblico e privato, perché gli obiettivi europei possono essere raggiungi solo se affrontiamo congiuntamente le sfide. Le imprese non rappresentano più la controparte, ma sono attori di questo cambiamento.
I fondi del PNRR sono in parte un debito che l’Italia dovrà restituire, pertanto è essenziale che si riesca a far ripartire il Paese, con azioni in grado d’innescare anche gli investimenti privati al fianco di quelli pubblici. Noi italiani siamo molto efficaci quando agiamo nella straordinarietà, ma questa volta dobbiamo riuscire a promuovere modelli che funzionino anche nell’ordinarietà e nel medio-lungo periodo, se vogliamo che nel futuro si consolidi uno sviluppo sostenibile ad ampio spettro: economico, sociale e ambientale.
Ritornando al PNRR, mi pare rappresenti una grandissima opportunità in generale, ma per il settore delle costruzioni in modo particolare.
Lo è indiscutibilmente poiché il PNRR, destinando la metà delle risorse al nostro settore, ha messo in luce come la lunga e articolata filiera delle costruzioni sia fondamentale per la ripresa economica del Paese, generando più del 20% del PIL. Vorrei anche evidenziare il ruolo dell’edilizia per lo sviluppo sostenibile: tutte e sei le missioni del PNRR hanno ambiti di azione che ci coinvolgono. Rigenerare, bonificare, manutenere, efficientare, mettere in sicurezza il territorio, ridurre le emissioni di CO2, rendere più belli i luoghi dove viviamo sono solo una parte del contributo del settore delle costruzioni verso la transizione ecologica e digitale.
Talvolta sembra ci sia un contrasto tra lo sviluppo sostenibile e quelli che vengono percepiti come gli interessi delle imprese nel settore costruzioni, forse è necessario un cambio di paradigma per l’industria delle costruzioni e per l’architettura in generale, che deve dimostrarsi capace di accogliere in pieno la svolta ecologica?
La sostenibilità è un asset strategico nello sviluppo delle nostre imprese, è al centro dei sistemi di governance e delle strategie di business, non solo in termini di efficienza e riduzione dei costi interni, ma anche come un fondamentale fattore di brand reputation e di posizionamento sul mercato.
Chi fa il mio “mestiere” ha imparato che la strategia d’investimento per lo sviluppo di un nuovo intervento immobiliare deve porre analoga attenzione all’analisi finanziaria e a quella ambientale, sociale e di economia, al fine di creare valore per chi investe e per la società nel suo complesso. Il cambio di paradigma è già avvenuto da tempo e credo sia iniziato quando abbiamo iniziato a costruire edifici in classe A, quando abbiamo smesso di consumare suolo e abbiamo iniziato a riconvertire le aree dismesse bonificando ambiti fortemente degradati.
Ma non possiamo dimenticare la unicità della bilateralità edile, non posso tacere che la nostra cassa Edile ha più di 100 anni e già allora l’attenzione alle maestranze si concretizzava in un vero e proprio sistema di welfare: assistenza sanitaria, case per gli operai immigrati, scuole e formazione, colonie e cure sanitarie anche per le famiglie. La terza gamba della sostenibilità, il sociale, per chi applica il nostro contratto di lavoro ha radici molto antiche.
Le persone come sappiamo sono al centro del cambiamento quali nuove figure professionali si immagina possano o debbano essere coinvolte in questo processo di riconversione, sarà necessaria nuova linfa?
Serviranno svariate nuove competenze, ma, come dicevo, in primis manodopera tecnica, che deve essere formata adeguatamente rispetto alle esigenze d’innovazione e digitalizzazione del nostro lavoro. Poi tutte le competenze legate ai temi emergenti della transizione ecologica: per avviare processi di sostenibilità e mettere in atto i criteri ESG, che ormai sono diventati centrali, è necessario un impegno dai vertici alle maestranze.
In Assimpredil Ance abbiamo aperto uno sportello, chiamato “sportello transizione ecologica”, che serve ad accompagnare le imprese che vogliono a mettere a fuoco i propri percorsi verso pratiche più sostenibili. Un pool di esperti aiuterà le imprese a trasformare i concetti teorici in azioni pratiche da esercitare all’interno della realtà aziendali. Il primo punto di attenzione è il cambiamento culturale, ma anche la tutela dell’immagine di chi investe, per affermare un nuovo modello di fare impresa, lontano dalle comuni pratiche di greenwashing. Lo dobbiamo fare congiuntamente a tutta la filiera, assieme a tutte le realtà che stanno investendo in ricerca e innovazione per introdurre prodotti sempre più efficienti e sostenibili. Inoltre, bisogna pensare a gestire i cantieri in modo circolare, penso al riciclo dei materiali e al recupero, come processi centrali che devono interessare tutta la filiera a 360°. Per far questo sicuramente le competenze devono essere molto più forti e bisogna preparare figure specifiche. Lo stesso discorso vale per la pubblica amministrazione, che deve avere personale aggiornato e preparato in questo senso.
Rimanendo su Milano, che poi è centrale anche dal punto di vista della sua vita professionale, questa onda d’innovazione pensa che porterà Milano a cambiare nel suo nucleo urbano o sarà in grado di estendere la trasformazione verso aree meno visibili e quelle extra-urbane?
Milano deve ragionare sempre di più in un’ottica di città metropolitana, quindi di area vasta. Quello che penso sia importante, come discusso anche recentemente con il Sindaco Sala, è avere una visione chiara e globale, che intervenga efficacemente sui collegamenti infrastrutturali tra vari territori e consenta rapidità negli spostamenti: questa è la base per rigenerare tanti ambiti, anche quelli extraurbani. Noi, ad esempio, come azienda, stiamo lavorando adesso su un intervento molto grande: circa 300.000 metri quadri in zona Bisceglie, a Milano, dove rigenereremo una porzione di territorio estesa, andando a realizzare circa mille appartamenti in edilizia convenzionata, a testimonianza delle grandi opportunità di sviluppo e crescita anche fuori dalla città consolidata.
Qual è l’innovazione per eccellenza che vede possibile e concreta per l’industria delle costruzioni ?
Secondo me l’innovazione numero uno è cambiare il modello di relazione nella filiera, quando prima parlavo d’instaurare un nuovo patto di fiducia tra pubblico e privato, avevo in mente il processo a monte delle connessioni, tra le parti economiche della filiera. Si parla di contratti collaborativi e di un modello che guarda verso logiche di alleanza, prima che di contrapposizione tra le componenti di questa lunga e complessa filiera.
Le imprese stanno reagendo alle pressioni di una domanda sempre più competente e che richiede prestazioni elevate, ma non possiamo essere lasciati soli ad affrontare questa grande sfida, le istituzioni e il legislatore devono cambiare visione, devono considerare le filiere produttive come il loro più grande alleato per raggiungere quei livelli di sostenibilità e decarbonizzazione che ci vengono richiesti dall’UE. Il 2030 è molto più vicino di quanto si possa immaginare e senza un patto di fiducia pubblico privato, basato sulla volontà di raggiungere insieme gli obiettivi di sostenibilità, non arriveremo alla meta sperata.
Per la prima volta quest’anno, dopo un anno e mezzo di grande sfiducia, è prevista una buona ripresa, anche le previsioni del PIL 2021 sono state riviste al rialzo con segnali importanti soprattutto dalla Lombardia. In questo momento di transizione, che ruolo si immagina possa avere il sistema dell’industria delle costruzioni? Pensa possa essere ancora un settore driver per la crescita?
Non c’è mai stato un periodo di ripresa del PIL del nostro Paese senza che il settore delle costruzioni facesse da guida e ancora di più lo sarà in questo momento. I segnali positivi per il 2021 ci sono e sono ancora maggiori guardando al 2022. Bisogna però fare in modo che questi segnali si trasformino effettivamente in certezze, permettendo di progredire, risolvendo gli scogli burocratici, cercando di agire tempestivamente sul tema del caro materiali, che deve essere riconosciuto alle imprese, sia in ambito privato che pubblico.
In materia d’innovazione e proiezione verso il futuro a fine novembre si terrà la prima grande fiera del settore dell’edilizia post-pandemia, MADE expo. Il processo di riconversione energetica e di sviluppo sostenibile sarà tra i focus principali dell’evento, cosa si aspetta d’incontrare in fiera?
Sì, abbiamo fatto la presentazione ufficiale della nuova edizione in Associazione: siamo molto contenti di aver ospitato la conferenza stampa e in particolar modo che si possa tornare, nel rispetto di tutte le misure di sicurezza, in presenza. Al MADE expo mi aspetto di trovare tanto, perché comunque questo periodo di crisi ha portato ognuno a ripensare molto ai propri processi produttivi, alle proprie realtà aziendali e ai prodotti che offre sul mercato, per cercare di renderli sempre più efficienti, migliori e rispondenti alle esigenze dei clienti, innovando anche perché l’utente finale è diventato più preparato e sensibile a tante delle tematiche emergenti.
Spero che sia l’occasione per confrontarci sui risultati raggiunti dal settore delle costruzioni, sui temi di cui abbiamo molto parlato in questa intervista: sostenibilità, transizione ecologica e digitale, materiali e tecnologie per il futuro. Per il futuro, perché quello che oggi progettiamo e ci accingiamo a costruire sarà usato, visti i tempi medi necessari in Italia per completare i processi costruttivi, dalla generazione z ed è a loro che dobbiamo pensare nel disegnare il volto delle città dei prossimi anni.
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