Da oltre 20 anni lavora nel marketing e nella comunicazione. Come giornalista, ha curato e cura gli Uffici Stampa di alcune importanti realtà nazionali come l’Unione Camere Penali Italiane e il Consiglio Nazionale Ingegneri. È tra le fondatrici del Green TG, prima web TV italiana dedicata ai temi ambientali.
Ragazzo d’oro: intervista a Federico Foria, miglior Future Leader under 35 di tutte le società di ingegneria d’Europa
Apriamo questo nuovo anno con un augurio ai nostri lettori, in particolare ai giovani che si stanno affacciando al mondo del lavoro. Heidelberg Materials, che raccoglie in Italia l’eredità dello storico nome Italcementi, è sempre più proiettata verso nuove sfide: investimenti importanti per raggiungere nei prossimi anni la neutralità carbonica dei propri processi produttivi e il continuo miglioramento dei processi industriali sempre più legato a un crescente utilizzo delle tecnologie digitali. Per questi motivi si rivolge con particolare attenzione al mondo delle giovani generazioni – portatrici di nuovi stimoli – perché si facciano interpreti di queste nuove sfide globali.
E quindi ospitiamo volentieri un’interessante intervista a Federico Foria, 34 anni, ingegnere di Pomigliano d’Arco (NA), l’enfant prodige che ha portato l’Italia, per la prima volta, a trionfare al più importante contest continentale, a Parigi, per ideatori di futuro sotto i trentacinque anni d’età. Foria è responsabile del Dipartimento di Geotecnica, Geologia e Idraulica e della Ricerca & Sviluppo di ETS, società di ingegneria civile con sedi a Latina, Roma e Milano, specializzata nelle infrastrutture e nei trasporti ferroviari e stradali. Federico è stato l’unico italiano ad aggiudicarsi il riconoscimento di miglior Future Leader under 35 di tutte le società di ingegneria d’Europa. Lo ha deciso l’EFCA (European Federation of Engineering Consultancy Associations), la federazione internazionale di 29 associazioni di consulenza ingegneristica, a cui l’Italia partecipa attraverso l’OICE (Associazione delle Organizzazioni di Ingegneria, di Architettura e di Consulenza tecnico-economica).
Ing. Foria, può illustrarci, in breve, le innovazioni da lei introdotte?
«Si chiamano MIRET e ARCHITA e riguardano la digitalizzazione e la sostenibilità per la gestione delle infrastrutture esistenti. In particolare, si tratta di progetti di gestione e identificazione del rischio per le frane e le gallerie che abbiamo già applicato su una linea ferroviaria tra la Liguria e il sud della Francia e che utilizzano nuove tecnologie volte ad automatizzare e rendere più oggettiva la manutenzione e la gestione dell’infrastruttura. ARCHITA è un veicolo che permette di fare la tac all’infrastruttura con impatto minimo sul traffico e MIRET analizza questi dati con modelli digitali multidisciplinari e sistemi di intelligenza artificiale. Ad esempio, grazie alle foto ad altissima definizione possiamo analizzare immediatamente, in un ambiente integrato, quali sono le eventuali criticità di un’opera. E siamo solo all’inizio. Ad oggi, grazie a MIRET, siamo in grado di assistere i tecnici e gli ingegneri nella valutazione della vulnerabilità delle strutture grazie ad algoritmi di intelligenza artificiale e ci stiamo occupando di sviluppare gli indici di rischio per la valutazione dell’impatto del cambiamento climatico sulle infrastrutture, grazie al progetto C2Risk. Un’applicazione che conosce costanti progressi e tende a ridurre e prevedere i rischi e a tenere in sicurezza le linee infrastrutturali».
Com’è possibile indagare i rischi di un collegamento infrastrutturale connessi al cambiamento climatico attraverso l’A.I?
«Esistono diversi livelli in cui è possibile utilizzare l’intelligenza artificiale per facilitare i processi, industrializzarli e, soprattutto, assistere operatori e tecnici nelle loro attività specifiche. Ad esempio, l’Italia conta nel suo patrimonio infrastrutturale più di cinquemila gallerie. Secondo le richieste normative, queste devono essere ispezionate annualmente per valutare i fattori di rischio. Quest’operazione è onerosa in termini gestionali, sia per gli strumenti necessari che per il personale, e risulterebbe incompatibile con la curva che indica il rapporto tra domanda e offerta di lavoro.
Per colmare questa lacuna, è fondamentale fare ricorso ai sistemi di intelligenza artificiale capaci di assistere gli esperti e i tecnici responsabili della gestione del nostro patrimonio infrastrutturale, valutandone la vulnerabilità attraverso l’analisi di un vasto numero di informazioni. Tuttavia, l’adozione di tale innovazione, con impatti significativi, apre scenari complessi e delicati, talvolta problematici. In primo luogo, occorre considerare un primo gruppo di fattori di ordine sociale, seguito da un secondo gruppo ambientale e infine un gruppo relativo alla sostenibilità economica. Il primo gruppo riguarda la necessità di precise norme etiche, al fine di stabilire limiti concreti e intervenire con formazione specifica e una preparazione elevata per evitare casi moralmente inaccettabili. Un esempio è rappresentato da episodi recenti che hanno coinvolto algoritmi sviluppati da software in grado di identificare oggetti basandosi su riconoscimenti di base, come case, edifici e strutture, sfruttando purtroppo il lavoro minorile. Un altro elemento critico di ordine sociale riguarda l’occupazione nel settore. Sebbene favorire l’accumulo e la disponibilità dei dati permetta di preservare l’analisi e le misurazioni nel tempo, facilitando il trasferimento di know-how alle generazioni più giovani, è essenziale ricordare l’importanza dell’intervento umano. Esprimere un giudizio su un’opera esistente richiede una responsabilità significativa e deve passare necessariamente attraverso l’interpretazione concreta dei numeri da parte dell’uomo e dalla capacità di incrociarli con competenza. La nostra attività consente di accelerare i processi e di assistere nella valutazione tempestiva della vulnerabilità delle opere e delle infrastrutture.
Dal punto di vista ambientale, dobbiamo fare a monte uno sforzo di metodo, prima di fare largo all’intelligenza artificiale, in particolare per studiare l’impatto delle variabili meteoclimatiche, attraverso un processo di stakeholder engagement. Calcolare il rischio di scenari futuri di eventi estremi, come quelli climatici, e determinare strategie di gestione e intervento coinvolgendo tutti i portatori di interesse, è uno dei nostri obiettivi. Con ETS e il team di sviluppo, abbiamo introdotto un nuovo approccio alla gestione delle infrastrutture, coinvolgendo tutti gli attori interessati, dai cittadini locali all’ente territoriale e all’autorità che gestisce l’infrastruttura.
Questo approccio, l’analisi al cambiamento climatico delle infrastrutture di trasporto (C2Risk), è stato implementato sulla linea ferroviaria Roma-Cassino-Napoli, il collegamento più antico tra Roma e Napoli. I dati raccolti, le analisi meteo-climatiche e i risultati sono stati integrati negli indicatori di rischio gestiti dagli altri sistemi, come MIRET. Questo è stato il primo caso applicativo del cambiamento climatico sulle infrastrutture in Italia, fornendo indicazioni quantitative sulla futura vulnerabilità di ponti e gallerie, potendo collegare questi aspetti ai costi e alla sicurezza. Inoltre, sulla linea ferroviaria tra la Liguria e il Sud della Francia, che collega San Lorenzo ad Andora, abbiamo ispezionato con successo 12 km di gallerie individuando e aiutando le strategie a supporto della gestione delle non conformità. Prima del nostro intervento, per ottenere i dati di ispezione erano necessari tre mesi. ETS, grazie ai nostri sistemi avanzati di rilievo, ARCHITA, e di analisi, MIRET, è riuscita a raccogliere tutte le informazioni utili in soli due giorni, accelerando così il processo decisionale del tavolo tecnico-gestionale».
Dalla sua prospettiva, quali sono i limiti e le potenzialità della ricerca Made in Italy?
«La nostra ricerca è di grandissimo spessore. Il nostro valore aggiunto è senza dubbio la creatività e la capacità di integrazione e di trasferimento dell’innovazione. Tra le criticità c’è la frequente assenza di una struttura forte a cui appoggiarsi. Ad esempio, il beneficio fiscale per la Ricerca & Sviluppo è passato dal 50% al 20% nel giro di qualche anno. Le prospettive dicono che potrebbe addirittura abbassarsi al 10%. A fronte di ciò, lo strumento principale di R&S è la lungimiranza dei soggetti industriali che sviluppano il prodotto di pregio o il software all’avanguardia. Tuttavia, la qualità della produzione non basta. Occorrerebbe un sistema in grado di costruire una rete solida di relazioni tra chi sviluppa processi e progetti innovativi con le necessità dei Clienti nazionali e internazionali. I servizi di ingegneria stanno diventando un asset rilevante, tra i primi dieci nel nostro export. Ma non esiste ancora un sistema di rete strutturato che permetta di essere immediatamente davvero competitivi su mercati sempre più complessi».
Il suo successo è un vanto anche per il sistema formativo del Belpaese. Cosa pensa della preparazione universitaria nel settore ingegneristico e delle opportunità e delle criticità che incontra un giovane neo-laureato in ingegneria in Italia?
«Le criticità principali riguardano il divario tra le conoscenze teoriche e quelle pratiche. Il nostro sistema formativo continua a essere basato principalmente sulla solidità delle conoscenze teoriche. Personalmente, ritengo che ciò costituisca un vantaggio, poiché superare la fase iniziale di adattamento al mondo del lavoro senza perdere la preparazione concettuale, che è il vero punto di forza della nostra università, può rappresentare un’opportunità da sfruttare. Tuttavia, il problema sorge quando ci sono percorsi professionali che richiedono una specializzazione molto accentuata e una vasta gamma di conoscenze concrete e tecniche in continua evoluzione. Il rischio è essere esclusi da tali percorsi se le istituzioni accademiche non diventano strutture più dinamiche rispetto ai repentini cambiamenti e alla diversità del mercato».
Sul fronte dell’ecosostenibilità quali sono, secondo il suo punto di vista, le principali innovazioni in merito ai materiali?
«I materiali svolgono un ruolo centrale nelle emissioni di CO2, con una particolare rilevanza per i cementi (contribuendo per circa l’8%) e gli acciai (aventi un impatto del 3%). La produzione di cemento evidenzia effetti tecnologici significativi, in continua evoluzione in un mercato estremamente dinamico. Mi auguro che questi sviluppi si consolidino sempre di più, permettendo una diffusione sempre più ampia di materiali innovativi. Tuttavia, è essenziale che tali materiali siano conformi a norme e procedure standardizzate che devono evolversi più rapidamente, al fine di promuovere una vera cultura della costruzione sostenibile».
© RIPRODUZIONE RISERVATA