Giornalista professionista freelance, è laureata in Filosofia Teoretica all’Università Statale di Milano. Dopo aver esordito con collaborazioni per il Sole24Ore (Casa24) e il mensile Elle, attualmente scrive on&off line per testate nazionali ed estere centrando la sua indagine su design e architettura con particolare attenzione alla sostenibilità, Nuovo Umanesimo ed economia circolare. Pur viaggiando molto mantiene casa e cuore a Milano, la capitale del design che ha eletto a propria patria dopo aver vissuto a Londra per qualche tempo.
Pedalare di notte in città ascoltando favole di cemento. Il Brutalismo secondo Velonotte
A metà settembre, in occasione dell’anno di Bergamo Brescia Capitale della Cultura 2023, si è svolta a Bergamo una serata tanto particolare quanto partecipata. Muniti di bicicletta, cellulare con auricolari, luci e campanello per la bici, architetti e cittadini comuni si sono ritrovati davanti all’ex centrale elettrica di Daste e Spalenga, complesso del 1927 recentemente riqualificato, per essere guidati lungo le vie cittadine ad ammirare, facendo alcuni esempi, l’ex fabbrica Italcementi di inizio Novecento, l’edificio polifunzionale Duse costruito nel 1971 a firma degli architetti bergamaschi Giuseppe Gambirasio, Giorgio Zenoni e Walter Barbero, il complesso residenziale “Terrazze Fiorite” sempre di Giuseppe Gambirasio e Giorgio Zanoni e la “Casa minima” dell’architetto Pino Pizzigoni. Seguendo un percorso protetto fatto di sensi unici e strade interdette al traffico veicolare grazie all’intervento della polizia locale, i partecipanti hanno conosciuto l’evoluzione postbellica della città collegandone storia urbana e architettura e terminando la serata al Convento di Sant’Antonio da Padova, opera del 1970 degli architetti Giorgio Zenoni, Giuseppe Gambirasio e Walter Barbero, dove sono stati spettatori della performance del percussionista jazz sperimentale Stefano Grasso.
Si è trattato di una vera e propria cicloesplorazione notturna che in circa tre ore, a partire dalle 19, ha permesso di scoprire alcune delle più significative architetture industriali, pubbliche e a uso abitativo in stile brutalista presenti nella città bassa di Bergamo spiegate, tra gli altri, dalla docente del Politecnico di Milano Maria Vittoria Capitanucci, dal professor Christian Burkhard dell’Università di Kassel e dagli architetti Matteo Invernizzi e Giorgio Zenoni. Guide d’eccezione che hanno partecipato al percorso e si sono alternate durante le sue varie tappe raccontandone la storia e le idee progettuali che ne hanno accompagnato nascita ed evoluzione coadiuvati nelle spiegazioni da proiezioni di immagini e piante progettuali, musiche e audioguide ascoltate tramite i cellulari dai partecipanti.
L’evento, dal suggestivo titolo “Favole di Cemento – VeloNotte Bergamo” è stato organizzato da VeloNotte International, Fondazione Architetti Bergamo, Ordine Architetti Pianificatori Paesaggisti Conservatori di Bergamo e Comune di Bergamo con la collaborazione di A.ri.bi. – Associazione per il Rilancio della Bicicletta, Promoberg srl, associazione OpenArch e SACBO spa ed ha aperto la Settimana Europea della Mobilità Sostenibile.
Anima del progetto “Velonotte International” è il ricercatore di Storia dell’Architettura, ideatore di eventi culturali, docente e musicista Sergey Nikitin-Rimsky che per la creazione del percorso bergamasco si è avvalso dell’aiuto della storica Manuela Merlo. Forte di trentaquattro passate edizioni di Velonotte, Bergamo rappresenta il traguardo della trentacinquesima, l’iniziativa ha visto finora la partecipazione di oltre 100.000 persone che hanno inforcato la bicicletta per percorrere i quartieri di Londra, Istanbul, Roma, San Pietroburgo, Berlino e molte altre città europee. Abbiamo chiesto a Sergey Nikitin-Rimsky di parlarci della genesi di VeloNotte.
«VeloNotte International nasce per ampliare, promuovere e far conoscere l’architettura e la storia urbana in modo innovativo e sostenibile. L’idea di visitare una città di notte, usando la bici come mezzo per muoversi da un posto all’altro, mi è venuta quando abitavo a Roma e stavo studiando l’architettura della capitale d’Italia per un libro sulla toponomastica di Roma. All’epoca risiedevo nel quartiere Tuscolano e mi capitava sovente di rientrare molto tardi a casa pedalando in bicicletta per strade semi deserte, illuminate dalla luce dei pochi lampioni e dove il rumore era quasi assente. Fu allora che notai per la prima volta come di notte, mentre le decorazioni delle facciate sbiadiscono nel buio, le architetture espongono i loro volumi, esaltando quegli elementi costitutivi del vocabolario espressivo proprio dell’architettura contemporanea. In quei momenti, nell’oscurità, la città appariva ai miei occhi come un teatro, delle quinte vuote e silenziose pronte per essere vissute con storie, musica e nuovi protagonisti diversi da quelli della vita diurna caotica e brulicante. Ho così iniziato a immaginare un modo per fruire di questa città vuota, senza caos e rumore, mentre facevo centinaia di foto a quello che è a tutti gli effetti è un continente notturno che di solito passa inosservato perché dormiamo, balliamo o facciamo l’amore.
La prima Velonotte l’ho tenuta a Mosca, un’esplorazione di una delle zone più isolate della città, un quartiere dove nessuna guida turistica avrebbe mai portato i turisti. In quella prima occasione decisi di usare la bici per muoversi velocemente in caso di problemi e fin da allora invitai architetti e storici dell’architettura per vedere insieme questi luoghi che comunque attiravano la curiosità di molti. Si trattava di un’area della capitale che sorgeva circondata da un mare di binari ferroviari che creavano una enclave, un posto dove nessuno vi riusciva ad andare, una porzione urbana separata dal resto della città. In ogni grande città vi sono posti simili, isolati, penso al quartiere di Milano che prende proprio il nome di Isola, ma anche a Berlino o Londra ho constatato l’esistenza di simili realtà urbane. Il nostro obiettivo, ora come allora, è stato di raccontare questi luoghi unendo sociologia e urbanistica ed evidenziando le interazioni tra architettura e società che hanno determinato la storia dei quartieri».
Come scegliete la città dove realizzare l’evento e le tappe del tour?
«Il primo input viene dai viaggi oppure dalla lettura di qualche testo. Poi si forma un team con esperti, studiosi e cittadini e si inizia a lavorare sul percorso tematico. A Londra, per esempio, ho deciso di organizzare il tour dopo aver letto una monografia di Derek B. Scott, critico musicale e professore emerito di Critica Musicale all’università di Leeds, The sounds of the Metropolis: London, Vienna, Paris and New York, l’edizione Velonotte a Istanbul era invece molto influenzata dalla visione di Philip Mansell, storico e scrittore inglese specializzato sulla storia dell’Impero Ottomano, ed il suo Constantinople: City of the World’s Desire.
Ogni edizione di Velonotte è legata a un tema specifico, ogni volta diverso, focalizzato su periodi storici differenti. Nella capitale inglese abbiamo realizzato tre edizioni, una incentrata sull’architettura dell’East End pre e post Olimpica, la seconda che raccontava la rivoluzione urbana di Londra nel periodo del Principe Alberto di Sassonia-Coburgo-Gotha, marito della Regina Vittoria, e poi una terza che legava insieme alcuni luoghi iconici per la storia della musica internazionale. A Ivanovo invece, una provincia a nord di Mosca, ci siamo concentrati sulla sua storia industriale, qui una volta c’erano 20 fabbriche tessili che lavoravano per tutta Unione Sovietica e oggi ne sono rimasti in funzione a solo due. Per Roma abbiamo prodotto due edizioni di Velonotte. Una coincisa con il periodo in cui ho pubblicato il libro Le vie di Roma, dopo dieci anni di approfondimenti negli archivi di Roma, e una seconda dedicata alla botanica, frutto della passione di uno dei miei colleghi per le piante e la loro storia. Il tema della botanica, l’indagine sulla provenienza delle diverse essenze arboree e il loro sviluppo nelle città, in giardini privati, strade e parchi, è un argomento che mi ha particolarmente convinto e non vedo l’ora di replicarlo altrove.
L’obiettivo resta sempre quello di far scoprire la città ai suoi cittadini attraverso gli occhi di storici, architetti, musicisti locali ed esperti della città che spesso provengono anche da altre località. Per Velonotte-Istanbul avevamo invitato come speakers un professore di Londra, uno da Milano e uno di Ankara che hanno spiegato le tappe del percorso intramando le loro voci con quelle di alcuni cittadini di Istanbul riuscendo a ridare un ritratto corale della città. Anche la polizia si prestò per l’evento, fermando il traffico al nostro passaggio e assicurando strade sicure, mentre un’importante radio locale, famosa per i suoi programmi culturali, trasmise in diretta la serata. In quell’occasione parteciparono all’evento quattromila persone, quattromila biciclette che di notte percorsero tutte insieme Istanbul. Un momento davvero emozionante e per cui, a distanza di anni, continuo a ricevere ancora oggi mail da chi ha partecipato. Questa è una delle mie soddisfazioni più grandi: quando i partecipanti mi confessano che grazie ai nostri tour si sono riappropriati di una città che non sentivano davvero loro, scoprendo magari che i vigili possono essere “davvero gentili”. Come mi è capitato di sentirmi dire spesso tra Roma e San Pietroburgo.
Con Velonotte la città anziché stressarti si fa percepire vicina e le persone si sentono finalmente a casa loro. Un momento magico in cui, una volta nella vita, la città decide “Voglio essere vista da chi ha occhi per me”. La metropoli che non è stata fatta per essere guadata ma per essere un luogo in cui avvengono scambio di servizi, persone e merci grazie a queste esperienze si scopre prodotto di uno sviluppo intellettuale ed estetico e chi la guarda in questo modo inizia a capire che anche le cose vicino a noi sono belle e interessanti ma bisogna organizzare il momento per guardarle davvero. Il nostro team di musicisti, designer e artisti coinvolti da Velonotte crea questi momenti. Ti fanno trovare in posti che di giorno non funzionano, sono ansiogeni o addirittura percepiti come brutti ma di notte li scopri, ti si schiudono davanti agli occhi in tutta la loro bellezza».
In ogni tour c’è sempre anche la musica. Perché? Quale ruolo ha?
«La musica per me è sempre parte integrante dell’evento, elemento chiave per far vivere un’esperienza davvero immersiva. Fin dalle prime edizioni ho ragionato in termini di musicalità, creando anche colonne sonore originali da trasmettere in cuffia o via radio o addirittura da eseguire sul momento, come sound track per accompagnare la fruizione della città e aiutare il partecipante a viaggiare tra tempi e fantasie diverse. Spesso raccontiamo infatti le cose che non ci sono più, come a Berlino nel 2017 quando abbiamo organizzato Velonotte dedicandola ai fantasmi che continuano a essere presenti nella vita della città. Quelle che non esistono più perché distrutte o mai costruite ma che comunque sono ancora ben presenti nella struttura e memoria della città. A Londra abbiamo creato il percorso invece per i luoghi di Mozart e dove ha preso vita la prima esecuzione della marcia nuziale che Felix Mendelssohn compose per la figlia della regina Vittoria concludendo il nostro tour a Canary Wharf, alle tre e mezza del mattino, ascoltando un concerto dal vivo dell’orchestra del Trinity Laban College con Nic Pendlebury, violinista e docente universitario, per incontrare il sole all’alba.
Spesso commissioniamo la musica che deve accompagnare il viaggio con l’esplicita finalità di un ascolto in cuffia, per rispettare gli uccelli e gli abitanti che riposano nelle case al nostro passaggio. La scelta del tour in notturna è funzionale anche per questo. Muovendoci in bici arrechiamo meno fastidio al traffico cittadino e nel silenzio si possono ascoltare meglio le spiegazioni delle guide o le tracce musicali. Io stesso ho scritto in passato dei pezzi per alcune città e ogni volta collaboro con i musicisti dei diversi Paesi per creare o suonare musica dal vivo durante i tour. Per Bergamo è stata importantissima la collaborazione con Stefano Grasso, percussionista jazz vocato all’improvvisazione. L’incontro è stato particolarmente felice perché io stesso provengo da una famiglia di appassionati di jazz e mi era già capitato di lavorare in questo ambito musicale. L’ispirazione ci è venuta quando abbiamo scoperto che nella chiesa dell’Immacolata a Bergamo, realizzata dall’architetto bergamasco Pino Pizzigoni, era stata officiata la prima messa rock in Italia, prova dell’apertura della diocesi di Bergamo a diverse forme di dialogo culturale. Stefano, musicista prezioso perché con il senso orientale del silenzio, inteso come parte della musica, ha eseguito una performance di percussioni dal vivo di quasi trenta minuti dentro una chiesa brutalista – in quel momento trasformata in camera da concerto.
Parlando del pubblico, Velonotte è sempre stato un evento per i cittadini, un contenitore di iniziative diverse tra musica, architettura e storia che parla del DNA urbano e vuole far sentire ai partecipanti che per una notte, quella notte, la città è tua. Come la notte di Natale, quando puoi stare sveglio fino a tardi con i tuoi genitori e sai che capiteranno tante sorprese».
Come nasce Velonotte Bergamo e perché il titolo “Favole di cemento”?
«Favole_di_cemento è anche il mio nick su Instagram, e ora sto scrivendo anche un libro per bambini intitolato così. Ma parlando di Bergamo: conoscevo la città già da anni perché come tutti i turisti ero più volte andato a visitare Città Alta ma un giorno, improvvisamente, ho dovuto prendere un autobus dalla stazione di Bergamo per raggiungere l’aeroporto e sono passato davanti alla vecchia fabbrica di Italcementi, un edificio in un stile neobarocco, che non aspetti di incontrare nell’architettura industriale, e poi ho visto altri palazzi di grande qualità, dotati di un gusto, un’estetica diffusa in diverse aree urbane.
Man mano parlando con dei colleghi, mi sono reso conto che Bergamo possiede degli esempi interessanti e sorprendentemente ben conservati di Modernismo e Brutalismo, anche rispetto ad altre capitali e megalopoli europee dove stanno invece procedendo a distruggere gli edifici di questo periodo o li hanno lasciati scivolare nel degrado, depauperandone la bellezza. Ho allora riflettuto sull’imminente “Bergamo Brescia Capitale della Cultura 2023” e sul silenzio che avvolgeva la sua Città Bassa, mai raccontata prima in un evento pubblico, turistico, realizzando che il tempismo era perfetto. Dovrei ringraziare Gianpaolo Gritti e i suoi colleghi alla Fondazione e all’Ordine degli architetti di Bergamo per supportare questa iniziativa.
Nelle precedenti 34 edizioni di VeloNotte abbiamo fatto molte volte un focus sulle architetture degli anni Sessanta-Settanta, ma erano sperimentazioni destinate all’edilizia popolare, anzi sociale, e per questo poco manutenute o senza una corretta gestione, destinate di necessità al degrado. Bergamo in questo senso è per me un miracolo. La possibilità che ho trovato qui di vedere palazzi e complessi ancora perfettamente in ordine ha dello stupefacente in confronto a molte altre città nel mondo. Questa città rispetta l’architettura moderna.
Quando abbiamo iniziato a lavorare al progetto l’incontro con l’architetto Matteo Invernizzi è stato importantissimo e mi ha aiutato a immaginare quell’universo tra gli anni Cinquanta e Ottanta a Bergamo dove committenti illuminati e architetti creativi hanno dato forma a quelle che io ho battezzato favole di cemento. Favole come metafora per il senso di sfida che contengono. Se infatti normalmente quello che è fatto in cemento è anonimo, senz’anima e scrupoli estetici, qui si ergono invece bellissime architetture fatte in cemento e calcestruzzo risultato dell’acume dei protagonisti e dell’affetto dei proprietari odierni che le mantengo con cura e dedizione. Penso per esempio al complesso delle “Terrazze fiorite”, frutto di fantasia e senso gioioso della sorpresa che ha colpito anche i partecipanti di VeloNotte che si sono ritrovati, in mezzo alla città, in un paradiso di piante e fiori non prevedibile guardando il complesso da fuori. Un’area residenziale che dentro è come un giardino dell’Eden. Attualmente sto scrivendo un libro per bambini proprio su questo soggetto».
Il cemento è il grande protagonista del tour bergamasco ma anche in altre edizioni era fortemente presente. Cosa la attrae di questo materiale?
«Sì, infatti, proprio ora sto finendo la guida di architettura di Cipro nel quale il cemento domina completamente il paesaggio (Italcementi c’era anche lì!). Mi interessano le cose che sono a rischio di cattiva interpretazione e che hanno bisogno di un accompagnamento critico, di una spiegazione, per essere comprese. Come gli edifici moderni in cemento presenti nelle città di molte parti del mondo. Palazzi e case che si ergono all’interno delle piante urbane come degli estranei, che vengono abbattuti, chiamati “palazzoni” o “orrore degli anni Settanta”. Un anno fa ho pubblicato un guida di architettura sugli edifici d’interesse di Verona e intorno al Lago di Garda e ho inserito anche la torre Telecom, realizzata in una zona periferica di Verona. Si tratta di un edificio dal gusto giocoso, post-modernista anni Ottanta. Alcuni colleghi architetti mi confessarono le loro perplessità all’idea di includere questo edificio nel novero di quelli meritevoli di segnalazione ma poi, hanno scoperto che ormai è diventato un landmark per i giovani locali, con addirittura una pagina Facebook a lui dedicata. In casi come questo penso che sia necessario creare dei momenti, delle situazioni in cui si rende comprensibile il loro valore per tutti e non solo agli addetti al lavoro.
A Bergamo, città attenta alla tutela dei suoi edifici storici, c’è l’esempio del palazzo polifunzionale ex Duse, al posto del quale c’era un teatro e ancora cinquant’anni dopo la sua edificazione provoca reazioni polarizzanti in chi lo guarda. Commenti negativi di coloro che non hanno capito che è un edificio degli anni Sessanta con un suo valore intrinseco che trovano il contraltare nella cura di coloro che invece hanno scelto addirittura di viverci dentro. In città grandi come Londra, Berlino, Amburgo e Liverpool normative nuove e problemi abitativi portano a rischio distruzione molti dei fabbricati di epoca post-bellica, realizzati in un periodo di cui oggi si trovano ancora testimoni viventi che potrebbero raccontarne la storia. Il come fosse stato percepito l’immobile appena costruito e come vi si viveva accanto o dentro. A Bergamo mi piacerebbe se la fabbrica storica Italcementi fosse restaurata preservandone i segni del tempo invece di optare per un restauro che lo riporti alla bellezza originale, omettendone le tracce del tempo e cancellandone la patina storica. La cosa peggiore che possa succedere a un edificio, secondo me, è che venga museificato. La storia di una architettura è fatta anche di quel che gli è successo dopo, nei decenni seguenti.
Ampliare la coscienza sulla storia di queste architetture vuol dire evitare che questi edifici si perdano, vuol dire fare un investimento sul futuro perché resti curato e salvaguardato. Allora se gli stabili più “brutti” della città, a rischio incomprensione, spesso sono quelli in cemento è lì che dobbiamo portare musica, luce e racconti. Per spiegarne storia e ampliarne il più possibile la conoscenza così da convertirli da strutture anonime a palazzi noti. Come nelle favole, quando il cosiddetto mostro diventa tuo amico perché lo hai conosciuto ed è diventato un tuo vicino che puoi salutare quando lo incontri».
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