Giovanni Comoglio è un architetto formatosi tra Torino e Parigi. Assistente alla ricerca e alla didattica presso il Politecnico di Milano e il Politecnico di Torino, scrive per diversi periodici tra cui Domus, Ark, Il Giornale dell'Architettura, Il Manifesto. Dottore di ricerca in Storia dell’Architettura e dell’Urbanistica, è attivo in campo storico e teorico nella ricerca delle articolazioni del concetto di habitat attraverso l’architettura contemporanea; ha operato in campo curatoriale come architetto in residenza presso il FRAC Centre-Val De Loire, di Orléans.
Sono secoli che, in alternativa a scontri più terra terra, ci si scontra con violenza, per tetragona ideologia anche pronta al gesto estremo, attorno all’interrogativo fondamentale, se sia l’arte a rispecchiare la vita, il razionale il reale, o viceversa. A dimostrare che il viceversa non è poi così improbabile, abbiamo storie su storie di personaggi che hanno voluto fare della loro vita un’opera d’arte, da Baudelaire a Bowie a Lady Gaga. Nella narrativa però, nella letteratura, nei libri, nella loro maggioranza, è la nostra vita terrena che finisce per confluire, per fissarsi; persino riguardo a molta fantascienza c’è chi si lamenta che tutti i presupposti utilizzati siano in realtà molto, molto terreni.
E se trattiamo di vita terrena contemporanea, in tutti i suoi aspetti, negli ultimi 130 anni questa vita è sempre più fatta di cemento, per qualche ragione, dalla più triviale alla più elaborata, in risposta ai più bassi scopi o ai più alti sentimenti. Che sia esplicito o meno, ci troviamo sempre più spesso a leggere di cemento. Magari difficilmente troveremo un poema che ne canti la gloria, ma sicuramente incontreremo un bel po’ di racconti dove il cemento dà forma alla vita, nelle sue bellezze quanto nelle sue distorsioni.
Come potrebbero i quattro fratelli che Ian McEwan fa vivere nel suo Il giardino di cemento (l’edizione italiana è di Einaudi, del 1980) proseguire con quella vita stessa cui tanto sono attaccati, se non ci fosse la provvidenziale occasione di nascondere dietro al cemento la realtà drammatica che potrebbe definitivamente incrinarla? Persino allo scrittore britannico, maestro della cristallizzazione di emozioni capaci di fermarsi nell’infanzia, e condizionare poi decenni di storia successiva – come in Espiazione – riesce difficile affidarsi alla sola potenza dei mezzi interiori dei personaggi, stavolta, per garantire il sortilegio della staticità: la vita moderna avanza, serviranno mezzi più concreti per mantenere le cose come erano fin dalla loro origine.