Dopo la formazione in architettura all’Università La Sapienza di Roma, città in cui ha conseguito l'abilitazione professionale, si è occupata per anni di allestimenti museali, per mostre e fiere presso studi di architettura e all’ICE - Istituto nazionale per il Commercio Estero. In seguito si è specializzata frequentando il "Corso di alta formazione e specializzazione in museografia" della Scuola Normale Superiore di Pisa. Dal 2016 coordina la sezione architettura di Artribune, piattaforma per la quale scrive da giugno 2012, occupandosi anche della scena culturale di Firenze, sua città d'adozione. I suoi articoli sono stati pubblicati su Abitare, Domus, Living, Klat, Icon Design, Grazia Casa e Sky Arte. Oltre all'architettura, ama i viaggi e ha una predilezione per l'Estremo e il Medio Oriente.
I grattacieli: da architetture iconiche a presenza diffusa nello skyline
Con i suoi 310 metri di altezza, la Varso Tower di Varsavia detiene il record di torre più alta dell’Unione Europea. Recentemente ultimata e inclusa nel masterplan che sta ridefinendo identità e funzioni di un’intera area nel cuore della capitale polacca, la struttura per uffici è stata progettata dallo studio Foster+Partners, in collaborazione con Epstein e Buro Happold Engineering. In analogia a edifici appartenenti alla medesima categoria tipologica, anche questo grattacielo negli intenti dei suoi promotori e artefici intende raggiungere lo status di “simbolo”, nel caso specifico della Polonia contemporanea. Ci si aspetta, in altre parole, che possa agire da “attrattore collettivo” e da punto di riferimento fisico ben oltre la cerchia della comunità professionale che opererà al suo interno. Accanto alla supremazia di altezza, che di per sé già sembra assicurare alla Varso Tower una discreta popolarità nel prossimo futuro, è l’intero programma di intervento, pensato per agevolare l’accesso a un’utenza ampia, a gettare le basi per il traguardo atteso.
Raccolta all’interno di uno “schermo vetrato”, con alberi e arredi che incoraggiano alla conversazione e alla sosta, la cosiddetta “urban room” della torre costituisce il suo fulcro nevralgico. Uno spazio a tutti gli effetti concepito come pubblico, nel quale il flusso dei lavoratori delle aziende che hanno scelto di insediarsi in questa architettura si potrà “intrecciare” con chi si recherà nel Varso Place per fare shopping, mangiare o godersi il panorama dalla terrazza bar al piano 49 della torre: grazie alla presenza di una quindicina di alberi, al momento si trova qui il giardino più alto dell’intera Varsavia.
A poco più di 9300 km di distanza da questa città sorge la densa Singapore, che al pari di Hong Kong, New York e più di recente delle metropoli cinesi o delle capitali della penisola arabica lega la propria “reputazione architettonica” agli edifici alti. Ma con una peculiare accezione. In anticipo rispetto all’attuale (e all’apparenza inarrestabile) ascesa della componente vegetale, intesa come presenza irrinunciabile nei complessi di nuova costruzione in giro per il mondo, già da almeno cinque decenni la città-stato asiatica ha intuito le potenzialità in termini di benessere dell’adozione diffusa del verde. E in tutte le sue declinazioni ed espressioni, incentivando anche l’integrazione fra piante, arbusti e infrastrutture. Non sorprende dunque che proprio nel suo distretto finanziario sia da poco entrato in attività il grattacielo biofilico, a uso misto, CapitaSpring.
Definita dall’architetto Bjarke Ingels dello studio BIG-Bjarke Ingels Group, che lo ha disegnato con CRA-Carlo Ratti Associati, come “una visione di un futuro in cui città e campagna, cultura e natura possono coesistere e i paesaggi urbani espandersi senza restrizioni nella dimensione verticale”, questa torre ospita oltre 80mila piante in 280 metri di altezza. Distintamente percepibili dall’esterno, grazie a sinuose aperture che ritmano la trama della facciata in vetro e acciaio, si concentrano nella piazza posta al livello terra, nella cosiddetta Green Oasis e nel coronamento del grattacielo. È qui che è stata ricavata “l’azienda agricola più alta di Singapore”, dedita alla coltivazione di oltre 150 specie vegetali, distribuite in appezzamenti tematici, capaci di rifornire i ristoranti interni allo stabile.
Questi due esempi recenti, entrambi di respiro internazionale anche per il rilievo dei soggetti coinvolti, documentano alcune delle tendenze in corso nella progettazione dei grattacieli, la tipologia edilizia in larga parte fin qui responsabile, a qualsiasi latitudine, della riconoscibilità dei singoli skyline urbani. In 137 anni di evoluzione morfologica, funzionale e tecnologica – tanti ne sono trascorsi dal completamento di quello che viene considerato il primo esemplare, ovvero l’Home Insurance Building di Chicago, alto 55 metri e basato su un telaio in acciaio – la “conquista del cielo” da parte di architetti e ingegneri non smette di appassionare. Le destinazioni statunitensi, pur mantenendosi attive su questo fronte – basti pensare alle trasformazioni recenti dello skyline newyorkese, dettate anche dalla spinta dei developers sul fronte delle residenze di lusso –, non sembrano voler eguagliare i “risultati estremi”, almeno a livello strettamente numerico, cui puntano Dubai, la capitale saudita o alcune città cinesi. Eppure proprio negli Stati Uniti ha avuto inizio questa storia, dettata dall’urgenza di concentrare attività e presenza umana in aree strategiche e ambite, superficialmente limitate e spesso molto costose.
Non restava dunque che provare a operare in altezza: supportata dalla “rivoluzionaria” introduzione dell’ascensore e dal ricorso a strutture in travi e pilastri in acciaio, fra successi, fallimenti e tentativi, l’ascesa del grattacielo ha offerto una risposta concreta a un bisogno in seguito riconosciuto come globale. Parallelamente, ha dato avvio a una modifica epocale della percezione e dell’immagine, anche sociale, della città. Consentire alle persone di vivere e lavorare a quote mai raggiunte prima, ha capovolto la storica gerarchia fra livelli bassi e alti degli edifici, con un incremento senza pari dell’appetibilità di questi ultimi, più luminosi, più silenziosi, incredibilmente panoramici. Svincolate da incombenze strutturali, le facciate si sono semplificate, alleggerendosi da quei connotati anche decorativi che, per secoli, avevano contribuito a restituire il prestigio della committenza promotrice di una certa opera.
Per raccontare il significativo incremento degli edifici realizzati, registrato in particolare dal secondo dopoguerra in poi, con un autentico balzo dall’inizio del XXI secolo, è tuttavia necessario riflettere anche sulla costante ricerca portata avanti nell’ingegneria dei materiali. E osservando la scena contemporanea, emerge il ruolo essenziale del calcestruzzo in tutte le strutture essenziali dei grattacieli con una progressiva riduzione dell’impiego dell’acciaio in forma esclusiva (pari al 5% circa del totale complessivo). Una scelta dettata dalle sempre più alte prestazioni garantite da questo materiale, sia in termini di resistenza e durevolezza, sia per quanto attiene costi, modalità di produzione e realizzazione in loco, e non da ultimo per il contributo nel raggiungimento di altezze da record. Progettato dallo studio Skidmore, Owings and Merrill e inaugurato nel gennaio 2010, il Burj Khalifa di Dubai con i suoi 829 metri è il grattacielo più alto del mondo: quasi l’80% della sua avveniristica quota è stata raggiunta grazie a strutture in calcestruzzo.
Sebbene appaia complicato abbozzare previsioni sugli scenari futuri, ieri come oggi i grattacieli non costituiscono solo il “banco di prova” per eccellenza per ambizioni di carattere tecnico e tecnologico. La loro verticalità, sempre più spesso raggiunta attraverso una ragionata combinazione funzionale (abitazioni, uffici, spazi commerciali, per l’intrattenimento, il lavoro e il wellness e l’ospitalità), riflette le aspirazioni e le smanie degli investitori, dando così prova della forza economica, del prestigio, dello spirito innovativo (o moderato) dei soggetti privati o pubblici coinvolti in queste costosissime operazioni. Dall’Europa all’Estremo Oriente, fino all’America settentrionale, non sembra quindi azzardato paragonare lo skyline urbano a una sorta di “termometro”, capace di rilevare sia gli orientamenti che attraversano la pratica architettonica in una certa epoca (è il caso dello già citato trend alla progettazione di giardini pensili o verticali, cui vengono assegnate finalità non decorative), sia di evidenziare le reti di sistemi attive in uno specifico territorio.
Fra gli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso, Milano ha assistito alla crescita dei suoi grattacieli “storici”. Fra questi la Torre Galfa, la Torre Velasca e, naturalmente, il capolavoro di Gio Ponti: il Grattacielo Pirelli, inaugurato nel 1960 e divenuto, poco meno di due decenni dopo, la sede di Regione Lombardia. Per dare vita a questa incontrastata icona milanese, alla cui progettazione prese parte, fra gli altri, anche da Pier Luigi Nervi, venne sviluppato da Italcementi un cemento particolarmente performante. Nonostante sia stata superata in altezza negli anni Dieci del nuovo secolo, questa torre continua a essere l’emblema del miracolo economico italiano e la “depositaria” di una fase storica in grado di alimentare nostalgie e posizioni contrastanti. Alle innovazioni che le attribuiscono un ruolo chiave nella storia dell’architettura internazionale, affianca infatti un “rapporto d’elezione” con il capoluogo lombardo e con la sua comunità.
Viene dunque da chiedersi se gli altri edifici alti sorti in anni recenti o attualmente in progress a Milano sono o saranno in grado di stabilire una connessione altrettanto forte e intensa. Non godendo della condizione di “unicum” (o quasi) nello skyline urbano, come fu per il Grattacielo Pirelli, riusciranno a entrare con altrettanto successo nell’immaginario collettivo? Dalla presenza puntuale e riconoscibile nella silhouette di un tempo, che fu prerogativa delle torri sorte nel secondo dopoguerra, oggi nella “città che sale” si sta approdando a una pluralità formale forse non ancora immediatamente decifrabile. Anche per questo si ricorre ad appellativi come il Dritto, lo Storto, il Curvo e lo Sdraiato per gli edifici, fra cui tre torri, dell’area di CityLife oggetto di uno dei più vasti progetti di rigenerazione urbana a livello europeo. Eppure non mancano gli elementi ricorrenti, a partire dalla “sfida” in termini ambientali. Affacciata sulla Biblioteca degli Alberi progettata dallo studio Pelli Clarke Pelli Architects (PCPA) nell’area di Porta Nuova, con i suoi 120 metri GIOIA 22 punta ad esempio a conseguire certificazioni anch’esse “da primato”.
Attualmente lontano da possibile perdita di appeal, il grattacielo si conferma intanto un osservatore speciale per analizzare e comprendere il destino dei centri urbani internazionali: un “edificio specchio” dei tempi e dell’innovazione tecnologica, dal quale appare legittimo attendere risultati sorprendenti, anche a livello tecnologico, senza dubbio impensabili 137 anni fa.