<p style="font-weight: 400;">Laureata in Scienze Politiche, ha conseguito un master in Comunicazione e marketing politico e istituzionale alla LUISS Guido Carli di Roma. Giornalista, lavora nell’ambito della comunicazione e della consulenza editoriale.</p>
La grande bellezza e il MAXXI. Intervista a Lorenza Baroncelli
È un edificio unico, anzi un’architettura unica: una struttura grezza e ondulare che si inserisce perfettamente nella scenografia della grande bellezza di Roma. Il MAXXI, Museo nazionale delle arti del XXI secolo è l’opera prima italiana dell’architetta Zaha Hadid, costruita ormai quasi quindici anni fa completamente in cemento, un materiale che si è fuso con il sistema museale e con la visione estetica tipica dell’architettura, dimostrando nella sua durezza tutta la sua malleabilità.
Lorenza Baroncelli, oggi direttrice del dipartimento di Architettura e Design contemporaneo dello stesso museo, dà il suo personale punto di vista sulle trasformazioni architettoniche, urbanistiche e materiche passate, presenti e future.

Roberto Conte
In che modo il cemento, spesso considerato un materiale grezzo e industriale, riesce a dialogare con la visione estetica e funzionale del MAXXI?
«Del MAXXI amo quella dimensione grezza che lo rende a mio avviso uno degli edifici architettonicamente più belli. Non a caso sono una grande amante della scuola svizzera e del cemento armato. Diversamente, non amo le strutture in acciaio e vetro, non perché esteticamente non siano apprezzabili ma perché la loro riconversione a livello sociale diventa difficile, legata quasi esclusivamente agli uffici. In una società che cambia così velocemente, che si trasforma praticamente ogni sei mesi, è fondamentale una dimensione di adattabilità».
Guardando al futuro dell’architettura e del design museale, pensa che questo materiale continuerà a giocare un ruolo centrale?
«Ritengo che di rivoluzioni costruttive ne abbiamo viste poche. Nel 1914 vi fu Le Corbusier che inventò Maison Dom-Ino dove applicò il cemento armato alle edilizie residenziali e non solo a quelle industriali. Attualmente non vedo nessuna altra grande rivoluzione di materiali, nonostante la ricerca sulle facciate. Magari accadrà, sicuramente accadrà qualcosa che ora non riesco a immaginare, ma secondo me è ancora il cemento il futuro della nostra vita, con tutti i miglioramenti, le riflessioni e le trasformazioni che sono già in atto legate al benessere del nostro pianeta e di tutte le specie che lo abitano».

Roberto Conte
È stata la prima persona in Italia a ricoprire il ruolo di assessore alla rigenerazione urbana. Molto spesso, nel pensare i luoghi, e gli edifici, il ruolo dei materiali finisce per definire i primi. Perché la loro scelta e la modalità con cui vengono utilizzati rappresentano un passaggio strategico e insostituibile in ciascun percorso di progettazione?
«Come dicevo prima la ricerca del materiale è fondamentale e deve essere fatta ponendo attenzione alle condizioni in cui viviamo. Forse però il futuro non è esclusivamente “ricerca dei materiali”, bensì “capacità di unione e collaborazione con l’architettura”. La grande sfida a mio avviso è scardinare la fissità della nostra cultura: andare a modellare la rigidità di un materiale e anche la rigidità stessa dell’architettura».

Roberto Conte
Da febbraio 2023 è direttrice del dipartimento Architettura e Design contemporaneo del MAXXI di Roma, intorno al museo ci saranno una serie di lavori. La dimensione del cantiere può ispirare una serie di iniziative a tema, diventando occasione per ridurre le distanze tra il vostro pubblico e i processi di trasformazione edilizia e urbana?
«Per raccontare l’ampliamento del museo è importante inquadrarlo nel suo complesso. Roma è una città che ha conosciuto nell’architettura la sua forza: la città è profondamente basata sul ruolo che la grande bellezza ha giocato all’interno del contesto urbano, poi tutto questo si è arrestato. Oggi in quello che è stato chiamato “distretto del contemporaneo”, sono in atto una serie di trasformazioni che, per la prima volta, spostano di nuovo l’attenzione non più solo sul circuito turistico strettamente riconosciuto (vedi il Colosseo), ma verso tutto quello che è il ruolo dell’architettura contemporanea stessa. L’ampliamento annunciato del MAXXI ha l’obiettivo di costruire uno spazio dove anche i depositi del museo possano diventare spazi espositivi. Non si esclude nulla, consapevoli anzi del fatto che lo spazio pubblico, lo spazio aperto, è fondamentale per creare una relazione con il quartiere e con la città. L’espansione riguarda dunque lo spazio nella sua generalità e non il singolo edificio. Il cantiere entra a far parte di un piano più ampio di trasformazione che vede il generarsi del distretto del contemporaneo, con lo scopo di portare un quadrante di Roma a un nuovo circuito di turismo, pubblico e cittadini».

Roberto Conte
Considerando il suo lavoro in Italia e nel contesto internazionale, come giudica il rapporto tra la disciplina architettonica e il mondo delle costruzioni? Quali indicherebbe come potenziali processi virtuosi da intraprendere per oltrepassare eventuali criticità in essere?
«Da architetto che si occupa di rigenerazione urbana ho un’idea di trasformazione della città che vede il supporto e la collaborazione tra più realtà in grado di lavorare su un piano urbano e sociale insieme. Fatta questa premessa, credo tantissimo nel rapporto tra architettura e mondo delle costruzioni: spesso mi trovo ad affermare che vi era un tempo in cui le grandi opere erano considerate la più alta forma di democratizzazione dei popoli. Dal Secondo dopoguerra sono state autrici di grandi trasformazioni – vedi l’autostrada del Sole – di grandi esperimenti in ottica residenziale, e ancora gli stadi. C’è stato un momento in cui le grandi opere erano qualcosa di completamente positivo, esattamente una forma di democratizzazione. In seguito le cose sono cambiate, e oggi abbiamo il compito e la responsabilità, architettura in primis, di riportare il mondo delle costruzioni a essere letteralmente il costruttore di una nuova società. Ovviamente la discussione è lunga e complessa, ma rifletterei sul fatto che la trasformazione del territorio – dunque le grandi opere, l’urbanistica, l’architettura – ha oggi più che mai bisogno di una regia centralizzata, a livello istituzionale e politico, con un rapporto concreto con la comunità europea».
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