Giornalista professionista, esperta in innovazione e digitale ed economia circolare. Scrive da sempre per Avvenire - dove ha lavorato per anni alla redazione Economia - e per Il Sole24ore. È stata una delle responsabili dell'ufficio centrale del quotidiano online indipendente Lettera43. Oggi, tra le altre attività, collabora con la BBC per la redazione televisiva e le feature stories online e dal 2015 ha iniziato a occuparsi di Brand Journalism e coordinato diversi progetti editoriali cartacei e digitali per aziende in ambito finanziario e IT.
Dal cemento le fondamenta dell’economia circolare
L’Unione europea, già da diversi anni, promuove la transizione verso l’economia circolare focalizzandosi su alcuni settori specifici, tra cui le costruzioni, spingendo per un impegno di tutti gli attori coinvolti, per una maggiore eticità dei processi e della produzione sia del cemento che del calcestruzzo.
Il settore dell’edilizia, infatti, fino a oggi è stato responsabile del consumo di circa il 50% delle materie prime estratte, che a livello mondiale equivale a oltre 42 miliardi di tonnellate di materiali utilizzati in un anno. Ha anche avuto finora la responsabilità di un terzo del totale dei rifiuti prodotti: in Italia il 41,3% di tutti i rifiuti speciali sono gli scarti provenienti dal settore edile.
Le cose, però, stanno cambiando radicalmente, come conferma anche il primo Rapporto di Sostenibilità della filiera del cemento e del calcestruzzo pubblicato a fine 2020 da Federbeton, la Federazione delle Associazioni del cemento, del calcestruzzo e degli altri materiali, componenti e tecnologie a essi legate. Dal Rapporto emerge infatti che si tratta di un’industria che ha già avviato importanti investimenti verso la sostenibilità e l’economia circolare per oltre 110 milioni di euro e 311.615 tonnellate di emissioni di CO₂ risparmiate solo nel triennio 2017-2019.
Il settore del cemento, infatti, già da molti anni sostituisce con materiali di recupero le proprie materie prime naturali provenienti dalle attività estrattive (in cave e miniere) come calcare, argilla e scisti. Fra i materiali alternativi utilizzati ci sono i rifiuti non pericolosi provenienti da altri settori industriali come le ceneri volanti, i gessi chimici, le scorie d’alto forno, e le scaglie di laminazione.
Così come nel settore del cemento, attraverso la sostituzione delle materie prime con materiali da recupero, anche l’impiego dei materiali da costruzione e demolizione come aggregati per la produzione di calcestruzzo strutturale – tutti sottoposti a rigidi tracciamenti – consentono infatti un significativo volume di riciclo, ma anche di risparmio di risorse ambientali: una pratica che, a regime, consentirà di evitare l’escavazione di 15 milioni di tonnellate l’anno di materiali, con una importante riduzione nell’utilizzo di risorse naturali.
Una sfida ambientale ed economica: la certificazione al centro
La sfida non è solo ambientale, ma anche economica e sociale, ed è un concetto che tocca diversi aspetti e che va di pari passo con la qualità. I criteri di certificazione seguono uno schema elaborato in ambito internazionale dal Concrete Sustainability Council (CSC), associazione fra i cui membri fondatori figurano importanti realtà industriali del settore del calcestruzzo dall’Europa, dagli Usa, dall’America Latina e dall’Asia, così come le principali associazioni europee di riferimento per la filiera. Si tratta di uno schema che ha l’obiettivo di promuovere la trasparenza e la sostenibilità del settore del calcestruzzo prodotto e dell’intera filiera.
In questa direzione Italcementi e Calcestruzzi, parti attive del CSC, lavorano da tempo per la certificazione dei propri impianti. «Oggi, gli impianti di calcestruzzi di Bari e Napoli si sono aggiunti a quelli già certificati di Peschiera Borromeo, Cologno Monzese e Genova Chiaravagna e alla cementeria Italcementi di Calusco d’Adda (BG). Inoltre, in corso di certificazione c’è anche la Cementeria di Matera», spiega Andrea Zecchini, Responsabile Tecnologico e Supporto Tecnico di Italcementi.
L’obiettivo, però, non è certificare solo gli impianti o prodotti, ma tutta la filiera di processo – dal trasporto al riutilizzo delle materie prime – per garantire calcestruzzi performanti e filiere sicure e responsabili. In questa direzione va per esempio anche l’impegno dell’azienda nel massimizzare l’impiego di materiali locali entro un raggio di 150 km dall’origine alla sua lavorazione. «Se prendiamo come esempio il Ponte San Giorgio di Genova: il clinker – il semilavorato – viene dalla cementeria di Calusco d’Adda, certificata CSC, il quale è stato macinato a Novi Ligure (AL) per ottenere il cemento, per poi essere fornito all’impianto di calcestruzzo di Genova Chiaravagna, anche questo certificato CSC, per la produzione di calcestruzzo. Inoltre il cemento si caratterizza per un basso livello di emissioni di CO2, il 30% in meno di un cemento tradizionale, e tra l’altro con caratteristiche di elevata durabilità e resistenza agli agenti chimici» racconta Zecchini.
«Questo principio di sostenibilità non si ferma puramente all’ambiente, ma ha anche un impatto sociale, con conseguenze sulla comunità e sulla sicurezza delle strutture, in maniera diretta o indiretta. Lo abbiamo toccato con mano durante la fornitura del ponte di Genova dove abbiamo attivato il Modello 100% Certified Concrete con più di 6mila controlli in un anno per verificare sicurezza e durabilità del cemento utilizzato, e altrettante verifiche sul calcestruzzo fornito», sottolinea Zecchini, spiegando come il concetto di sostenibilità vada di pari passo con quello di qualità e certificazione.
Su questi fronti Italcementi è impegnata da anni, come conferma il processo di ottimizzazione e razionalizzazione già avviato all’interno dei propri impianti, a partire dall’attenzione estrema nel massimizzare le performance del clinker, il componente base per la produzione del cemento, utilizzando combustibili alternativi.
Negli impianti Italcementi la circolarità viene infatti garantita in tutte le fasi produttive: il clinker durante la fase di macinazione viene mescolato a “materie prime seconde” come le scorie d’alto forno o ceneri volanti che escono dal ciclo produttivo di centrali elettriche o impianti siderurgici. «Si tratta di “prodotti secondari” che altrimenti finirebbero in discarica, mentre in questo modo vengono valorizzati e viene data loro una “seconda vita”. Abbiamo però regole ferree nell’acquisizione di questi materiali: esiste una filiera di controllo e requisiti molto chiari a cui sia i fornitori che il materiale devono sottostare e ci muoviamo secondo un’ottica di approvvigionamento etico e responsabile», precisa Andrea Zecchini, sottolineando poi come sul fronte del calcestruzzo, invece, oltre alle certificazioni Italcementi e Calcestruzzi stanno lavorando anche sull’utilizzo di materie prime seconde e sugli aggregati riciclati, ossia gli inerti come la ghiaia o la sabbia, ma anche aggregati di natura artificiale provenienti per esempio dai processi siderurgici.
«L’obbiettivo è ridurre gli scavi di materie naturali e valorizzare i “prodotti secondari o materie prime seconde”, anche quelli che provengono dalle demolizioni», spiega Zecchini. «Nel solo 2020 la media ponderale di riciclato utilizzata nel calcestruzzo (comprensiva anche della quota derivante dai cementi) è stata pari al 2,76 % su una produzione totale di circa 2.500.000 mc. Per rispettare i CAM (Criteri Ambientali Minimi, standard adottati per rendere gli appalti “green”), in alcune forniture di calcestruzzo abbiamo raggiunto un valore massimo di sostituzione di aggregati naturali con “materie prime seconde” del 15%. Nel 2020 sono state riutilizzate oltre 33.000 tonnellate (+28% rispetto al 2019) di aggregati riciclati evitando così di attingere alle materie prime naturali.
E nell’ottica di una vera economia circolare è nato per esempio il progetto del nuovo Stadio di Cagliari – portato avanti con l’Università di Cagliari – che risorgerà (almeno in parte) dai calcestruzzi di quello vecchio. Si è già conclusa la “predemolizione” di tipo investigativo che ha riguardato due differenti tipologie di strutture, una trave di sostegno del secondo anello e un blocco di fondazione, concordata con Comune di Cagliari e Cagliari Calcio, all’interno del progetto MEISAR (Materiali per l’Edilizia e le infrastrutture Sostenibili – Gli Aggregati Riciclati). Da 5 metri cubi di macerie si sono ricavati 3 metri cubi di aggregati riciclati caratterizzati e certificati secondo le normative in vigore per poi ottenere 4 metri cubi di calcestruzzo pronto per essere utilizzato».
L’evoluzione dei prodotti nativamente “sostenibili”
Italcementi e Calcestruzzi, inoltre, seguono ormai da anni la strada della sostenibilità, ideando linee di prodotti a basso impatto ambientale. «Negli ultimi anni abbiamo notato un cambiamento di interesse su questo argomento – continua Zecchini –. Solo nel 2020, ad esempio, Italcementi ha prodotto 32 EPD (Dichiarazioni Ambientali di Prodotto) che certificano le prestazioni ambientali dei prodotti attraverso informazioni oggettive e confrontabili. Oltre alle EPD sono state effettuate ben 118 LCA (Life Cycle Assessment) per valutare la sostenibilità dei prodotti lungo tutto il loro ciclo di vita».
In questa direzione va per esempio la nuova gamma di cementi e calcestruzzi sostenibili eco.build in grado di rispondere a una crescente richiesta di mercato con prodotti sostenibili, di qualità e a Km Zero, ma anche soluzioni concrete come i.power RIGENERA per l’adeguamento o il ripristino del patrimonio infrastrutturale. Si tratta di ponti, viadotti, gallerie, strade e tracciati ferroviari che sono stati realizzati a partire dal Dopoguerra e che oggi necessitano lavori di ripristino o adeguamento per poter continuare a garantire il loro contributo allo sviluppo economico e sociale dei territori e delle comunità.
«La nostra soluzione i.power RIGENERA offre ai progettisti un pacchetto completo, dall’analisi dell’esistente alla messa a punto della soluzione ottimale e “su misura” per l’opera da ripristinare, con la presenza in cantiere dei tecnici specializzati di Italcementi e Calcestruzzi per collaborare con le imprese nell’applicazione del prodotto. Nello specifico si tratta di un calcestruzzo fibrorinforzato ad altissime prestazioni, in grado di avvolgere gli elementi strutturali donando loro resistenza, durabilità e nuove capacità antisismiche», dice Zecchini «Tra l’altro il prodotto è stato sviluppato nell’ottica della sostenibilità e dell’economia circolare con un contenuto di materie prime seconde tra il 10% e il 12%. Per avere un metro di paragone, i CAM richiedono il 5%».
Dalla materia prima a quella finita, sono già numerose anche le “buone pratiche” messe in campo da Italcementi e che rispecchiano la nuova vita sostenibile del cemento, non solo nell’ottica di una maggiore sostenibilità, ma anche con l’idea di creare un maggiore beneficio per un luogo e i suoi fruitori. A Milano, per esempio, una porzione del Parco Biblioteca degli Alberi è stata pavimentata utilizzando il calcestruzzo drenante, un materiale sostenibile in grado di diminuire sensibilmente la temperatura della pavimentazione anche nelle afose giornate estive. Il colore chiaro del calcestruzzo, unito alla capacità di mantenere il naturale flusso dell’acqua nel terreno, contribuisce in maniera importante a ridurre l’effetto “isola di calore” negli ambienti urbani. Un beneficio che va oltre la porzione di terreno pavimentata con questo materiale, ma che si estende anche all’area immediatamente circostante. Grazie alla elevata capacità termica, alla tenuta all’aria a lungo termine e ad altre caratteristiche, il calcestruzzo può essere infatti progettato per ridurre i consumi degli edifici a 50 kWh/m2/anno o anche meno, contro l’attuale stima di un consumo pari a 150-200 kWh/m2/anno di energia.
Seguendo questo filone, sempre a Milano all’interno del nuovo progetto residenziale di nòvAmpère, nel cuore di Città Studi a Milano, è stato utilizzato il cemento fotocatalitico che, riproducendo il naturale processo di fotocatalisi, è in grado di accelerare i processi di ossidazione, favorendo una più rapida decomposizione degli inquinanti. Il cemento, utilizzato su 2.700 metri quadrati di pareti esterne, è in grado di neutralizzare le emissioni di circa 54 auto a benzina (euro 6) o 40 au-to diesel (euro 6) e, da studi scientifici realizzati da Italcementi, il contributo alla qualità dell’aria urbana equivale a piantare circa 243 alberi.
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