Presentatrice televisiva e radiofonica, podcaster e content creator. Bilingue italiana-inglese, laureata in Lingue e Letterature Straniere. È autrice e conduttrice di vari programmi su Giornale Radio e podcast di successo.
Catturare la CO2 dando nuova vita agli scarti industriali. La ricerca di Giada Biava
Giada Biava, giovane ricercatrice bergamasca, si occupa di uno dei problemi più grandi che sta segnando il nostro secolo: il surriscaldamento globale e l’effetto serra. Il suo studio affronta una delle cause principali di questi fenomeni: le emissioni di CO2 dovute all’attività dell’uomo. Il governo italiano, e in particolare il Ministero dell’Università e della Ricerca, ha stanziato dei fondi per delle nuove borse di dottorato a tematica “green”, cofinanziate dalle aziende, per incrementare la ricerca nel settore sostenibilità e favorire la collaborazione tra università e impresa.
Cosa significa per una giovane under 30 vedere il proprio progetto finanziato dal Ministero?
È una grande soddisfazione, un sogno, un piccolo traguardo che mi ripaga dei tanti sacrifici che ho fatto durante il mio percorso di studi. Sono cresciuta in una realtà piccola, Brusaporto, in provincia di Bergamo, un paese che conta meno di 6.000 abitanti, in una famiglia “normale” come tante altre e come molti dei miei coetanei.
Quando è nata la tua passione per la scienza?
Ho sempre avuto una passione per la scienza fin da adolescente. Mi sono diplomata al Liceo Scientifico Filippo Lussana a Bergamo; successivamente mi sono iscritta alla facoltà di Scienze e Tecnologie Chimiche presso l’Università di Milano-Bicocca dove ho conseguito sia la laurea triennale sia la laurea magistrale con il massimo dei voti. Durante il mio percorso universitario, ho avuto la possibilità di fare due tirocini, ed entrambi avevano come principio quello di fare qualcosa di buono per l’ambiente e per gli altri. Fin da quando sono adolescente questi valori mi accompagnano: ho iniziato a fare volontariato all’oratorio all’età di 14 anni. Crescendo e studiando ho sempre preso maggiore consapevolezza che, se volevo fare qualcosa per gli altri ma anche per me stessa, era necessario provare a fare qualcosa anche per la Terra. Consapevolezza che si è rafforzata durante il mio primo lavoro nel 2020 all’Istituto Mario Negri di Milano nel Dipartimento di Ambiente e Salute, dove le analisi ambientali sono correlate all’impatto sanitario della realtà studiata.
E l’occasione è arrivata…
L’occasione, che tanto ho desiderato, è arrivata! Non era così scontata! Sono grata alla professoressa Elza Bontempi (ordinaria di Fondamenti Chimici delle Tecnologie all’Università di Brescia), che ha creduto in me fin dal primo giorno e che mi ha offerta la possibilità di fare il dottorato all’Università di Brescia. Sono grata a Italcementi, partner della ricerca, per aver creduto in questo progetto che si fonda sulla sostenibilità e sul rendere il mondo un posto più green.
Si dice che le giovani generazioni siano più attente all’ambiente. Qual è il tuo rapporto con la sostenibilità?
Credo molto in questo tema e da alcuni anni ho cercato di cambiare la mia vita per renderla più sostenibile: uso dischetti per il make-up in cotone e quindi lavabili, riciclo l’acqua fredda della doccia, uso la macchina quando è necessaria, non uso cotton-fioc etc. Sono convinta che se tutti noi modificassimo qualche aspetto della nostra vita quotidiana, il contributo complessivo sarebbe evidente!
Cosa pensi dei giovani di oggi?
Sono molto contenta che un’azienda leader abbia deciso di investire su una giovane donna in un periodo in cui oggi i giovani sono stati un po’ messi da parte sotto diversi aspetti dalla società e non sempre si ha molta fiducia in noi. Ma, sapete, noi siamo il futuro di questo pianeta e vogliamo/dobbiamo dare il nostro contributo. E, secondo me, siamo la generazione che può sorprendere con tante idee creative.
Quote rose: come va in ambito universitario?
Quando ho iniziato l’università diverse persone si stupivano del fatto che avevo scelto chimica: non ho mai capito se per via della materia un po’ di nicchia (in genere gli studenti di chimica sono un centinaio ad anno in un ateneo) o se per il fatto che fossi donna, o per entrambe le cose. Nel mio percorso di studi e lavorativo sono stata molto fortunata a trovare ambienti eterogenei: tanti uomini, tante donne. Ambienti in cui la diversità è diventata un valore aggiunto. Inoltre, avere la possibilità di essere coordinata, nella mia attività di ricerca, da due mentori donna mi permette di potermi identificare meglio in una figura di un certo livello in un’ottica futura. Ahimè, ancora oggi, non tutti possono raccontare di aver avuto o vivere una tale fortuna.
Raccontaci la tua attività di ricerca. Di che cosa ti stai occupando?
L’obiettivo del progetto, di cui mi occupo, è quello di catturare la CO2 dall’ambiente tramite scarti industriali e convertirla in prodotti, i carbonati, che possono essere ri-utilizzati, donando loro una seconda vita. È come quando trovi un vecchio cappotto della nonna: lo puoi donare a qualcuno che ne ha più bisogno oppure lo puoi trasformare in un capo d’abbigliamento più moderno.
Un’ottima combinazione di sostenibilità ed economia circolare…
Sì, utilizzare materiali di scarto, provenienti dalle aziende presenti nell’area Bergamo-Brescia, ci consente di dare loro una seconda vita diminuendo la quantità di prodotti da smaltire e facilitando la modalità di smaltimento essendo prodotti con elevate quantità di metalli pesanti.
E poi, dopo la fase iniziale cosa dovrai fare?
La seconda fase consisterà nel mettere a punto le condizioni di reazione per il processo di carbonatazione trovando il giusto equilibrio, tra i diversi parametri che possono variare, per ottenere la più alta percentuale di CO2 sequestrata e valutare le prestazioni dei diversi scarti industriali.
E infine cosa succederà?
La terza fase sarà quella di provare a inglobare i prodotti di carbonatazione nel cemento o calcestruzzo e testare i nuovi materiali edili per verificare se sono competitivi almeno quanto quelli che oggi vengono prodotti e venduti. Se tutte queste prove daranno esiti positivi e saranno in linea con le aspettative dell’azienda, sicuramente si potrà pensare a progettare un impianto pilota su larga scala.
…è un progetto ambizioso!
Dire con certezza oggi che la terza fase rientrerà nel mio progetto di dottorato è un azzardo perché in 3 anni, la durata del mio percorso, possono accadere tante cose e la seconda fase sarà una sfida stimolante e piena di insidie. Quello che so con certezza è che darò il massimo affinché questo progetto possa dare un grande contributo alla visione green che hanno i giovani di oggi e porre la base affinché altri continuino in questa direzione. Passo dopo passo!
Chi si occupa di questo progetto? Solo tu o sei affiancata?
Mi occupo principalmente io di questo progetto perché nel mio team ogni ricercatore ha il suo progetto. Detto questo, siamo un gruppo e non può esistere ricerca senza il confronto, la collaborazione e l’aiuto dei colleghi. Sai, sono di nuovo una matricola e devo imparare da chi ha più esperienza di me.