Elena Fabrizi, architetta, coordina dal 2017 il lavoro editoriale di ricerca di eccellenze al femminile nella professione per l'associazione Aps RebelArchitette di cui è segretaria istituzionale e responsabile dei legami con istituzioni e settori creativi. Si laurea in architettura all’Università degli Studi di Firenze con un indirizzo in rilievo digitale archeologico e successivamente sperimenta l’interazione in ambito tessile. Fa parte del gruppo no profit facendo propri il “condividere” e il “sostenere” punti chiave del collettivo.
How will we live together?, “Come vivremo insieme?”, è il tema della 17a Biennale di Architettura di Venezia, a cura di Hashim Sarkis: una riflessione sul vivere comune che spinge il visitatore a interrogarsi sulle grandi questioni che definiscono la nostra epoca, dal cambiamento climatico alle migrazioni.
Il Padiglione Italia Resilient Communities, curato da Alessandro Melis, si inserisce all’interno di questo dibattito proponendo a un pubblico internazionale un ricco spettro di indagine sui temi della sostenibilità ambientale e sociale. Un progetto espositivo che, a differenza delle precedenti edizioni, si propone come un laboratorio in continuo aggiornamento, una piccola comunità a struttura orizzontale, dove il curatore abbandona il ruolo di protagonista favorendo una dimensione transdisciplinare.
È così che biologia, ecologia, sociologia, evoluzionismo, arte ed economia circolare scandiscono le 14 sezioni del Padiglione Italia sollecitando una nuova idea di architettura, dove le comunità sono sistemi resilienti capaci di evolversi adattandosi alle critiche condizioni circostanti.
Melis nella sua curatela ci mostra come un sistema per essere resiliente deve essere sostenibile e che la sostenibilità dello spazio costruito si raggiunge attraverso una progettazione fatta da una pluralità di soggetti diversi per genere, etnia e provenienza.
È in questo panorama che si inserisce la sezione Decolonizing the built environment, coordinata da RebelArchitette; un’esposizione che celebra il rispetto, la giustizia e la necessità di diversificare il panorama del mondo costruito attraverso l’ascolto delle differenze.
Tre installazioni al femminile dialogano tra loro, a cominciare dal progetto di Action Aid Sisterhood in the neighborhood. Detoxing public space from patriarchy, illustrato dall’artista Rita Petruccioli, che racconta le esperienze italiane di riappropriazione di spazi pubblici, “attraverso nuove forme di collaborazione e di servizi fondati su un approccio inclusivo e rispettoso delle diversità, come presupposto per raggiungere la giustizia sociale” (ActionAid Italia).
Si prosegue con il progetto May to Day della Gwangju Biennale Foundation, della curatrice Sunjung Kim, che affronta il Movimento di Democratizzazione del 18 maggio 1980 nella Corea del Sud e mostra il ruolo fondamentale della resistenza civile contro la dittatura militare.
Per concludere con l’allestimento di RebelArchitette Detoxing architecture from inequalities. A plural act, (Disintossicare l’architettura dalle ineguaglianze: un atto plurale n.dr.) con la sua alternativa femminile ed eco-femminista. Un progetto che si pone l’obiettivo di disintossicare il mondo dell’architettura dalle ineguaglianze, dalle ingiustizie e dai pregiudizi. Una selezione di 137 architette italiane di eccellenza, un insieme di esperienze professionali selezionate sulla base non solo del successo individuale, ma anche dell’attenzione alle fragilità sociali e ambientali attraverso progetti che ne siano l’effettiva concretizzazione.
Un manifesto corale e un’indagine dal basso che privilegia nuove letture della professione ancora invisibili al grande pubblico. Rivolgendosi non solo alle nuove generazioni di architette e architetti, ma anche a chi diffonde la cultura della progettazione, l’installazione ha preciso intento di trasformarsi in uno strumento in open source in continuo aggiornamento. Architette affermate ed emergenti, giovanissime ed esperte, ognuna impegnata su scale e tipologie diverse di progettazione, unite da un desiderio di innovazione e ricerca. Non soltanto progetti di grande qualità formale, ma esperienze nuove di impresa.
A dimostrazione di quanto sia ancora ricco e inesplorato il panorama della progettazione al femminile nel nostro paese, sono architette imprenditrici, muratrici e progettiste che hanno trovato in luoghi remoti la loro dimensione progettuale. C’è chi si è dedicata alla progettazione di aree dismesse da mettere a disposizione delle comunità, chi progetta spazi urbani, chi spazi intimi e privati, chi si esprime con il design o con il potere delle nuove tecnologie e chi persegue la via della sostenibilità tout-court.
Tra i nomi affermati troviamo: Sandy Attia, Sonia Calzoni, Alessandra Cianchetta, Ulla Hell, Junko Kirimoto, Elena Manferdini, Doriana Mandrelli Fuksas, Guendalina Salimei, Mara Servetto, Michaela Wolf; ma ci sono anche molte emergenti, tra cui: Elena Bertinotti, Elisa Burnazzi, Beatrice Comelli, Alice Gardini, Antonella Mari, Verena Messner, Silvia Minutolo, Valentina Pontieri, Luana Rao.
Le architette presentate si sottraggono così ad un’idea tradizionale e stereotipata dell’architettura. Tra loro in evidenza, Tiziana Monterisi architetta e imprenditrice, progetta case con i suoi materiali ecologici, provenienti dai residui delle lavorazioni del riso, concretizzando a livello edilizio l’idea di un’economia circolare. La figura dell’architetta muratrice, Sara Lucietto, che realizza edifici salubri in paglia e terra cruda, e affianca workshop educativi di condivisione diffondendo i valori del costruire sano. Sara Baretti e Marta Carbonera, con Arbau studio, si occupano della fragilità di luoghi inutilizzati trasformandoli in spazi per la cura delle dipendenze. Il lavoro di Mariola Peretti, architetta, affronta rigenerazioni strategiche alla città, tessendo relazioni urbane tra preesistenze e nuove esigenze d’uso; o ancora, la figura di Marta Maccaglia che realizza scuole in autocostruzione nelle aree più inaccessibili dell’Amazzonia peruviana e ha fondato un’associazione che riesce a convogliare fondi e risorse nelle aree remote del Perù.
La partecipazione al Padiglione Italia ha dato la possibilità a RebelArchitette di esporre la ricerca sugli studi italiani a guida femminile compresi nella piattaforma online WAWMAP WomenArchitectsWorldMap www.rebelarchitette.it che ad oggi tiene traccia di 1000 studi a livello internazionale. Un database aperto e inclusivo, uno strumento costruito negli anni a partire dai 365 profili raccolti in un ebook (concluso in contemporanea con la Biennale del 2018) che si è col tempo arricchito grazie al lavoro congiunto del team curatoriale e delle/degli advisor provenienti da tutto il mondo.
L’allestimento alla Biennale di Venezia è stato concepito su tre supporti tra loro interscambiabili per consentire un’esperienza aumentata, accessibile e in continua evoluzione.
Una piattaforma web dove approfondire la moltitudine di architette italiane individuate, https://www.rebelarchitette.it/rebelbiennale2021/, una versione digitale dell’allestimento in formato tour virtuale con cui interagire alla scoperta di nuovi mondi progettuali realizzato con il DIDA-LXR del Dipartimento di Architettura dell’Università di Firenze e un cortometraggio ritmato di 137 volti e progetti realizzato da Silvia Gin.
La Kermesse veneziana è stata così una prima occasione di approfondimento a livello nazionale ed è solo una delle iniziative che l’associazione ha avviato per dare risalto al talento delle professioniste, oltre a monitorare la presenza di genere agli eventi e promuovere l’adozione del timbro Architetta presso gli Ordini professionali.
Un lavoro tenace e costante che promuove la collaborazione anziché la competizione in nome di un’‘archi-sorellanza’ nuova e sincera.
Articolo redatto da Elena Fabrizi in collaborazione con Francesca Perani, ideatrice e co-fondatrice di RebelArchitette.
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