Fabrizio Baleani si laurea in Filosofia all'Università di Macerata e si diploma al Master per l’Informazione Culturale promosso dall'Università di Urbino e dal Centro europeo per l'Editoria. Giornalista, ha scritto per service editoriali, radio, testate. Si occupa di contenuti editoriali e relazioni con i media per la società di comunicazione LOV.
«L’Italia senza Università? Sarebbe un vero disastro». Intervista a Giovanna Iannantuoni, Presidente della CRUI
Il dado è tratto. Uno dopo l’altro, cinque templi della ricerca meneghina su otto hanno nominato, per la prima volta, una Rettrice. Bicocca, Politecnico, Cattolica, Statale e Iulm. A reggere gli Atenei del capoluogo lombardo, al momento, c’è una netta maggioranza femminile. Un vento d’innovazione non certo sorprendente per la capitale economica del Belpaese e finalmente in grado di estendersi al resto dello Stivale. A dimostrarlo è Giovanna Iannantuoni, a capo dell’Università Milano-Bicocca e prima donna al vertice della Conferenza dei Rettori delle Università Italiane, simbolo di una tendenza modernizzante ormai matura e, si spera, convintamente sostenuta dalle istituzioni. La leader del CRUI è professoressa di Economia Politica dal 2019. Dallo stesso anno è, tra le altre importanti cariche, Membro della European University Association (EUA), Presidente del Consorzio per la Ricerca sui Materiali Avanzati (CORIMAV) dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca e Pirelli, consigliere di Amministrazione di Intesa San Paolo Private Banking S.p.A.

Secondo lei, anche alla luce dei rivolgimenti geopolitici, quale potrebbe essere lo scenario, da qui ai prossimi cinque anni, per le imprese e per il tessuto produttivo italiano?
«Il contesto geopolitico che stiamo vivendo impone alle imprese italiane una riflessione strategica sul futuro. Nei prossimi cinque anni sarà fondamentale investire in ricerca, innovazione e sostenibilità per mantenere la competitività a livello internazionale. L’università gioca un ruolo chiave in questo processo, formando professionisti con competenze multidisciplinari e favorendo la collaborazione con il mondo produttivo. Solo attraverso un dialogo costante tra accademia e industria possiamo affrontare le sfide globali e sostenere la crescita del nostro Paese».
Un dato piuttosto recente ricavato dal Rapporto annuale sulla gender equity nell’ingegneria, firmato dal Centro Studi del CNI, vede l’Italia al primo posto tra i principali Paesi europei per numero di laureate in Ingegneria, tradizionalmente giudicato un settore a maggioranza maschile. Le rettrici sono in netto aumento: stanno migliorando, dal suo punto di vista, le opportunità di carriera anche in ambiti in cui le donne sono, da sempre, sottorappresentate? Cosa manca per migliorare, sensibilmente, in questo senso? Come ha scelto la sua facoltà e cos’è cambiato da allora?
«Il dato che vede l’Italia al primo posto in Europa per numero di laureate in ingegneria è un segnale positivo, che non mi stupisce: i dati ci dicono che le donne rappresentano il 60 per cento dei laureati totale, e che le ragazze si laureano prima dei loro colleghi maschi, e anche con voti migliori. Nonostante ciò, la presenza femminile ai vertici accademici e aziendali rimane limitata e permangono inaccettabili differenziali salariali. Per colmare questo divario servono politiche concrete: dobbiamo investire in programmi di mentoring, promuovere una cultura del merito e offrire maggiore flessibilità lavorativa in modo da garantire pari opportunità e favorire il life balance di lavoratrici e lavoratori. Soprattutto c’è bisogno di un cambiamento culturale per accettare le donne leader, ma anche affinché le donne stesse possano mostrare la volontà di diventarlo. Le università hanno il dovere di essere un modello in questo senso, creando ambienti inclusivi in cui il talento emerga senza ostacoli.
Quanto a me, i miei genitori mi hanno permesso di fare le mie scelte in autonomia, dicendomi di non avere paura, di non rinunciare alle mie passioni e di non chiudermi nelle convenzioni. Io sono un’economista teorica e anche nel mio campo scientifico ci sono molti più uomini che donne. Quindi, diciamo che sono stata abituata ad essere una minoranza di genere. Detto questo devo anche ammettere che nel mio percorso ho sempre puntato alla qualità. Sono pugliese, di Foggia, ho studiato al liceo classico ma poi ho frequentato la Bocconi e sono andata all’estero per diversi anni. Questo mi ha aperto gli orizzonti facendomi vedere, più che le difficoltà, la voglia continua di mettere alla prova me stessa. Essere donna non aiuta ma spesso siamo le prime ad aspettarci di più da noi stesse perché riteniamo che non sia scontato riuscire a fare carriera come i colleghi maschi».

Qual è il rapporto tra ricerca e impatto sociale delle innovazioni tecnologiche?
«Credo che l’innovazione tecnologica debba rispondere ai bisogni concreti della società: penso, per esempio, all’impatto delle nuove tecnologie in ambito medico, ambientale o energetico. Le università guidano questo processo, non solo attraverso la ricerca, ma anche grazie al trasferimento tecnologico e alla nascita di startup innovative. Lavoriamo per formare nuove generazioni di ricercatori e imprenditori che traducano il sapere scientifico in soluzioni concrete per il benessere collettivo. Mi piace citare qui l’impegno di Milano-Bicocca nella rigenerazione di Piazza della Scienza, nel cuore dell’università, che grazie alla collaborazione di professori, ricercatori, assegnisti e dottorandi dell’ateneo è diventata un laboratorio a cielo aperto con sensori che monitorano l’inquinamento acustico e rilevano il particolato atmosferico e con sensori biologici che valutano gli effetti di inquinanti aerodispersi. Un lavoro ad alto contenuto tecnologico grazie al quale abbiamo restituito agli studenti, alla comunità accademica di Milano-Bicocca, all’intera cittadinanza uno spazio nuovo che contribuisce al benessere delle persone».
Come implementare la relazione tra istituzioni universitarie e mercato del lavoro?
«Tra gli obiettivi principali del sistema universitario c’è quello di creare un ponte tra formazione e mondo del lavoro. Oggi più che mai, la sinergia tra accademia e imprese deve garantire che le competenze acquisite dagli studenti siano in linea con le esigenze del mercato. Collaboriamo con aziende e istituzioni attraverso stage, dottorati e percorsi di alta formazione professionalizzanti. Ma non basta: dobbiamo anche formare professionisti con capacità critiche e trasversali, in grado di adattarsi a un mercato del lavoro in continua evoluzione. Per quanto riguarda il mio ateneo, posso dire che il più recente Rapporto AlmaLaurea, sul profilo e la condizione occupazionale dei laureati, ha confermato un dato di cui sono particolarmente orgogliosa e che è relativo all’occupazione per i laureati Bicocca: a un anno dalla laurea, il 79,7 dei laureati triennali ha trovato lavoro (rispetto ad una media nazionale del 74,1 per cento), segnando inoltre un miglioramento nell’efficacia degli studi svolti e competenze acquisite, rispetto alla tipologia di lavoro. Lo stesso dato positivo è confermato anche per i laureati magistrali (81,8 per cento rispetto a 75,7 nazionale; di cui 82,5 per cento tra i magistrali biennali e 79,5 tra i magistrali a ciclo unico)».

Il nostro sistema universitario è al passo con le sfide sempre più ardue del mondo contemporaneo? Quali sono le criticità?
«Il sistema universitario italiano è riconosciuto a livello internazionale per l’eccellenza della ricerca e della didattica, ma ci sono ancora tante sfide. Dico questo perché noi tradizionalmente siamo un Paese che ha dedicato sempre poche risorse all’università. Dobbiamo investire di più nell’internazionalizzazione, nella digitalizzazione e nella semplificazione burocratica, per rendere le università più competitive e attrattive per studenti. Sono convinta che il nostro Paese, senza l’università, sarebbe un tessuto povero di competenze e di idee, di scienza e scoperte: insomma, un vero disastro».
In termini di materiali per la costruzione, ritiene che si stia procedendo verso una maggiore eco-sostenibilità? Esistono percorsi di studio e di ricerca che può segnalarci in questo settore?
«L’innovazione nei materiali da costruzione è un tema cruciale per il futuro dell’urbanistica e dell’ingegneria, ma direi anche per il futuro del pianeta. La ricerca sta facendo notevoli passi in avanti su soluzioni avanzate per rendere l’edilizia più sostenibile, per esempio sviluppando materiali a basso impatto ambientale e promuovendo processi di costruzione più efficienti. Penso anche al nostro Dipartimento di Scienza dei Materiali, settore strategico per lo sviluppo sostenibile e l’innovazione tecnologica: la Scienza dei Materiali, infatti, permette di progettare e produrre materiali avanzati per l’industria automobilistica, la nanomedicina, l’energetica, l’intelligenza artificiale, le tecnologie quantistiche; tutti comparti coinvolti nelle politiche green e nell’economia circolare».
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