Dopo la laurea magistrale in Global Politics and Society si diploma al master della Rcs Academy "Scrivere e fare giornalismo: il metodo Corriere". Attualmente lavora come giornalista nella redazione di eco.bergamo, inserto mensile del quotidiano L'Eco di Bergamo (con cui collabora dal 2022) sui temi della sostenibilità e della green economy.
L’importanza della scelta dei materiali. Intervista a Elisa Burnazzi e Davide Feltrin
Si chiama Il Libro dei sogni Burnazzi e Feltrin Architetti. Da lì nascono i progetti che Elisa Burnazzi e Davide Feltrin, fondatori dal 2003 dello studio di architettura e interior design “Burnazzi Feltrin Architetti” a Trento hanno realizzato finora. Da edifici, a spazi verdi, design di interni e allestimenti che sono adattati su misura alle esigenze dei clienti. «Lo possiamo paragonare a un diario di bordo dove i clienti, innanzitutto, sintetizzano e trasferiscono i loro gusti, le idee e ispirazioni sia dal punto di vista materiale che emozionale – spiega Davide Feltrin –. La seconda parte, invece, è il capitolo più funzionale in cui elencano le azioni quotidiane e l’uso che fanno degli spazi in base alle loro abitudini. Questo lavoro ci serve come punto di partenza per il progetto e per cucirlo su misura del cliente e, intanto che i lavori proseguono, anche il libro viene revisionato».
In ogni progetto c’è la ricerca del portare avanti l’estetica in un intreccio tra minimalismo e massimalismo? Cosa vuol dire far coesistere questi due aspetti?
Elisa: «Quello che con l’esperienza abbiamo potuto sperimentare è che quando si va a scegliere il materiale da utilizzare, sia che si tratti di un materiale pregiato, economico o addirittura di scarto, l’approccio è diverso. Con i materiali preziosi può bastare, dal punto di vista estetico, anche un solo elemento, mentre nel caso di un materiale più economico, per ottenere la stessa qualità estetica occorre metterne tanti. Prendiamo l’esempio della casa unifamiliare PF, in facciata è stata utilizzata una copertura in listelli in larice, abbastanza reperibile ed economico. Il centro culturale Santa Chiara è invece l’esempio di riuso creativo. A essere stati recuperati sono gli oltre 200 ex cartelloni di spettacoli teatrali, messi in scena dagli anni ’80 fino ad oggi, e rimasti inutilizzati (il costo per smaltirli sarebbe stato molto alto, ndr). Li abbiamo tagliati in strisce e ricomposti in modo apparentemente casuale dando vita all’allestimento artistico permanente, agli arredi urbani e alla segnaletica del centro culturale. Infine quando si ha a disposizione materiale come vetro, ottone o acciaio può essere sufficiente un solo elemento: una bella maniglia in ottone può quasi risolvere l’estetica di un’intera stanza».
Avete origini diverse, lei (Davide) è trentino ma ha vissuto in tutta Italia, mentre Elisa è originaria di Rimini e trentina d’adozione. Quanto influisce questo mix nell’ideazione dei vostri progetti?
Davide: «Come caratteri siamo complementari ma ci sostituiamo l’uno con l’altra a seconda delle capacità e delle competenze. Se il lato creativo e la sensibilità sono le stesse, è negli aspetti operativi che ci dividiamo in base alle capacità e ai punti di forza di entrambi. È il concetto del lavorare in gruppo in senso positivo: arrivare a un risultato che singolarmente non sarebbe possibile. E questo è anche l’approccio che abbiamo con i nostri collaboratori».
Considerato anche il contesto (montano) in cui vi trovate, a proposito della sua esperienza nella commissione tutela paesaggio, quali sono gli accorgimenti fondamentali quando si progetta un edificio?
«Il Trentino e l’Alto Adige hanno risultati in termini architettonici totalmente diversi nonostante siano confinanti e uniti dalla stessa Valle. La società influisce molto, nel senso che un progetto di una Valle dell’Alto Adige difficilmente troverebbe consenso in una Valle del Trentino. Per un commissario un compito importante è anche quello di sapere dire anche dei no, perché parliamo di territori molto fragili (dal punto di vista paesaggistico, idrogeologico, ecc), contesti piccoli (paesi, borghi, masi, ecc) dove un intervento anche di scala ridotta può creare un effetto dirompente sia in senso positivo che negativo. La parola chiave credo sia rispetto».
Da qui nasce anche l’esigenza a fare delle scelte di utilizzo di materiali.
«Negli ultimi anni i nostri edifici sono stati tutti costruiti in legno e per noi è molto raro costruire in cemento o in mattoni. I motivi sono sostanzialmente tre: Il legno ha vantaggi ecologici, nei tempi di realizzazione ma anche di progettazione. Siamo sempre riusciti ad avere una filiera controllata dove l’incarico viene dato a un solo costruttore. Inoltre la filiera della costruzione in legno porta con sé competenze più specifiche e i tempi si riducono di molto rispetto alle costruzioni tradizionali: nel giro di sei-otto mesi si può avere un edificio finito anche di dimensioni importanti».
La scelta di utilizzare un cemento drenante (l’i.idro DRAIN di Heidelberg Materials) si è rivelata lungimirante nel realizzare il porticato esterno del Centro di aggregazione giovani e anziani di Poggio Picenze (L’Aquila) (in sostituzione alla vecchia struttura di ritrovo nel centro storico e resa inagibile dal terremoto del 6 aprile 2009).
«L’i.idro DRAIN lo avevamo già utilizzato nell’edificio unifamiliare BL di Pergine Valsugana, anche se in una forma nuova perché oltre alle pavimentazioni esterne era stato posato per le terrazze e per il tetto piano. Fatto questo esperimento ero rimasto in contatto con la ditta e quando per il centro de l’Aquila si è posto il problema di pavimentare il piazzale ho pensato a questa soluzione. Era necessario che l’acqua si potesse infiltrare nel terreno, inoltre questo materiale, oltre a essere estremamente drenante, sfrutta due degli elementi più importanti per noi progettisti: il fatto di poter essere colorato e quindi avere una pavimentazione della tonalità desiderata dal cliente, e soprattutto è un pavimento continuo, con giunti molto radi. Anche dal punto di vista dei costi c’è un risparmio notevole: con una qualsiasi pavimentazione impermeabile si pone il problema di dove raccogliere tutta l’acqua e di come».
Abbiamo nominato il cemento e quindi concluderei proprio con una riflessione su questo materiale: in che modo può dirsi innovativo e in che modo possiamo utilizzarlo in maniera sostenibile in architettura?
«Uno degli aspetti più importanti è come produrre il cemento, cioè riuscire a ridurre le emissioni producendolo con fonti sostenibili, attraverso una filiera controllata che comprenda anche le materie prime. Per cui la “partita” del cemento si gioca proprio nella fase di produzione, non tanto in quella di cantiere e del riuso. Penso che già molti produttori si stanno muovendo in questo senso».
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