Fabrizio Baleani si laurea in Filosofia all'Università di Macerata e si diploma al Master per l’Informazione Culturale promosso dall'Università di Urbino e dal Centro europeo per l'Editoria. Giornalista, ha scritto per service editoriali, radio, testate. Si occupa di contenuti editoriali e relazioni con i media per la società di comunicazione LOV.
L’ingegnere umanista: intervista a Claudio Borri, membro del Comitato Scientifico per la realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina
«La curiosità umana rimane l’unica dinamo dell’invenzione. La tecnologia deve riguadagnare un po’ di umanesimo. In fondo, è saper immaginare il primo passo per realizzare il nuovo e va sconfitta la sensazione di sazietà di chi nega a priori, a quest’epoca, ogni diritto alla grandezza del passato». Solide e nitide come il candido travertino perugino di Palazzo dei Priori, testimone delle brezze capricciose della Storia, si stagliano le convinzioni di uno dei maggiori protagonisti italiani dell’ingegneria del vento che ha ricevuto, generosamente, chi scrive, a margine di un convegno nel capoluogo umbro. «Vede, mi sono state proposte delle tesi di dottorato di ottimi ricercatori cinesi che vorrebbero applicare l’intelligenza artificiale per l’ottenimento delle prove sulla fattibilità di un’infrastruttura. Io penso che l’A.I. possa avere, al massimo, un valore validativo dei risultati, non sostitutivo. Nonostante si tratti di una gigantesca innovazione, la conoscenza è dell’uomo, non delle macchine». A sostenere tenacemente la non riproducibilità tecnica dello spirito umano, foriero d’ideazioni e prodigi per le arti e la scienza in egual misura, è il prof. Claudio Borri, ordinario di Scienza delle Costruzioni presso il Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale dell’Università di Firenze. Il professore è stato Direttore del “Centro Interuniversitario di Aerodinamica delle Costruzioni e Ingegneria del Vento” e del suo laboratorio/galleria del vento fino al 2012. Successivamente, egli ha diretto il Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale dell’Università di Firenze fino al 2017. Borri è considerato fra i massimi esperti al mondo nei problemi dell’azione del vento sulle strutture. A fine agosto 2023 è stato eletto Presidente della IAWE (International Association for Wind Engineering, del cui convegno mondiale ICWE16 è stato Chairman). Dal 4 ottobre 2023 è stato confermato quale membro del Comitato Scientifico per la realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina.
Gli effetti del climate change hanno concorso all’insolita frequenza di eventi meteorologici estremi. Con quali strumenti tecnologici e non solo ritiene sia possibile fronteggiarli?
«L’ambiziosa impresa progettuale con cui ci stiamo confrontando, mi offre l’opportunità di rispondere, con una certa precisione, alla domanda e senza perdere di vista la concretezza di un caso specifico. Uno dei punti che condussero all’approvazione nel 2011 dell’opera di attraversamento fu la necessità della sua costante evoluzione tecnologica.Quest’ultima è caratterizzata da nuovi dispositivi e tempestive procedure di riconoscimento di eventuali fattori di rischio.Tra queste tipologie di rischio è possibile annoverare certamente quella del cambiamento climatico. Il mutamento che può interessare rispetto a Messina si ha al livello dell’atmosfera, quindi del vento. Il vento è l’elemento dominante, l’azione predominante per il dimensionamento della struttura. Che cosa stiamo facendo? Innanzitutto stiamo aggiornando con dati sempre più affidabili e parametri statistici sempre più precisi, la banca dati relativa al comportamento di questo agente atmosferico. Infatti il progetto definitivo si basava su 12 anni di misurazioni che arrivavano fino al 2002 compreso. Il report è datato 2004, il progetto definitivo fu realizzato nel 2008. L’approvazione definitiva è del 2011. Se ci si spinge indietro a guardare i dati effettivi sino al 2002, praticamente potremmo avere 21 anni di dati. So per certo, perché si tratta di una notizia degli ultimi giorni, che esistono dati almeno sino al 2014. Si tratterebbe dunque di altri 12 anni di dati. Essi vanno chiaramente interpretati tramite nuove tecnologie ma poi debbono essere corroborati con nuove strumentazioni. Io ho proposto, assieme a un gruppo di lavoro con esperti di simili aspetti, che queste siano stazioni LIDAR (Laser Imaging Detection And Ranging), funzionanti su base laser. Si tratta di dispositivi che si mettono a terra, emettono un cono radar verso l’alto, presumibilmente dai duecento fino a cinquecento metri, e sono in grado di offrire una misurazione dei venti sia in termini di intensità, ma anche di direzione, intensità e turbolenza. Alcune anomalie estremamente improbabili ma potenzialmente legate al cambiamento climatico sono connesse all’ipotesi di fenomeni di inversione di flusso che alcuni specialisti reputano spiegabile a partire da una sorta di “tropicizzazione” del clima del Mediterraneo. Mi riferisco al fenomeno, molto raro, voglio ribadirlo, del Downburst consistente in forti raffiche di vento discensionali con moto orizzontale. Oggi abbiamo elementi e predisposizioni capaci di far fronte anche a questi eventuali mutamenti atmosferici straordinari. Come? Dotando l’impalcato e le torri di strumenti che sono degli smorzatori e compiono un’attività di detuning ovvero smorzano, attenuano, le possibili oscillazioni. Un altro rimedio a eventi simili consiste nella predisposizione dell’impalcato ad accogliere degli elementi strutturali aggiuntivi, ovvero dei cavi in grado di trattenere il ponte da eccessivo e anomalo sollevamento. Si tratta di metodologie capaci di fronteggiare eventuali effetti di azioni eccezionali che al momento non sono evidenziate. Noi abbiamo comunque il dovere di fare tutto quello che è necessario per intercettarne anche soltanto la possibilità».
Il nostro patrimonio costruito sa “reagire” in modo tecnologicamente adeguato agli eventi che sorgono a causa del surriscaldamento climatico?
«Certamente. E gli esempi possibili sono tra i più svariati. Pensi, per ipotesi, ai crolli del passato dovuti a nevicate particolarmente insistenti, tanto da apparire anomale, e dagli effetti profondamente dannosi. A scongiurare un simile epilogo oggi provvedono strumenti tecnologici ad hoc che agiscono direttamente sulla formazione delle concentrazioni nevose. Si agisce sulla genesi dei cumuli che provocano i cedimenti e il collasso. Si impedisce la possibilità di accumulo di tali formazioni tramite appositi corpi scaldanti. Con la neutralizzazione di pesi e cumuli le strutture rimangono intatte e non danneggiate. Tornando ai ponti, il monitoraggio delle opere e le configurazioni di carico maggiore tendono a prevenire eventuali fenomeni inconsueti come quella, già citata, del Downburst».
Dal punto di vista della tecnologia dei materiali quali innovazioni vede?
«Lo sviluppo tecnologico, specie per quanto riguarda le opere decisive, infrastrutturali o di attraversamento, si è concentrato, in maniera particolare negli ultimi dodici anni ma anche in precedenza, sulla produzione, caratterizzazione e verifica degli acciai. In particolare, i controlli sulle fusioni in acciaio sono migliorati in quantità e qualità. Se si prende in esame, ad esempio, il Ponte sullo Stretto, non occorre considerare esclusivamente la produzione delle lamine o dei profilati. È vitale vigilare anche sulle fusioni. Specialmente se ci si trova nella condizione di dover costruire un pezzo straordinario, ovvero non di serie, quest’ultimo non è prodotto. Per questo deve essere realizzata una fusione, ordinando alla grande acciaieria uno specifico oggetto e verificando che tutte le norme lo consentano e che tutte le prove risultino positive in ordine agli esiti radar o a quelli rifrattometrici. Si tratta di prove utili a determinare se ci siano delle micro-lesioni, o vuoti d’aria. Mi riferisco all’eventualità di lesioni dovute alla fase di raffreddamento dell’acciaio che viene realizzato ad altissime temperature. Ampia è la tecnologia nel monitorare e nel sorvegliare, da questo punto di vista, il comportamento delle strutture».
Lei avrà un ruolo molto importante per quella che dovrebbe essere la fase decisiva per la realizzazione di un’opera attesa da decenni: il Ponte sullo Stretto. Di che sfida progettuale si tratta? Quali opportunità e quali rischi comprende?
«Sessant’anni fa, nel settembre 1962, l’allora presidente statunitense JF Kennedy tenne un discorso a una platea di 4000 persone, passato alla storia con il titolo We choose to go to the Moon. Spiegò che avevano scelto d’investire nelle spedizioni spaziali, individuando lo spazio come meta. Immaginò oltre la linea del presente, sollevò lo sguardo verso un’era non ancora nata. “Abbiamo scelto da andare alla Luna – disse – in questa decade, e di fare le altre cose, non perché sono facili, ma perché sono difficili, perché questo obiettivo servirà per organizzare e misurare il meglio delle nostre energie e delle nostre capacità, perché questa sfida è quella che noi siano disposti ad accettare, quella che non siamo disposti a posporre, e quella che vogliamo vincere, insieme alle altre”. Le sfide del futuro esigono sempre un salto tecnologico che è al contempo un avanzamento nello sviluppo intellettuale e umano. Uno sforzo immaginativo e applicativo. Un orizzonte di conoscenza che salda assieme, in una specie di nuovo umanesimo, sapere umanistico e competenze tecniche. Occorre prepararsi incessantemente per questo. Con letture, ricerche, approfondimenti in ogni direzione. Bisogna ritrovare uno spirito che mi sembra perduto nelle nuove generazioni. Una disposizione innervata di coraggio, curiosità, confronto vivo tra posizioni e pareri. Oggi si tende a non assumersi nessun rischio, a non scegliere di provare a compiere imprese che lascino un segno. Questo è deleterio non stimola la creatività e l’intraprendenza.
Noi tecnici abbiamo il dovere di cogliere una sfida come quella del Ponte sullo Stretto, perché creerà le condizioni di un salto tecnologico reale, di uno sviluppo profondo volto a far ottenere alla penisola una nuova centralità internazionale. Esso sarà snodo naturale di traffici e scambi vitali. Lo sa che oggi le merci passano di fronte alla Sicilia per essere scaricate a Rotterdam? I giovani devono voler accettare sfide difficili, non mettere la testa sotto la sabbia. Noi dobbiamo armarci intellettualmente di fronte a una complessità crescente. Prendere il testimone dai grandi del passato e intestarci, con serietà intellettuale, una visione del futuro e della sfida che esso ci pone sulle spalle. Tra queste, una delle più affascinanti è, senza dubbio l’avventura ingegneristica di cui ho l’onore e l’onere di occuparmi. Se Çanakkale Bridge, in Turchia, il ponte che domina lo stretto dei Dardanelli, detiene il record tuttora ineguagliato di ponte sospeso più lungo del mondo, il suo impalcato, sospeso tra le due torri per una lunghezza di 2.023 metri, è stato realizzato in analogia a un modello altamente innovativo progettato per il futuro Ponte sullo Stretto di Messina che – una volta realizzato – lo supererà. Ovviamente sarà necessario dotare la struttura di una robustezza sempre maggiore. Non resistenza, robustezza. Significa che la si dovrà tutelare nei confronti del collasso cosiddetto progressivo causato dai carichi o azioni impulsivi, improvvisi. Sulla capacità di sopportare in sicurezza questi ultimi si ottiene la resilienza ovvero il confronto con carichi totalmente atipici, inusuali, improbabili ma, almeno in linea di principio, realistici».
Quanto incidono le condizioni metereologiche e, in particolare, i venti in questo genere di costruzioni?
«Controllare, contrastare e governare i cambiamenti climatici e le sue anomalie non è compito degli ingegneri civili e strutturisti, ma è un compito dei politici attraverso esperti che introducano una regolamentazione che finalmente normi in maniera stringente le emissioni e riduca la presenza di CO2 per mitigare, come è giusto fare, tutti quegli effetti del cambiamento climatico in atto derivanti dall’antropizzazione. In che modo? Attraverso il ricorso alle energie rinnovabili e un efficientamento energetico realizzato con raziocinio, equilibrio e un’analisi attenta dei singoli casi da esaminare, specialmente laddove il costruito è molto eterogeneo. Non possiamo, ad esempio, fare i cappotti a edifici marci. Costerà meno demolirli e costruirli ex novo, seguendo tutte le norme necessarie per renderli eco-compatibili».
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