Gennaro Guala nasce a Bergamo nel 1935. Si laurea in Ingegneria Civile Edilizia presso il Politecnico di Milano. Dopo il militare lavora all’Edisonvolta, poi all’Enel, quindi, nel 1967 passa all’Italcementi di Bergamo, dove opera fino all’età della pensione come responsabile della progettazione strutturale e, più in generale, di ingegneria civile e di architettura. Fino al 2017 rimane in Italcementi come consulente per progetti speciali a sfondo benefico o sociale. È stato assistente di Tecnica Urbanistica presso il Politecnico di Milano. Ha scritto, tenuto corsi e conferenze e ha collaborato alla stesura e alla pubblicazione di argomenti prevalentemente tecnico. È iscritto nell’“Elenco Speciale” annesso all’albo Giornalisti.
La storia di un’innovativa opera in cemento armato. Il ponte del 1910 di Cortese in Val Borlezza
La Val Borlezza deve il suo nome al torrente che la percorre. Borlezza, che nel tratto finale sfocia nel lago d’Iseo, nel tronco intermedio diventa torrente Valeggia, e nella parte di monte, risale alla sorgente con il nome di Gera. Nasce sul versante ovest del massiccio della Presolana e il suo bacino idrografico è tutto compreso nella Provincia di Bergamo. Scendendo dal Passo, prima che il suo corso devii verso il lago d’Iseo a San Lorenzo di Rovetta, i centri principali che sorgono sulla sua destra orografica sono Castione della Presolana e Rovetta, sulla sinistra Onore e Songavazzo. Sono collegati con Bergamo dalla strada che percorre la Val Seriana, abbandonata al bivio di Ponte Nossa per risalire verso Clusone. Clusone, sede dell’Ospedale, della Pretura e di altre attività pubbliche o private, è stato da sempre il polo di riferimento per tutti i centri minori dell’alta valle.
La necessità di un ponte sul torrente Valeggia, per un collegamento stabile fra il Comune di Songavazzo e Clusone, e quindi con la già industrializzata Val Seriana, era già diventata evidente all’inizio dell’Ottocento. Attraversamento sicuro, non guado inagibile durante le piene, indispensabile per non dover scendere lungo valle fino a un esistente ponte delle Borlezze e poi risalire a monte per collegarsi alla strada che dalla Val Seriana raggiunge Clusone e prosegue oltre il Passo della Presolana. Fra il 1826 e il 1829 viene così costruito, su progetto dell’ingegner Giovan Battista Fedreghini, – in località San Lorenzo, dove l’alveo del torrente si restringe – un ponte con una pila centrale in pietra ed un impalcato ligneo. Ponte che fu travolto da una piena già nel 1842.
Per sostituirlo, sempre nell’Ottocento, saranno studiate e valutate sette soluzioni, ubicate sia sulla stessa posizione sia a monte del manufatto distrutto, con più o meno numerose arcate, realizzate in blocchi di pietrame. Con una insolita eccezione: un ponte con un’arcata in pietra che dalla sponda sinistra giunge alla pila centrale del vecchio ponte Fedreghini, che sola aveva retto alla furia delle acque, proseguendo con un impalcato sorretto da due travi reticolari metalliche fino alla sponda opposta, allontanatesi dall’alveo per l’erosione dalle piene. Nessuno di questi progetti sarà mai realizzato, per i più svariati motivi, sia tecnici, che economici, che di fazioni con vedute diverse – chi lo voleva a monte, chi a valle – dei possidenti locali.
Un fortunato coacervo di condizioni risulterà, al contrario, fondamentale per la realizzazione, all’inizio del Novecento, del ponte che scavalca il Valleggia, ubicato sul percorso più ragionevole che congiunge Songavazzo a Rovetta, quindi a Clusone.
Le prime condizioni si possono attribuire a tre intraprendenti ingegneri. Cesare Pesenti, come produttore di cemento di ottima qualità nel vicino stabilimento di Alzano di Sopra, costruito nel 1883, e promotore di questo materiale con manuali tecnici su cui potevano basarsi i calcolatori delle strutture realizzate in calcestruzzo armato. Luigi Cortese, cui va il merito di aver creduto nelle caratteristiche intrinseche di questo materiale composito nel progettare e affinare il manufatto a due archi, con campate di luci libere di 26 metri, più i tronchi di raccordo alla viabilità esistente. Giorgio Newman, della tedesca Diss e C., che dopo dieci anni di duro tirocinio come progettista nella Sede centrale (già allora esistevano le multinazionali), è stato mandato a Firenze come titolare di una delle succursali della filiale italiana di Nervi.
Le seconde condizioni si dovettero all’acume degli amministratori locali, guidati e spronati dal sindaco Giacomo Benzoni, pronti nel cogliere due importanti occasioni. Il regio decreto che attribuiva allo Stato il 50% e alle Province un altro 25% della spesa sostenuta dai Comuni per abbreviare del 50% la strada che li congiungeva alla più vicina stazione ferroviaria. Il prolungamento della ferrovia della Val Seriana da Ponte Nossa a Clusone, che avrebbe dato a Songavazzo l’opportunità di utilizzare questo più che cospicuo contributo.
Nel dicembre del 1909, la Diss e C. vince la gara d’appalto fra le cinque ditte partecipanti, tutte specializzate in opere infrastrutturali, fra le quali si ricordano i pochi ponti ad arco in calcestruzzo esistenti, che ognuna di esse realizzava con propri sistemi “brevettati”. La Diss e C. di Nervi, oltre a offrire prezzi competitivi, sapeva quanto importante fosse farsi conoscere dal mercato e nello stesso tempo, con proprie pubblicazioni, divulgare le nuove tecnologie.
Viene così realizzato il progetto Cortese: pila centrale in alveo, due campate sorrette da due archi ciascheduna, con imposte ben ancorate sulle sponde del Valeggia, gli archi collegati fra loro da una traversa, in corrispondenza dello stacco dei pilastri a sostegno dell’impalcato carrabile. Impalcato che viene prolungato, sorretto da analoghi pilastri, sia in sponda destra che in sponda sinistra per raccordarsi alla strada esistente, che precedentemente scendeva al guado con pendenze improponibili. Oltre che ponte su un torrente, l’opera può a ragione essere vista come l’innovativo attraversamento in quota di una piccola valle.
La sezione di ogni singola struttura, specie di quelle verticali che potrebbero ben essere definite “pilastrini”, ha la sua logica: in parte nei costi di allora, in cui il materiale era caro, mentre la mano d’opera era a buon mercato, in parte nella “bravura” dei progettisti, impegnati nel ridurre al massimo il primo elemento di costo. Da parte sua, neppure la Diss e C. avrebbe largheggiato con strutture provvisorie di sostegno del manufatto durante la sua realizzazione. Il legname necessario per i ponteggi veniva reperito in zona, sia per le sue dimensioni in lunghezza, sia per contenerne i costi.
Da rimarcare il fatto che il ponte era già collaudabile alla fine del 1910, a meno di un anno dall’inizio lavori, nonostante le varianti in corso d’opera, legate alla richiesta di sopralzare l’impalcato per diminuire la pendenza della strada carrabile di accesso lato Songavazzo. Richiesta che aveva implicato un aumento di 7.550 Lire sul costo totale dell’opera di 45.000 lire, centesimo più, centesimo meno. Il ponte venne collaudato per un carico distribuito di 750 Kg/mq, sovrabbondante anche per un carro colmo di tronchi trascinato da una robusta quadriglia o per una folla compatta in processione devota.
Già nel 1960 l’aumento del traffico di mezzi sempre più pesanti inizia a preoccupare l’Amministrazione di Songavazzo, ma solo nel 1979 l’ingegner Bacci verrà incaricato di verificare le condizioni del manufatto e di stabilire quali carichi sia in grado di sopportare. L’indagine, assai minuziosa, individua una serie di interventi manutentivi, secondari nel complesso dell’opera, ma indispensabili dopo mezzo secolo in cui il manufatto è stato abbandonato a sé stesso. Soprattutto evidenzia come indispensabile la realizzazione di una seconda soletta – resa per quanto è possibile coesa con quella dell’impalcato esistente su cui viene a poggiare – dallo spessore medio leggermente inferiore ai 15 cm. Questo intervento, col contemporaneo rinforzo e aumento degli sbalzi laterali, per creare due marciapiedi sicuri, migliorando sostanzialmente la capacità portante dell’impalcato, porta comunque ad un aumento di circa 300/350 kg per ogni mq di soletta, e di circa 2 tonnellate su ogni snello pilastro. Ciò nonostante, da verifiche accurate fatte successivamente presso l’Università degli Studi di Bergamo, è risultato che solo all’imposta degli archi veniva superato di pochissimo il valore di 40 kg/cmq nel calcestruzzo, prescritto al tempo della costruzione dal progettista, sotto gli stessi 750 kg/mq caricati sulla soletta, applicati al collaudo del ponte nel 1910.
Annotazione marginale. Il ponte nel 1910 era costato circa cinquantamila lire. Nel 1969, il costo di una limitata manutenzione era ammontato a 200 milioni.
È superfluo ricordare come in un secolo siano cambiati radicalmente i parametri da tenere in conto nella progettazione e costruzione di un ponte. Forse è utile aggiungere una considerazione che talvolta sfugge: nei classici ponti in pietra il rapporto fra il peso dei carichi transitanti e quello delle strutture era di uno a cento, uno e settantacinque, eccezionalmente di uno a cinquanta. Nel ponte di Songavazzo tale rapporto è sceso a uno a cinque. Se poi si limita l’esame al solo impalcato, il rapporto si inverte; il peso del sovraccarico accidentale diventa circa una volta e mezza il peso proprio della struttura. Questo ribaltamento di rapporto, che può sembrare ininfluente quando si parla di carichi statici, diventa determinante per un carico accidentale dinamico, quando lo shock che la struttura subisce è legato, per qualche verso, al rapporto fra le masse in gioco, la velocità di quelle in movimento, nonché alla ripetitività dell’evento che può generare, con l’affaticamento, il degrado dei materiali.
Per le nuove opere sono state stabilite indagini, metodi di calcolo, prescrizioni sulla qualità dei materiali impiegati che permettono di determinare a priori la “vita utile” di un ponte, e i periodici interventi manutentivi necessari per garantirla. Al tempo del progetto e della realizzazione del ponte Cortese, progettisti e costruttori non godevano di queste guide sicure. Ma per le opere esistenti, come ci si può comportare? Una domanda che ci si è posta nei primissimi anni del 2000, per rassicurare Amministrazioni e utenti sull’affidabilità della struttura e sulla bontà dell’intervento proposto e progettato dall’ingegner Bacci. Nei limiti del possibile si procede con un esame approfondito sul loro stato attuale; nel caso del ponte, a un’indagine geotecnica e geofisica per determinare spessore e portanza dei terreni nell’intorno del manufatto, procedendo – sintetizzando il lavoro da svolgere – con l’individuazione delle caratteristiche dell’opera, legate alla sua geometria, ai materiali che la costituiscono, alla presenza di deterioramenti dovuti a cattiva manutenzione od incuria, per dedurne infine la categoria di appartenenza nel rispetto della normativa vigente, o la combinazione dei carichi che può sopportare.
Per il ponte di Songavazzo, una ditta specializzata ha effettuato preliminarmente:
- un esame visivo della struttura per individuare eventuali lesioni o ammaloramenti superficiali;
- analisi, effettuate col pacometro, mirate a individuare disposizioni e diametri dei ferri;
- un primo test, con prove sclerometriche, sulle caratteristiche meccaniche del calcestruzzo;
- prelievo di campioni da esaminare in laboratorio;
- prove dinamiche sul comportamento del ponte.
Queste ultime due voci meritano un qualche approfondimento. L’esame dei campioni prelevati, eseguito presso il Laboratorio Italcementi di Bergamo, ha evidenziato attraverso caratterizzazione dei campioni, microscopia ottica, analisi diffrattometrica, analisi termica, profondità di carbonatazione, resistenza ai cicli di gelo-disgelo, proprietà elastiche, resistenza a compressione attestano, che dopo un secolo di vita il calcestruzzo utilizzato nel ponte raggiunge, o supera, i valori riscontrati nei calcestruzzi ordinari realizzati attualmente. In particolare la carbonatazione, causa delle ossidazioni e del rigonfiamento dei ferri d’armatura, è penetrata nel calcestruzzo di un solo centimetro e mezzo, a testimone dell’ottima scelta del mix-design della miscela, nella quale è stato utilizzato il cemento a lenta presa di Alzano. Bisogna ricordare che nei primi anni del 1900 non esistevano particolari normative o raccomandazioni tecniche neppure su questo argomento, e nello stesso tempo è fuor di luogo meravigliarsi se alcuni ferri di armatura localizzati incautamente nella corteccia carbonatata spessa 15 mm, abbiano, prima dell’intervento del 1979, evidenziato la loro presenza con alcuni rigonfiamenti o distacchi localizzati del calcestruzzo. Non impossibili da riparare, con una scalpellatura, sabbiatura dei ferri e ricostituzione del tutto, con pochi accorgimenti tecnici già allora normalmente utilizzati.
Le prove dinamiche sono state eseguite con l’impiego della vibrodina, generatore elettromeccanico di vibrazioni, ad evitare i rumori di fondo – disturbi in corso registrazione dati – derivanti da un traffico reale. Dal confronto fra le frequenze proprie calcolate per il modello numerico del ponte e quelle registrate sulla struttura esistente è possibile determinare se esistano o meno anomalie che ne inficiano la funzionalità. Si è accertato che il modello numerico che più si avvicina alla struttura reale è quello in cui la soletta gettata con l’intervento Bacci non è considerata strettamente connessa con l’impalcato preesistente. Alcune discordanze sono state attribuite all’assunzione di valore del modulo elastico del materiale inferiore a quello reale. Come ci si poteva aspettare, per la snellezza dell’opera gli spostamenti trasversali sono maggiori di quelli verticali, sia per il primo che per il secondo modo di vibrare.
La conclusione che si può trarre da tutta questa serie di indagini è stata confortante. Dopo un l’intervento manutentivo del 1979 ad oggi, si è intervenuti solo con una “tinteggiatura”, effettuata dalla Provincia all’atto di consegna del manufatto alle Amministrazioni comunali. Ma, a parte la sezione trasversale ridotta, in quanto a capacità portante, il manufatto potrebbe essere classificato come ponte di seconda categoria. Esuberante per le funzioni che oggi è chiamato a svolgere, di collegamento pedonale e di transito a senso unico di mezzi motorizzati di peso massimo di 3,5 tonnellate fra Rovetta e Songavazzo. Attualmente, quando qualche chilometro in più non fa la differenza, la tangenziale di Rovetta col nuovo ponte sul Valeggia ha risolto i problemi viabilistici di Rovetta e di Onore, collegandoli con la più articolata rete viaria realizzata nel tardo Novecento per fare fronte alla crescita abnorme dei mezzi circolanti e al forte aumento dei carichi che possono essere trasportati da ciascheduno di essi.
Oggi, la funzione principale di questo ponte è un’altra. Ricordare il balzo in avanti rispetto all’Ottocento, nell’utilizzo di un nuovo materiale, quale poteva dirsi il calcestruzzo, nelle innovazioni progettuali e tecniche che ad esso sono legate, ma soprattutto nell’assicurarci della sua affidabilità nel tempo, se correttamente utilizzato. Ancora un’altra cosa può insegnarci questo ponte: come l’essenzialità di una struttura possa diventare bellezza. Già questo è un motivo per conservarlo come esempio del ben costruire.
Il testo del presente scritto si basa soprattutto sui risultati delle indagini e delle verifiche eseguite sulle strutture del manufatto, propedeutiche per lo studio di ulteriori interventi manutentivi (risultati non necessari) e nello stabilire che carichi potessero transitare sul ponte. Va reso merito all’Italcementi, che, fra altre cose, ha contribuito allo studio con l’individuazione nel suo Laboratorio di Bergamo delle caratteristiche di calcestruzzi e di calcestruzzi armati dopo un secolo di vita dalla loro pioneristica utilizzazione.
Vorrei chiudere questa concisa relazione con la considerazione di quanto il ponte abbia influito, non solo da un punto di vista tecnico o utilitaristico, sull’immaginario collettivo. Sul ponte un innamorato deluso si ferma, attirato dall’acqua che scorre in basso. Poi giunge a una conclusione, da saggio alpigiano bergamasco che guarda al futuro, e scrive una poesia.
Pase söl put…
Pase söl put de sera e arde öl fiöm
Ed ede öl cel a speciàs det
Ede la lüna qua la fa leum
Ede i me stele à sberlusì.
Come al me tira l’acqua del’ sto fiöm
Örès murì per non sufrì
Ma ol coeur al dis de no,
al dis perché. Tace al ghe né
ta la troveret a piëu bela.
Passo sul ponte di sera e guardo il fiume
e vedo il cielo che si specchia dentro
vedo la luna che fa da lume
vedo le mille stelle che luccicano.
Come mi attira l’acqua di questo fiume
vorrei morire per non soffrire
ma il cuore mi dice di no,
dice perché. Tante ce ne sono
te ne troverai una più bella.
Il volume, “Qui si fa il ponte! La storia di un’innovativa opera in cemento armato. Il ponte del 1910 di Cortese in Val Borlezza”, a cura di Sergio Del Bello, dell’Archivio Storico Bergamasco, e di Gennaro Guala, edito dalla Bolis nel 2004, è stato patrocinato dal Comune di Songavazzo, detentore del Copyright.
L’ approfondita “Analisi tecnica” dell’opera, supportata dall’Italcementi, si è basata, per la parte documentale, sulle minuziose ricerche di Marco Duina svolte presso gli archivi dei Comuni di Songavazzo e Rovetta, ed è stata resa possibile, a suo tempo, dal consenso della famiglia Cortese di accedere all’archivio personale dell’ingegnere progettista.
Il testo acquista un grande valore culturale con le “storie” di uomini, di acque, di geomorfologia che caratterizzano la valle in cui scorre il Valeggia, raccontate con l’”Analisi Storica” che ha preceduto l’”Analisi Tecnica” e approfondite con L’”Analisi idro-geologica” che lo conclude. Queste due Analisi sono state sviluppate, in modo scientifico, da appassionati professionisti e studiosi, specialisti nelle materie o nei temi affrontati.
P.S. Dopo il crollo del Ponte Morandi, le Amministrazioni di Songavazzo e Rovetta (con un finanziamento statale di 40.000 euro) si sono premurate di chiedere a una ditta specializzata una ulteriore verifica, che ripeterà praticamente parte delle prove effettuate nel 2010, per stabilire la capacità portante della struttura, secondo le nuove linee guida del Ministero.
Fotografie gentilmente concesse per la pubblicazione dagli autori del libro “Qui si fa il ponte!” e da Borghi Presolana.
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