Fabrizio Baleani si laurea in Filosofia all'Università di Macerata e si diploma al Master per l’Informazione Culturale promosso dall'Università di Urbino e dal Centro europeo per l'Editoria. Giornalista, ha scritto per service editoriali, radio, testate. Si occupa di contenuti editoriali e relazioni con i media per la società di comunicazione LOV.
L’Intelligenza Artificiale e il mondo delle costruzioni. Intervista a Michela Milano, Direttrice Alma Human AI
Le macchine hanno un pensiero? C’è chi s’arrovella attorno al quesito, chi assume pose cogitanti in attesa di elaborare risposte comprensibili e chi invece aiuta giovani e imprese a entrare in un universo lavorativo già presente e pervasivo che, in futuro, non potrà fare a meno dell’A.I.
A quest’ultima categoria di studiosi appartiene Michela Milano, da pochi giorni Direttrice del Center Digital Society della Fondazione Bruno Kessler e già Vicepresidente della European Association on Artificial Intelligence, Consigliere Esecutivo dell’Association for the Advancements of Artificial Intelligence, vincitrice di riconoscimenti internazionali e membro del gruppo di esperti che ha redatto la strategia nazionale su questa dirompente innovazione collettiva. La celebre informatica è anche Direttrice del Centro interdipartimentale dell’Università di Bologna sull’Intelligenza Artificiale.
Che cos’è l’Alma Mater Research Institute for Human-Centered Artificial Intelligence? Può spiegarci finalità e strumenti di questa innovativa struttura?
«Si tratta di un Centro di ricerca nato a febbraio 2020, dunque un mese prima della pandemia, in seguito a una considerazione, da parte della governance del nostro Ateneo: tantissimi ricercatori e ricercatrici dell’Università di Bologna lavoravano sull’Intelligenza Artificiale esplorandone, studiandone e sperimentandone i più diversi ambiti. Al centro del loro interesse c’erano sia le aree dell’informatica, della matematica e della statistica, sia quelle delle scienze umane, economiche e giuridiche. Essi giungevano a toccare anche tutti i settori applicativi. Ci si è dunque resi conto che costituire un settore di ricerca trasversale, una massa critica in grado di affrontare il fenomeno dell’A.I. in profondità, a 360 gradi, avrebbe consentito un’interdisciplinarietà peraltro richiesta da tutti gli indirizzi europei sul tema che raccomandavano di legare i differenti settori già citati alle applicazioni di questa decisiva innovazione. L’approccio appena descritto mostra come il centro non coinvolga solo profili Stem, mirando, al contrario, ad affrontare il tema in modo olistico, sviluppando sistemi che al necessario background tecnologico e scientifico uniscano anche studi sulle ricadute socio-economiche ed etico-giuridiche. L’articolazione del Centro comprende, oggi, ben 28 dipartimenti dell’Università di Bologna e più di 520 docenti, ricercatori e ricercatrici dei più disparati campi della conoscenza, con numerosissimi dottorandi, assegnisti e altre figure preziose nel lavoro quotidiano della nostra realtà. Il centro è divenuto, in poco tempo, un interlocutore prestigioso di enti importanti per la progettazione nazionale e internazionale su una materia in costante evoluzione, stabilendo, da subito, legami saldi con il territorio e le sue istituzioni. Da questo punto di vista, abbiamo sviluppato connessioni, ad esempio, con gli ospedali, gli IRCCS di Bologna, ossia gli istituti di cura e di ricerca della città e con tutti gli enti e le strutture che abbisognano dell’Intelligenza Artificiale per migliorare il proprio ambito di azione».
Perché un giovane deve imparare a usare l’A.I.?
«Perché è uno strumento che ha certamente un impatto sulla realtà e ne avrà uno maggiore in futuro. Non si tratta di un processo bloccabile, occorre, al contrario, avere le competenze e le skills giuste per tentare di guidarlo senza farsene spaventare o trascinare, poiché l’A.I. sarà vieppiù pervasiva. La nostra attività consiste anche nel compiere un’ampia opera di divulgazione scientifica verso la cittadinanza e, in particolare, verso le scuole, per agevolare la comprensione di un’innovazione così centrale. Un’opera di informazione e conoscenza. Le faccio alcuni esempi. Da febbraio a maggio 2024 abbiamo realizzato un film festival durante il quale sono stati proiettati alcuni capolavori della cinematografia, da 2001 Odissea nello Spazio a Blade Runner. L’obiettivo? Spiegare in un’introduzione critica se quanto descritto dal film sia esclusivamente di natura fantascientifica o se esistano delle effettive tangenze con tecnologie presenti nel reale. Mi viene in mente, ad esempio, la giustizia preventiva di Minority Report in cui una squadra pre-crimine precorre l’esecuzione di misfatti, fermando i delinquenti potenziali in anticipo. Si tratta chiaramente di uno scenario fantastico, tuttavia, l’A.I. si sta usando con sistemi predittivi anche in polizia per cercare di individuare persone a rischio di crimine. C’è un sistema in America che si chiama Compass, usato, ad esempio, nello stato di New York e nel Winsconsin, che aiuta i giudici a decidere se una persona, in carcere, può essere rilasciata, perché ad alto o basso rischio di commettere una recidiva. Tra le criticità del sistema c’è l’errore che tende alla polarizzazione. Ad esempio, si tende a riscontrare, sbagliando, un basso livello di recidiva tra i bianchi e un alto livello di recidiva tra le persone di colore.
Occorre guardare alla tecnica in maniera serena ma adeguatamente critica, fornendo griglie di interpretazione e d’uso dei potenti mezzi tecnologici in nostro possesso. Per questo la nostra attività di ricerca ha bisogno di linguisti, giuristi, filosofi e molte altre figure non necessariamente tecniche e in grado di integrare i saperi. Un’iniziativa del Centro di cui sono molto fiera prevede delle vere e proprie pillole di intelligenza artificiale rivolte ai docenti dell’Università di Bologna. L’obiettivo è formare sull’Intelligenza Artificiale persone che non abbiano profili STEM (Scienza, Tecnologia, Ingegneria, Matematica). Il percorso è rivolto a individui privi di un background informatico ma che dovranno, in un futuro che già si mescola al presente, utilizzare nel proprio lavoro l’A.I. Mi riferisco a chi si occupi di alimentazione, di sostenibilità, di medicina e a una miriade di altre figure professionali. Abbiamo realizzato corsi con medici, esperti di sicurezza sul lavoro, economisti e altri itinerari formativi. Le pillole sono costituite da una parte introduttiva comune e di ordine teorico e un secondo modulo modellato sull’audience che abbiamo di fronte, con situazioni concrete riguardanti le modalità in cui l’Intelligenza Artificiale è impiegabile nel loro settore di riferimento. Ad esempio, i futuri medici hanno appreso a usare l’A.I. per interpretare TAC e risonanze magnetiche e lastre, per prevedere dei fattori di rischio per alcune malattie, date determinate condizioni di un paziente a un’età specifica, e anche come migliorare la logistica e l’efficienza di un reparto ospedaliero o di un pronto soccorso. Il nostro obiettivo è calare lo strumento A.I. negli ambiti di applicazione concreti che interessano direttamente le persone. Alfabetizziamo professionisti del domani alle infrastrutture tecnologiche del futuro. Aiutiamo a capire che non si tratta di qualcosa di distante ma di molto vicino a noi e in grado di modificare il nostro modo di lavorare. E ci rivolgiamo a tutti i profili. Specialmente a quelli non tecnologici. Se ci troviamo di fronte a macchine a guida automatica che circolano e avviene un incidente, occorre un contesto normativo che ci dica di chi è la colpa. Analogamente se un contenuto artistico letterario è generato dall’intelligenza artificiale, come la mettiamo con i diritti d’autore? Questi due casi ci dicono che l’utilizzo dell’A.I. si intreccia anche con professionalità e conoscenze di ordine giuridico».
L’innovazione tecnologica si intreccia con la questione della produzione sostenibile. Come l’impatto ambientale della produzione può essere migliorato dall’A.I.?
«L’intelligenza artificiale può certamente aiutare a ottimizzare i processi produttivi e manutentivi perché è in grado innanzitutto di imparare dai dati le eventuali inefficienze in questo campo e infine proporre modelli ottimizzanti che riducano o migliorino le criticità segnalate. Quando le inefficienze riguardano fenomeni come le emissioni in aria o il consumo di acqua e il dispendio di materie prime, l’A.I. può migliorare direttamente l’impronta ambientale dei processi aziendali. Ciò avviene non soltanto a un livello genericamente produttivo, ma anche nell’area dei consumi dei privati, o nel settore primario. Inoltre è possibile modificare in meglio gli impatti ecologici della stessa Intelligenza Artificiale. Quest’ultima, infatti, richiede moltissima potenza di calcolo e un conseguente consumo energetico, per addestrare e utilizzare modelli enormi, come ad esempio CHAT GPT o altri ambienti conversazionali. La computational sustainability è uno degli obiettivi che vengono perseguiti anche per rendere l’uso di questa innovazione eco-compatibile. Le tecniche computazionali vengono sviluppate per aiutare a ottimizzare la gestione degli eco-sistemi, la gestione dell’efficientamento energetico, sia privato che industriale, la manutenzione interna alle aziende, i processi produttivi e la logistica, nell’ottica di una complessiva riduzione degli impatti ambientali».
Quali sono le opportunità e i rischi dell’AI per le imprese? E per i giovani?
«Le opportunità sono numerosissime. Le aziende possono utilizzare l’intelligenza artificiale in diversi ambiti, sia dal punto di vista della ottimizzazione dei propri processi produttivi, manutentivi, per la logistica e per ogni altra specifica funzione sia per aumentare la qualità delle condizioni di lavoro. Da quest’ultimo punto di vista è possibile un monitoraggio dei livelli di stress e di stanchezza dei collaboratori aziendali, suggerendo pause anche per migliorare la stessa sicurezza sui luoghi di lavoro. Una vasta parte delle opportunità riguardanti l’intelligenza artificiale si riferisce alle industrie creative e alla possibilità di co-creazioni di artefatti che coinvolgono l’operato umano unitamente a quello della macchina. Inoltre, l’area aziendale dedicata alla consulenza e dell’assistenza al cliente può certamente avvalersi di sofisticate forme di risponditori automatici. I rischi sono derivanti dalla ricezione di questi strumenti. Da una parte c’è la tendenza a diffidarne, dall’altra a prenderli per oracoli fidandosene assai troppo, come se si fosse incapaci di servirsene in maniera critica, deresponsabilizzando l’intervento umano e sopravvalutando quello della tecnologia. Altri rischi riguardano comparti come il recruting. Infatti, se i sistemi si fondano su dataset polarizzati, la selezione del personale potrebbe risultare inefficace ed eccessivamente “meccanica”. Un esempio ormai da manuale riguarda Amazon. Il sistema cercava curricula per profili tecnici e otteneva soltanto figure maschili, scartando le donne, perché era stato addestrato con 10 anni di assunzioni di soli uomini in quel settore. Si sta lavorando per evitare simili polarizzazioni. Noi lavoriamo con le aziende anche attraverso la creazione del co-innovation lab. Si tratta di un laboratorio con tre sedi (una a Cesena, una a Bologna, una presso Bi-Rex, competence center industria 4.0 finanziata dal Ministero dello Sviluppo Economico). Aiutiamo le imprese a sviluppare il proprio business ma in co-creazione, progettando insieme all’azienda gli strumenti di alta tecnologia in due fasi, da un lato trasferendo al soggetto produttivo la nostra conoscenza e dall’altro per aumentare la fiducia dell’utilizzatore verso questi strumenti nuovi e guardati sempre con una certa diffidenza da chi li vede come nemici del proprio posto di lavoro. Si tratta di barriere comprensibili ma che devono essere superate per fronteggiare al meglio un’innovazione che entrerà, lo si voglia o meno, nel mondo del lavoro. In questo senso, occorre aiutare le aziende, soprattutto le PMI che non hanno settori di Ricerca e Sviluppo, ad abbracciare questa rivoluzione, accompagnandole nella conoscenza dei rischi dell’Intelligenza Artificiale ma soprattutto delle opportunità».
L’intelligenza artificiale può fornire soluzioni al settore edile per la costruzione di edifici efficienti dal punto di vista energetico e rispettosi dell’ambiente? E quanto i nuovi materiali, come ad esempio evoZero, il primo cemento net-zero carbon captured al mondo prodotto da Heildelberg Materials, possono essere sviluppati grazie all’utilizzo dell’A.I.?
«La scienza dei materiali non è di mia competenza. So certamente che oggi c’è un enorme investimento da parte della stessa Commissione Europea per incrementare la ricerca sull’uso dell’A.I. in questo comparto con l’intento di una maggiore ecosostenibilità, migliorando prestazioni di costo e di ottimizzazione dei materiali innovativi grazie alla costruzione di modelli che sono descrittivi, predittivi o decisionali. Se allarghiamo lo sguardo all’efficientamento energetico degli edifici e all’edilizia in generale, l’Intelligenza Artificiale può monitorare e misurare le singole inefficienze e proporre azioni per ridurre e tentare di risolvere queste inefficienze. Addirittura ci sono sistemi come il Non-intrusive load monitoring all’interno delle case che riescono a comprendere i consumi divisi per apparato (lavatrice, lavastoviglie, frigorifero, televisione ecc…) o a monitorare i consumi di standby (con oggetti fermi ma consumanti), consigliando comportamenti virtuosi per abbassare i dispendi energetici e gli sprechi. Inoltre quando si parla di smart home e del funzionamento degli elettrodomestici intelligenti, possono verificarsi situazioni interessanti. Ad esempio, qualora il tetto di una casa comprendesse un pannello solare, questi modelli riuscirebbero a far partire gli apparecchi elettrici dell’abitazione soltanto nel momento in cui i pannelli producono energia, di fatto consentendo una verifica e un controllo costanti sugli stili di consumo. Infine l’A.I. può incidere, con informazioni precise fornite agli utenti, sulla consapevolezza autonoma e responsabile che essi sviluppano in merito al tema».
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