Laureata in Architettura all’Università di Firenze, si occupa da 8 anni di organizzazione di viaggi ed eventi culturali per il mondo dell’architettura e del design, collaborando nell’ambito di diverse manifestazioni del settore come la Biennale di Architettura, il Salone del Mobile, Made expo e il Cersaie. È Event Manager per ProViaggiArchitettura e CASABELLA formazione, ha scritto per la rivista CASABELLA e scrive articoli per la rivista online professionearchitetto. La passione per il viaggio la porta a essere anche accompagnatore turistico per viaggi culturali e di avventura in Italia e all’estero.
La prima foto al mondo immortala un’architettura. La cosa straordinaria di questa fotografia del 1826 è che inaugura inconsapevolmente un rapporto tra due arti destinato a perdurare nel tempo, seppure questo primo fermo immagine non rappresenti un’opera di particolare pregio, ma un normale scorcio urbano. Fotografia e architettura si rincorrono e si influenzano a vicenda, da sempre.
Un binomio che porta spesso gli architetti ad avvicinarsi anche alla fotografia, come l’architetto e designer Ettore Sottsass, autore degli scatti raccolti nel libro Foto dal finestrino, che amava ricordare: “Io sono un architetto, fotografo quindi quasi sempre qualcosa che ha a che fare con l’architettura o la città”.
Immortalare, fermare, raccontare l’architettura è un percorso complesso che in pochi grandi fotografi sono riusciti ad interpretare con forza. Anche perché il campo d’indagine è mutevole e ampio; fotografare un dettaglio, il riflesso della luce su una superficie, un’opera intera, una città. Si tratta di scale che richiedono un diverso sentire e un diverso grado di racconto.
Per poterci addentrare in questa tematica abbiamo chiesto a Nicolò Galeazzi e Stefano Di Corato dell’Atelier XYZ di raccontarci la loro esperienza e il loro punto di vista come fotografi e architetti. Abbiamo deciso di parlarne con loro per l’approccio rigoroso e il forte intreccio che i loro racconti fotografici intessono con la visione dell’architettura, dello spazio e della luce. Atelier XYZ si occupa dal 2016 di fotografia e video di architettura ed è stato fondato tra Porto e Brescia da Nicolò Galeazzi (Brescia, 1987) e Stefano Di Corato (Brescia, 1987). I loro lavori sono stati esposti in quattro diverse Biennali di Architettura di Venezia e in luoghi di grande spessore per la cultura architettonica come il Museo MAXXI di Roma, la Triennale di Milano, il Museo di Castelvecchio a Verona e il Museo Serralves di Porto. Da Settembre 2021 l’Atelier è diretto unicamente da Stefano Di Corato, ma continua la collaborazione con Nicolò Galeazzi – socio fondatore dello studio di progettazione Associates – nell’ambito di specifici progetti artistici.
Per presentarsi, si parte sempre dal nome. Perchè Atelier XYZ?
Abbiamo sempre inteso lo studio fotografico come un laboratorio artigianale in cui indagare e sperimentare i linguaggi della fotografia e del video, per questo è venuto naturale chiamarlo Atelier. XYZ invece si riferisce al soggetto principale della nostra indagine e ricerca: lo spazio.
Cosa vuol dire per voi fotografare l’architettura?
Per noi fotografare l’architettura significa trovare, attraverso lo strumento fotografico – inteso come soglia fisica e metafisica – il punto di contatto tra la nostra interiorità e l’opera oggetto del racconto.
Parliamo proprio dell’oggetto del racconto, come vi approcciate ad una nuova opera da fotografare?
Iniziamo sempre studiando approfonditamente l’opera, l’idea che l’ha generata e il luogo che la ospita. Nonostante questa fase preliminare di studio sia per noi molto importante, non dimentichiamo mai di farci “stupire” dall’opera stessa durante la fase di shooting; questo perché pensiamo che il giusto equilibrio per un buon racconto si trovi nella mediazione tra ciò che possiamo prevedere e ciò che invece non possiamo prevedere.
Qual è il materiale più difficile da fotografare in architettura?
Non esiste un materiale più difficile dell’altro; ogni materia ha una sua natura e una sua potenzialità intrinseca. Sta a noi comprenderle a fondo e fare in modo che siano d’aiuto alla narrazione del progetto.
Nel vostro curriculum ci sono molti esempi di fotografie di opere in cemento armato, come la Tomba Brion di Carlo Scarpa ad Altivole, che rapporto avete con il racconto di questo materiale?
Il cemento armato è un materiale che ci ha sempre affascinati, sia come fotografi che come architetti. Nel corso della nostra carriera ci è capitato spesso di raccontare progetti realizzati con questo materiale e una delle cose che ci ha sempre colpito sono le infinite possibilità che ha dal punto di vista formale, materico e compositivo. Questo ovviamente genera infinite variabili, nel suo rapporto con la luce e con l’ombra, di interesse per la narrazione fotografica e/o video. Non a caso l’opera dell’architetto veneto Carlo Scarpa che citavi prima, è stata scelta come soggetto degli scatti realizzati nell’ambito della prima edizione del workshop Sacred Spaces organizzato e curato dalla rivista Casabella, dove eravamo presenti come professori.
Un desiderio: quale opera architettonica in cemento armato vorreste fotografare e non avete ancora avuto l’occasione di farlo?
Sicuramente il Salk Institute di Louis Kahn a La Jolla in California.
Una scelta comprensibile visto che si tratta di una delle opere più iconiche di Louis Kahn, architetto statunitense, maestro del Novecento. Ma quali sono le motivazioni più strettamente legate alla vostra formazione e al vostro lavoro che vi portano a questa scelta senza indugi?
La passione per l’opera di Louis Kahn ci accompagna da sempre per molti motivi, in primis per l’uso sapiente dei materiali e della luce. Tra i suoi progetti ci sentiamo di scegliere e sperare di fotografare presto il Salk Institute perchè in questo progetto Kahn indaga in maniera approfondita la relazione tra orizzonti e la forza della visione prospettica. A nostro avviso si tratta di un’opera che offre un panorama ampio di suggestioni e opportunità che stimolano il racconto fotografico.
Avete esperienza nella fotografia di opere ingegneristiche su grande scala? Che tipo di racconto fotografico dedichereste a un’opera iconica come il nuovo ponte di Genova di Renzo Piano?
Nella nostra carriera abbiamo realizzato numerosi servizi dedicati ad opere ingegneristiche su grande scala specialmente durante la fase di costruzione. Il ponte di Renzo Piano è un progetto dal grande valore simbolico, ricucitura fisica e metaforica di una profonda ferita umana e urbana. La sua forza, come nelle grandi opere di Land Art, risiede, più che negli aspetti prettamente architettonico-compositivi, materici o di dettaglio, nel rapporto critico che instaura con il luogo e con il territorio in cui è inserito. Per questo motivo pensiamo che la narrazione dell’opera possa partire proprio dal racconto di questo rapporto e quindi da una visione più ampia.
Luigi Ghirri o Lucien Hervé?
È una scelta molto difficile perché entrambi sono stati importanti per la nostra formazione, ma se dobbiamo proprio scegliere allora diciamo Lucien Hervé per l’attenzione al rapporto tra luce, ombra e penombra che è un aspetto che indaghiamo molto nei nostri lavori.
Abbiamo percorso insieme un’intervista che passa attraverso grandi nomi dell’architettura come i maestri Kahn e Scarpa, passando per la prospettiva, il rapporto con il materiale, la luce e le ombre. Tutti elementi che potrebbero tranquillamente solo riferirsi all’architettura, senza disturbare la fotografia.
L’ultima domanda ci dà lo spunto per una breve incursione nella storia della fotografia d’architettura, citando due figure chiave, lontane tra loro sia temporalmente che geograficamente come Ghirri ed Hervé. Per chi non li conoscesse basta una piccola ricerca per apprezzarne subito il lavoro. Lucien Hervè, ungherese di origine, francese di adozione, diventò per un incontro casuale il fotografo per antonomasia delle opere di Le Corbusier, forse l’architetto più famoso – citato persino in una canzone di Franco Battiato – che realizzò in cemento armato a vista – béton brut – la sue opere di una vita.
Contrapposto, ma solo per vezzo e gioco a Luigi Ghirri, maestro emiliano della fotografia di architettura e paesaggio, commovente narratore di luoghi, la cui fotografia del Cimitero di Modena di Aldo Rossi ha accompagnato come immagine motivatrice il lavoro svolto sempre come docenti da Atelier XYZ, durante il secondo workshop della rivista Casabella sugli spazi sacri, già citato prima.
Un intreccio di storie e di sguardi quindi, che ci hanno dato l’occasione di incuriosirci, per aprire ancora una volta una finestra su questo binomio architettura-fotografia, attraverso l’esperienza di un gruppo di ricerca e lavoro giovane e accurato.
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