Laureata in economia e commercio all’Università Cattolica di Milano, è giornalista professionista dal 2004. Nei primi anni della sua carriera ha lavorato per tv locali e nazionali sviluppando le tecniche video. Successivamente, ha collaborato con differenti testate online e agenzie di comunicazione specializzandosi nel linguaggio SEO. È esperta in temi economici, legali e immobiliari, con particolare focus sui nuovi modelli produttivi sostenibili. Le sue passioni? Il pianoforte e i puzzle.
Criteri Minimi Ambientali (CAM): dalle origini alle ultime novità nel settore dell’edilizia
L’adozione dei Criteri Minimi Ambientali (CAM) rappresenta una delle scelte normative europee e nazionali più significative per la transizione verde nell’intera zona UE e anche maggiormente impattanti per il settore dell’edilizia. La sfida dei CAM, tanto ambiziosa quanto dipendente da un nuovo modello imprenditoriale nel mondo delle costruzioni, è quella di dimostrare che anche un settore che prevede l’utilizzo di materie prime quali il cemento o il calcestruzzo può e deve essere sostenibile. L’obiettivo dei CAM, quindi, è quello di guidare le imprese e gli operatori economici che operano in tale ambito verso pratiche più ecologiche, fornendo paletti e linee guida virtuosi ed ecosostenibili. Ma prima di addentrarci nell’analisi di questi Criteri va fatta una premessa: non esiste solo il CAM edilizia, perché ne esistono anche per altri settori merceologici. Tutti, però, hanno la stessa origine.
Le origini dei Criteri Minimi Ambientali (CAM)
La Finanziaria 2007 (Legge 27 dicembre 2006 n. 296, art. 1, comma 1126) istituisce il “Piano d’azione per la sostenibilità ambientale dei consumi nel settore della pubblica amministrazione”, predisposto dal Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare (l’attuale MASE). La legge introduce per la prima volta in Italia un’azione programmatica mirata all’adozione di principi sostenibili da adottare nelle procedure di acquisto delle pubbliche amministrazioni con gli obiettivi di:
a) riduzione dell’uso delle risorse naturali;
b) sostituzione delle fonti energetiche non rinnovabili con fonti rinnovabili;
c) riduzione della produzione di rifiuti;
d) riduzione delle emissioni inquinanti;
e) riduzione dei rischi ambientali.
L’adozione della norma, che poi prenderà il nome di “Piano Nazionale d’Azione sul Green Public Procurement – PAN GPP”, è stata sollecitata dalla Commissione Europea che, nella comunicazione 2003/302 sul “ciclo di vita ambientale”, incoraggia “… gli Stati membri a dotarsi di piani d’azione accessibili al pubblico per l’integrazione delle esigenze ambientali negli appalti pubblici”. Tali piani nazionali non sono giuridicamente vincolanti, ma servono – nelle intenzioni della Commissione UE – “a dare impulso politico” verso nuovi criteri di sostenibilità negli appalti.
E la politica italiana emana le “Disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di green economy e per il contenimento dell’uso eccessivo di risorse naturali” con la Legge del 28 dicembre 2015 n. 221. All’art. 18 si sancisce in maniera chiara l’obbligatorietà dell’applicazione di criteri ambientali minimi negli appalti pubblici per ridurre i gas nocivi per il clima e indurre all’uso efficiente delle risorse.
Tale norma sarà successivamente abrogata e sostituita nel 2016 dall’art. 34 del codice degli appalti (D.lgs. 18 aprile 2016, n. 50) che sottolinea tre diversi aspetti:
- conferma l’obbligatorietà del rispetto dei CAM negli appalti pubblici introdotta dalla precedente Legge 221/2015;
- sancisce l’onere delle stazioni appaltanti di inserire nella documentazione progettuale e di gara almeno le specifiche tecniche e clausole contrattuali obbligatorie contenute nei criteri minimi ambientali emanati dal MASE;
- introduce la differenza tra criteri ambientali “minimi” (ovvero quelli obbligatori) e quelli “premianti”, che permettono ai candidati delle procedure di ottenere, appunto, punteggi aggiuntivi di valutazione (per l’applicazione del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa).
Infine, con la recente introduzione del nuovo codice degli appalti (D.lgs. del 31 marzo 2023, n. 36) anche l’art. 34 del D.lgs. 50/2016 viene abrogato per lasciare il passo all’art. 57 della nuova normativa.
Fin qui la storia legislativa dei CAM, ma sul fronte della stesura dei Criteri Minimi Ambientali da parte dei diversi Ministeri dell’ambiente che si sono succeduti, cosa prevedono nel dettaglio tali specifiche?
Uno sguardo sui nuovi CAM in generale
Con il DM n. 256 del 23 giugno 2022, noto come Decreto CAM 2022, il Ministero della Transizione ecologica (oggi MASE) ha novellato le norme sulle pratiche sostenibili nell’edilizia. Il nuovo provvedimento (“Criteri ambientali minimi per l’affidamento del servizio di progettazione di interventi edilizi, per l’affidamento dei lavori per interventi edilizi e per l’affidamento congiunto di progettazione e lavori per interventi edilizi”) è entrato in vigore il 4 dicembre 2022 sostituendo il precedente decreto dell’11 ottobre 2017, rubricato come “Criteri ambientali minimi per l’affidamento di servizi di progettazione e lavori per la nuova costruzione, ristrutturazione e manutenzione di edifici pubblici”.
Cosa è cambiato? Innanzitutto, è stata ampliata la casistica delle opere edilizie che rientrano sotto la lente di ingrandimento dei CAM; oltre alle attività di costruzione, demolizione, recupero, ristrutturazione urbanistica ed edilizia, sostituzione, restauro, manutenzione di opere, manutenzione ordinaria e straordinaria, i nuovi criteri ambientali minimi 2022 riguardano anche agli edifici disciplinati dal codice dei bene culturali e del paesaggio. E non è una novità da poco se pensiamo alla composizione del patrimonio immobiliare italiano.
Ma l’innovazione più importante è il potenziamento della LCA, acronimo di Life Cycle Assessment e tradotto in italiano come “valutazione del ciclo di vita degli edifici”. Si tratta di una metodologia, basata sullo sviluppo dell’economia circolare, che analizza l’impatto ambientale di un’opera edilizia e di ogni singolo materiale di cui è composta nel corso di tutte le fasi del loro ciclo di vita: dall’estrazione della materia prima, al trasporto e utilizzo, fino alla dismissione o smaltimento. Secondo tale approccio e attraverso l’uso dei criteri minimi ambientali, gli appaltatori sono chiamati a vagliare diverse alternative di costruzione e optare per la soluzione più vantaggiosa da un punto di vista della sostenibilità.
Seguendo tale approccio, i CAM sono strutturati in 3 “macro-categorie”: affidamento del servizio di progettazione di interventi edilizi, affidamento dei lavori e affidamento congiunto di progettazione e lavori. Per ciascuna di queste macro-categorie, la stazione appaltante deve indicare nei documenti di gara le clausole contrattuali, le specifiche tecniche e i criteri premianti.
Tra le clausole contrattuali rilevanti, e inserito nella macro-area della progettazione, c’è il nuovo obbligo per l’aggiudicatario di far redigere dal progettista la “relazione CAM”, che attesta il rispetto delle prescrizioni di sostenibilità nelle scelte progettuali effettuate, delle specifiche tecniche obbligatorie dei materiali da costruzione e i mezzi di prova utilizzati. A corredo della relazione CAM è possibile dimostrare la conformità del progetto o del materiale ai criteri minimi ambientali attraverso una certificazione basata su uno dei protocolli di sostenibilità energetico-ambientale degli edifici (cioè, il rating systems) di livello nazionale o internazionale. Tra i certificatori troviamo: LEED (Leadership in Energy and Environmental Design), GBC Italia, ITACA, DGNB e BREEAM (Building Research Establishment Environmental Assessment Method) a cui il Gruppo Heidelberg Materials si affida per asseverare il suo impegno nella produzione sostenibile dei materiali.
Uno sguardo sui CAM relativi al calcestruzzo
Al calcestruzzo sono dedicati due precisi paragrafi del Decreto CAM 2022. Il primo è il 2.5.2 che tratta i calcestruzzi confezionati in cantiere e preconfezionati e prescrive che almeno il 5% del peso totale del prodotto sia composto da materie riciclate, recuperate o da sottoprodotti. Ai fini del calcolo va considerato il peso al netto dell’acqua (sia quella efficace che quella di assorbimento) e tale 5% deve risultare come quantità che rimane effettivamente nel prodotto finale.
Il secondo paragrafo (il 2.5.3) riguarda, invece, i prodotti prefabbricati in calcestruzzo e in calcestruzzo aerato autoclavato (CAA). Qui la regola è che i prefabbricati in calcestruzzo contengano almeno il 5% di materiale recuperato, riciclato o da sottoprodotti sul peso totale, mentre per i blocchi in muratura in calcestruzzo aerato autoclavato la percentuale sale al 7,5%.
Guardando all’interno di Heidelberg Materials, la gamma eco.build di cementi e calcestruzzi sono realizzati attraverso un contenuto minimo di riciclato del 5% e con un processo di produzione che punta alla riduzione della CO2. Ma come provarlo? Esistono differenti metodologie e certificazioni, tra cui una Dichiarazione Ambientale di Prodotto di Tipo III (EPD), conforme alla norma UNI EN 15804 e alla norma UNI EN ISO 14025 (quali ad esempio lo schema internazionale EPD o EPDItaly), della quale Heidelberg Materials è munita.
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