Co-fondatrice, community manager e volto di Greencome, new media dedicato alla sostenibilità, si occupa di contenuti editoriali, campagne e progetti di engagement che raccontano storie, condividono soluzioni e diffondono notizie su clima e ambiente, con l’obiettivo di sensibilizzare e ispirare un cambiamento positivo. Laureata magistrale in Economia e Politiche dell’Ambiente, ha affiancato al percorso accademico un impegno attivo in ambito associativo, in particolare con Legambiente, dove ha ricoperto il ruolo di delegata nazionale, con l’intento di tradurre l’attivismo personale in azioni concrete per la tutela dell’ambiente.
La COP30 di Belém in Brasile si è appena conclusa e, come spesso accade dopo una Conferenza ONU sul clima, il dibattito pubblico si è subito concentrato su ciò che è mancato, su ciò che poteva andare più lontano e su ciò che, invece, ha segnato un passo in avanti.
Al di là dei toni, un fatto è emerso con chiarezza: il settore delle costruzioni è stato uno dei protagonisti silenziosi della conferenza, perché la trasformazione di edifici, infrastrutture e materiali è ormai considerata una condizione indispensabile per centrare gli obiettivi dell’Accordo di Parigi – il trattato internazionale che dal 2015 impegna i Paesi a limitare il riscaldamento globale ben al di sotto dei 2°C e a proseguire gli sforzi per contenerlo a 1,5°C.
In questo contesto, COP30 non ha riscritto le regole del gioco, ma ha definito meglio il campo in cui si muoveranno governi, imprese e filiere nei prossimi anni. Sono arrivate indicazioni nuove sull’abitare sostenibile, riferimenti più espliciti alla necessità di decarbonizzare il comparto e un’attenzione crescente al tema dell’equità nella transizione.

UN Climate Change - Kiara Worth
La Belém Call for Action e l’abitare sostenibile
Tra gli esiti più significativi della conferenza, la Belém Call for Action for Sustainable and Affordable Housing è uno dei segnali più chiari della direzione che governi e organismi internazionali intendono imprimere al settore delle costruzioni.
Il documento invita a integrare entro il 2035–2040 politiche abitative a basse emissioni, collegando in modo esplicito la decarbonizzazione dell’edilizia alla qualità e all’accessibilità degli alloggi, con particolare attenzione alle aree urbane in più rapida trasformazione.
Nella Call for Action, l’efficienza energetica degli edifici, l’uso di materiali a minore intensità carbonica e la progettazione di quartieri più resilienti non sono presentati come elementi separati, ma come parti di una stessa strategia che riguarda l’intera filiera: dai produttori di materiali ai progettisti, dalle imprese di costruzione alle amministrazioni locali.
La discussione ha messo in luce come le politiche climatiche non possano limitarsi a ridurre le emissioni, ma debbano tenere insieme sostenibilità ambientale ed equità sociale. Rendere più sostenibili edifici e infrastrutture significa interrogarsi su chi potrà permettersi di abitare in case meglio isolate, chi beneficerà per primo dei nuovi standard costruttivi e come evitare che le periferie o le fasce più vulnerabili restino escluse da questa trasformazione.
Senza toni ideologici, la Call for Action richiama la necessità di una transizione che funzioni anche per chi oggi ha minori risorse, indicando un quadro in cui il settore delle costruzioni è chiamato non solo a ridurre il proprio impatto, ma anche a contribuire a un accesso più equilibrato a soluzioni abitative sicure, efficienti e durature.

Un settore ad alto impatto e ad alto potenziale
Il dibattito di Belém ha riportato in modo particolarmente netto una consapevolezza già chiara a tutti: costruzioni ed edifici pesano per circa il 34% delle emissioni globali (UNEP, Global Status Report), un dato che da solo rende evidente quanto la trasformazione del settore sia indispensabile per allinearsi agli impegni presi a Parigi.
Questa constatazione, che potrebbe essere letta come un limite strutturale, è stata invece affiancata da una prospettiva più orientata alle opportunità, perché un comparto che incide così tanto sul bilancio climatico possiede anche una leva di cambiamento proporzionale: ogni scelta progettuale, ogni innovazione nei materiali, ogni ottimizzazione del cantiere può generare un effetto misurabile sulla traiettoria emissiva complessiva di un Paese.
Durante la conferenza è emerso con forza come le decisioni prese nelle primissime fasi di concept possano determinare fino al 70% dell’impronta di carbonio complessiva di un edificio, mentre la gestione del cantiere, pur incidendo in misura più contenuta (tra il 5% e il 10% del totale) rappresenti uno dei primi ambiti in cui è possibile ottenere riduzioni rapide grazie ad una migliore organizzazione dei flussi di lavoro, della logistica e dei consumi energetici (World Green Bulding Council, Whole Life Carbon Vision, European Construction Observatory).
La fase d’uso degli edifici rimane invece la componente più significativa, arrivando a rappresentare circa il 70% delle emissioni negli immobili esistenti, ed è proprio in questo segmento che interventi mirati di riqualificazione energetica consentono tagli potenziali tra il 30% e il 50% dei consumi e delle emissioni (IEA – Buildings Roadmap).
In altre parole, chi riesce ad anticipare questa trasformazione, non solo riduce le proprie emissioni ma si posiziona in modo più competitivo in un mercato che sta cambiando rapidamente.

Misurare e innovare: materiali, processi ed energia nel settore costruzioni
La trasformazione del settore delle costruzioni non può poggiare solo sull’innovazione tecnologica: il punto di partenza è la misurazione. È infatti attraverso un calcolo più solido e trasparente dell’impronta climatica (Scope 1, 2 e 3) che diventa possibile valutare l’efficacia delle soluzioni proposte e orientare la progettazione verso scelte realmente in grado di ridurre le emissioni.
Accanto a questa dimensione tecnica, COP30 ha richiamato le principali direttrici di innovazione già visibili nella filiera: materiali a minore intensità carbonica, un uso più esteso di materie prime seconde, processi industriali più efficienti e una gestione dei cantieri capace di ridurre consumi ed emissioni nelle fasi operative.
I combustibili alternativi sono stati citati come una delle opzioni disponibili per i processi dove l’elettrificazione non è ancora praticabile, mentre la digitalizzazione dei cantieri è stata indicata come uno degli strumenti più immediati per ottenere riduzioni concrete.

Gli aspetti ancora irrisolti e le questioni aperte
Accanto alle progressioni, COP30 ha lasciato aperte alcune questioni che richiederanno ulteriori passaggi. Il confronto sul phase-out globale delle fonti fossili – cioè l’eliminazione graduale della loro produzione e utilizzo – non ha portato a un accordo definitivo, e il negoziato sul mercato internazionale del carbonio necessita ancora di definizioni operative per evitare frammentazioni e garantire un meccanismo equo.
Il tema del finanziamento climatico per i Paesi più vulnerabili rimane una delle sfide principali, perché incide sulla capacità di molte aree del mondo di investire in edifici più efficienti, materiali innovativi e infrastrutture resilienti.
È tornato al centro anche il tema degli NDC (Nationally Determined Contributions) – i piani climatici nazionali con cui ogni Paese definisce i propri obiettivi di riduzione delle emissioni – che nei prossimi anni dovranno diventare più concreti e verificabili anche per settori ad alto impatto come quello delle costruzioni.
Queste mancanze non sono state lette come un fallimento, ma come il riflesso della complessità geopolitica del momento. La conferenza ha comunque chiarito la direzione generale, lasciando ai prossimi anni il compito di tradurre gli impegni in strumenti operativi.

Una traiettoria già segnata
Nel complesso, COP30 non ha riscritto le regole, ma ha consolidato un quadro in cui la decarbonizzazione delle costruzioni rappresenta una componente imprescindibile della strategia climatica globale.
La conferenza ha mostrato che il settore non è solo parte del problema, ma elemento essenziale della soluzione, perché possiede leve tecnologiche, industriali e progettuali in grado di orientare profondamente la qualità della transizione.
La traiettoria non è ancora definita in ogni dettaglio, ma il percorso è chiaro: un’azione climatica efficace richiede un settore delle costruzioni capace di innovare, misurare e collaborare, mantenendo insieme sostenibilità ambientale, accessibilità economica ed equità sociale.
È in questa prospettiva che si giocherà la sfida dei prossimi anni, in un comparto che, proprio per il suo peso, può contribuire in modo determinante alla trasformazione climatica globale.
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Immagine in copertina: ©Sergio Moraes/COP30 Brasil Amazônia


