Fabrizio Baleani si laurea in Filosofia all'Università di Macerata e si diploma al Master per l’Informazione Culturale promosso dall'Università di Urbino e dal Centro europeo per l'Editoria. Giornalista, ha scritto per service editoriali, radio, testate. Si occupa di contenuti editoriali e relazioni con i media per la società di comunicazione LOV.
Indagine sulle strutture e gli impianti (da rifare) dello sport italiano. Video intervista a Sandro Catta del CNI
Intervista a Sandro Catta, ingegnere civile edile, con studio professionale a Cagliari, orientato prevalentemente alle opere pubbliche, master in progettazione impianti sportivi, Energy Manager, dal 2022 eletto nel Consiglio Nazionale Ingegneri, con delega ai lavori pubblici e BIM.
«La migliore maniera di allenarsi alla vita è nell’esercizio, nel talento, nella serietà comunicata da un atleta». Una definizione attribuita a Gianni Brera che per l’esercizio di queste virtù immaginava vaste arene popolate da chi non cerchi soltanto svaghi ma desideri valori a cui attingere.
Gli impianti sportivi rappresentano, da sempre, un segno di civiltà, benessere e cultura per il territorio che li ospita. Inoltre, sono formidabili moltiplicatori di opportunità economiche. Eppure, le opere pubbliche italiane, in questo settore, latitano. Difficoltà, ritardi, processi macchinosi, bloccano investimenti quantificabili attorno ai 3 miliardi di euro e in grado di generarne ben 5 di indotto. Al tema, il Consiglio Nazionale degli Ingegneri ha voluto dedicare una giornata di approfondimenti con professionisti, manager, vertici delle istituzioni sportive del Paese, svelando le enormi criticità di piccoli e grandi “templi” del nostro sport.
«Purtroppo – spiega l’ingegner Sandro Catta, consigliere del CNI (Consiglio Nazionale Ingegneri) – tantissimi capitali sono bloccati da procedure che, per diverse ragioni, quasi tutte figlie di una burocrazia elefantiaca, non riescono a trovare una loro attuazione per problemi amministrativi. Una via d’uscita virtuosa è contenuta nel nuovo codice dei contratti pubblici. Esso stabilisce il principio dell’obiettivo e del risultato e quello del parere propositivo da parte degli enti terzi. Si tratta, in sintesi, di sottolineare la giusta preoccupazione di dotare i nostri funzionari di maggiore fiducia. Debbono superare quella dannosa paura della firma che sbarra la strada a tantissime iniziative. Interessante è poi il principio dell’autorizzazione propositiva: il nuovo codice postula che gli enti terzi non possano bloccare il processo autorizzativo di un’opera se non adducendo motivazioni plausibili e suggerendo quali siano gli elementi di modifica necessari alla realizzazione finale. In questo modo, tutte le varie diramazioni dello Stato sono chiamate a svolgere ruoli che incentivano e aiutano l’attuazione definitiva concretamente e non assumono una funzione ostativa e censoria».
Le norme ci sono, spiega Catta: «La Legge sugli stadi è stata riformata nel 2021, eppure, anche oggi, le semplificazioni introdotte non vengono applicate dal decisore amministrativo che non è abbastanza tranquillo perché non si sente sufficientemente tutelato dal quadro normativo generale. Gli impianti sportivi per le attività della massima serie del campionato in fase di progettazione e in attesa di autorizzazione sono differenti. Almeno 15 fanno capo alle principali società di football italiano. Milan, Inter, Roma, Fiorentina e Cagliari stanno portando avanti, da anni, bozze progettuali che non riescono a vedere la luce o che vengono superate da altri progetti perché si scontrano con i tempi biblici delle lungaggini amministrative e con robuste pastoie burocratiche. Sono strutture che porterebbero servizi sia culturali che produttivi ma anche di accoglienza e turistici con benefici diretti ai rispettivi territori di competenza».
Il parere del numero uno del CONI, Giovanni Malagò, intervenuto all’evento, non ha lasciato spazio all’interpretazione. «Viviamo due facce della medaglia: da una parte siamo ai vertici in termini di risultati sportivi, dall’altra non siamo mai stati in un momento così drammatico per quanto riguarda l’impiantistica per lo sport, in tutta Italia: è una situazione pietosa e abbiamo perduto l’occasione del PNRR». Un giudizio durissimo a cui l’ingegner Catta aggiunge l’evidenza dei dati. «Se guardiamo al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, l’impiantistica sportiva, ha ottenuto meno dello 0,3% dell’intera dotazione. In condizioni ordinarie, solo lo 0,5 del Pil è destinato alla manutenzione, gestione e implementazione delle strutture sportive, a fronte di una media europea che arriva allo 0,7».
A proposito di numeri, cifre raggelanti riguardano l’impiantistica sportiva di base e fotografano un quadro gramo anche sul fronte dell’inclusione: un quinto degli impianti risulta non fruibile da atleti diversamente abili e oltre il 50% non è accessibile a spettatori con disabilità. Inoltre, più della metà degli impianti sportivi pubblici e privati di interesse si trovano al Nord (52%), solo il 22% al Centro e il 26% al Sud. Viene da domandarsi la ragione di questa arretratezza. «L’80% delle nostre strutture sportive è estremamente vetusto e risale a oltre cinquant’anni fa – commenta il consigliere del CNI – In quel periodo storico, le normative non erano adeguate alle misure sull’abbattimento delle barriere architettoniche. Dobbiamo investire molto per recuperare gli impianti esistenti, ancor prima di pianificare quelli nuovi».
Dopo aver misurato la considerevole distanza italiana dai virtuosi e moderni paradigmi continentali e dal sistema gestionale, amministrativo e culturale rappresentato dagli Stadi d’Oltremanica, Sandro Catta, nel capitolo nero della progettazione strutturale per lo sport, individua anche una pagina promettente: la ricerca su innovativi materiali green. «Oggi – riflette l’ingegnere – anche le strutture in cemento armato rientrano, in tutto il loro ciclo di vita, in una piena logica di eco-sostenibilità. Si va dal concepimento, con procedure realizzative a ridotta emissione di CO2 fino al riciclo dei manufatti attraverso la demolizione».
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