Laureato presso la Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano, dove insegna progettazione architettonica dal 2008 al 2011. Dal 1999 è autore di progetti di architettura, fotografia e comunicazione visiva per aziende e istituzioni pubbliche e private, ricevendo premi a concorsi nazionali e internazionali. Nel 2002 fonda new landscapes (<a href="http://www.newlandscapes.org/">www.newlandscapes.org</a>), studio di progettazione all’interno del quale sono state condotti progetti e ricerche sul rapporto tra l’uomo e l’ambiente, sulla percezione e la valorizzazione dell’immagine e dell’identità del paesaggio contemporaneo e sulla promozione di nuove forme di conoscenza e partecipazione. Dal 2016 è direttore della rivista di architettura e paesaggio Ark. È autore di oltre 50 pubblicazioni, tra libri, saggi e articoli specialistici sull’architettura, il paesaggio e la fotografia.
Natura nuova misura. La chiesa San Giovanni XXIII dell’ospedale di Bergamo.
Ospedali, templi e chiese rappresentano un incontro plurisecolare. Se ne ha memoria da quando le civiltà stanziali hanno trasformato la Terra in territorio e di esso hanno disposto confini, da civilizzare e difendere. Così gli ospitali medioevali, fabbriche dove i corpi potessero trovare cure e assistenza, si sono intrecciati con i luoghi per l’ascolto della psiche, o dell’anima. Con lo sviluppo della scienza medica, fondata sul metodo sperimentale e sulla sua promessa di efficacia, i luoghi per il culto non hanno smesso di offrire un conforto e di costituire un contraltare necessario alla materia di cui anche la più laica delle società continua a percepire l’utilità, tanto nella vita quotidiana quanto nelle sue sospensioni.
Nel 2014, anno della canonizzazione di papa Roncalli, la città di Bergamo assiste all’inaugurazione di una nuova chiesa a lui consacrata, promossa nel 2007 dal comitato dell’ospedale Giovanni XXIII e progettata dagli stessi architetti autori del disegno dell’ospedale, il francese Aymeric Zublena e lo studio Traversi e Traversi di Bergamo. Per la realizzazione, la committenza, la cittadinanza, gli architetti, gli artigiani sono affiancati dagli artisti locali Mastrovito, Arienti e Freres. La superficie fragile e vibrante della nuova chiesa è una soglia discreta per chi vi passa accanto, un luogo di sosta, un portico ombreggiato per chi è in attesa, una lanterna per il quartiere e per chi la osserva in lontananza.
Il cantiere, tra arte, tecnica, scienza e natura, ricorda le fabricae rinascimentali, quando la transdisciplinarità, allora imprescindibile, e l’unità dei saperi creavano opere culturali che erano espressione di una civiltà coesa attorno ai propri simboli e al proprio destino. Quella coesione, nella realtà contemporanea così frammentata e attraversata da forze ondivaghe e incoerenti, appare più indefinita e anche una chiesa, oggi, è il riflesso della società in cui sorge.
A mutare, e a contrassegnare l’episodio di Bergamo, è l’esperienza dello spazio liturgico. Più aperto, indefinito, permeabile ad accogliere consuetudini, fedi e ritualità diverse. Da ciò derivano l’astratta essenzialità dei volumi, le proporzioni monumentali dello spazio centrale ad aula unica e le sperimentazioni tecniche che hanno portato alla costruzione di un edificio che sia sul piano artistico che tecnologico è particolarmente intonato alla tendenza culturale dell’oggi.
Se “un tavolo, lo spazio e i muri sono l’essenza della più umile chiesa”, come scriveva a metà del secolo scorso l’architetto tedesco Rudolf Schwarz, costruttore di architetture religiose austere e prive di concessioni all’ornamento, la chiesa di Bergamo cede al motivo figurativo, alla narrazione visiva, al piacere dell’occhio e fa di esso una cifra che intende riscattare la muta consistenza di invaso, di catino inonadato dalla luce del suo involucro.
Ed è qui che Italcementi offre il proprio contributo più significativo. Determinante per l’esito formale e atmosferico della chiesa di San Giovanni XXIII è stata la scelta dei progettisti di utilizzare materiali innovativi come il cemento bianco i.active TECNO, contenente il principio fotocatalitico TX Active, brevettato da Italcementi, dalle proprietà disinquinanti. La fotocatalisi è un processo naturale per cui, grazie all’azione della luce naturale o artificiale, una sostanza (chiamata fotocatalizzatore, il biossido di titanio) attiva un forte processo ossidativo che porta alla trasformazione di sostanze organiche e inorganiche nocive, quali l’anidride carbonica, in composti innocui, nitrati, carbonati, sali inerti, che vengono dilavati dalle acque meteoriche. 10 mq di superficie catalitica equivalgono alla pulizia dell’aria svolta da un albero. Grazie a questo innovativo cemento, l’albero diventa unità di misura per i progettisti.
Il nuovo ospedale sorge al centro di in una ex area agricola, mentre il volume del luogo di culto è posto al limite tra il parco della Trucca, la strada provinciale, la roggia Serio Grande e il Parco di Loreto, costituendo un diaframma minerale tra i padiglioni in metallo e vetro dell’ospedale e le chiome delle alberature del parco. Gli snelli elementi verticali in calcestruzzo prefabbricato di 40 per 12 cm si intrecciano verso nord ovest con le lamelle della copertura della piazza d’ingresso all’ospedale, mentre come bianchi tronchi di betulla, si confondono con il fogliame del parco verso sud est.
Il volume della chiesa si discosta dalla morfologia dell’ospedale. La serie di fusti che lo delimita è una diafana foresta geometrica, separata dal mondo sensuale a colori, come il Sacro – ci ricorda il suo etimo -, è proprio di ciò che è separato. La chiesa è bianca, come un mondo angelico, “bianca come bianco è il colore spirituale dei nostri tempi”, scriveva l’artista e architetto Theo Van Doesburg. Potremmo proseguire riconoscendo nel bianco, più che una materia, una qualità atmosferica. Non è forse il bianco il colore che riflette l’intero spettro luminoso e che nasconde così la materia da cui origina, celandola in un indistinto fulgore? La luce del sole non solo fa risplendere le decine di raffinate colonne, proiettando ombre cangianti sulle massicce mura della chiesa, ma grazie al principio attivo presente nella malta cementizia, contribuisce a migliorare la qualità dell’aria dell’intorno.
Il chiarore dell’edificio, oltre che dalla più moderna tecnologia, ha origine dal marmo di Michelangelo, dalle Alpi Apuane, in Toscana. L’impasto ad alta fluidità destinata alla realizzazione degli elementi architettonici prefabbricati non strutturali, alti quasi 15 metri, ottenuti grazie alla “dinamicità” del nuovo materiale Italcementi, prevede inoltre l’utilizzo per l’80% di aggregati riciclati, in parte provenienti dagli sfridi di lavorazione del marmo di Carrara, che conferiscono al complesso la brillantezza di antichi templi in pietra e calce.
La luminosità delle superfici ricorda la severità delle chiese d’oltralpe, di forme tese al cielo, mentre il portico che avvolge e cela il volume – registrato dalle fotografie di Matteo Triola che accompagnano questo breve saggio –, diventa un chiostro a protezione del silenzio. La grande e ariosa aula liturgica, definita da pareti rivestite con pannelli orizzontali in calcestruzzo bianco prefabbricati, si svela come l’immagine evanescente di un giardino autoctono. Per realizzarlo, l’artista e agronomo mantovano Stefano Arienti ha stampato direttamente sui pannelli la flora mediterranea precedentemente fotografata, utilizzando il nuovo materiale concepito nei laboratori di Italcementi. La luce filtrata dai lucernai scivola sul bianco integro dei pannelli, sfumando in grigio quando incontra arbusti e fioriture, là dove la tecnologia delicata e precisa ha asportato un sottile strato di bianco facendo apparire le compatte, minuscole graniglie della malta cementizia.
Il giardino di fiori e delizie, così come il colonnato esterno, racchiude interamente la cella, circonda i fedeli, cresce su tutte le pareti della chiesa, raggiunge i tre absidi, affidati alle grisaglie dell’artista bergamasco Mastrovito. Nei tre sfondati traslucidi che si aprono dietro l’altare il giardino concluso pare voler emergere, ritornare alla luce naturale, oltre la luce dorata. All’esterno, nel diaframma delle colonne che compongono il peristilio, riposa l’immagine ideale di una natura pietrificata. La cella liturgica ne è avvolta, perdendo così la propria consistenza di massa ombrosa e terrestre per diventare materia senza decorazione: tronco di betulla, colonna, linea verticale, bianca struttura che si erge al divino e alla luce del sole, riconsegnando così l’esperienza del visitatore al Sacro e alle sue molteplici forme, immagini, apparizioni.